In una delle pochissime foto che lo ritraggono, Sidney Keyes sembra una
combinazione tra un boxeur e un attore hollywoodiano alle prime armi – una
faccia da yankee, una di quelle che avrebbero popolato Coney Island in un
pomeriggio festivo degli anni Trenta. Il labbro inferiore, prominente, denota
una rapinosa fame di vita; la camicia, leggermente aperta sulla peluria del
petto, gli restituisce l’arrogante sfrontatezza della sua età.
Sidney Keyes, inglese, nasce nel 1922 in una cittadina del Kent. La scomparsa
precoce della madre e l’assenza della figura paterna sviluppano nel ragazzo uno
spiccato senso di solitudine e isolamento. La campagna del Kent e il suo
immaginario folklorico – fate, ninfe, alberi possenti e corsi d’acqua mormoranti
– sollecitano in Keyes una sensibilità romantica verso la natura, dove sempre si
aggira lo spettro della morte. Costretto da una salute cagionevole a un
domicilio coatto nella vasta casa di campagna, Keyes scopre le vaste contrade
della sua immaginazione, nutrita al tempo stesso di rustica ingenuità e antica
saggezza. Coltiva dentro di sé un’ardente mitologia personale fatta di animali,
nebbiose brughiere e cavalieri di nobile stirpe.
Il battesimo poetico, straordinariamente precoce, avviene a sedici anni
con Elegy, scritta in occasione della morte del nonno paterno, uomo di grande
carisma che si era occupato dell’educazione del nipote. Quando Keyes entra come
studente di storia a Oxford, ha già scritto almeno ottanta poesie e alcuni
componimenti teatrali. Si lega d’amicizia con Heath-Stubbs e Drummond Allison,
rileva dalla meteora poetica Keith Douglas la direzione della rivista
universitaria “Cherweell” e cura l’antologia di versi Eight Oxford Poets.
Nell’introduzione all’opera, Keyes esprime scarso entusiasmo nei confronti dei
contemporanei e della scuola audeniana. I suoi modelli sono altrove: su tutti,
svetta come un faro Rilke, poi Wordsworth e Goethe. Del grande poeta praghese
propone una suggestiva traduzione di Der Dichter. Un vago e ancestrale senso di
colpa, unito ad un interesse quasi morboso per il tema del dolore e della morte,
sembrano indicare a Keyes la direzione del suo dettato poetico. Lo attraggono le
inquiete parabole dei visionari: coloro che hanno avvertito, nello spirito ancor
prima che nell’espressione artistica, la tensione verso un altrove misterioso e
potente.
*
L’amore e la guerra irrompono insieme nella vita appartata di Keyes. Il giovane
è cresciuto, ama frequentare pub e cinematografi. I lineamenti sono più
spigolosi, i capelli si sono scuriti, le dimensioni del naso hanno tolto grazia
all’ovale del viso. Resta il colore nocciola degli occhi, sempre alla ricerca di
misteriose lontananze. Nel 1942 Keyes inizia l’addestramento militare
nell’Irlanda del Nord. In quello stesso periodo esce la sua prima raccolta
poetica, The Iron Laurel. In guerra, le testimonianze lo descrivono come avverso
alle gerarchie e intollerante alla disciplina. Le sue mani non sono fatte per
impugnare un fucile. Keyes continua a scrivere lettere, pagine di diario,
poesie. A questi mesi risalgono alcune delle opere più significative.
Nel 1943 la sua compagnia si sposta in Algeria. Quando viene ucciso in azione
vicino a Sidi Abdullah, il 20 aprile, non ha ancora compiuto ventun anni. Il
luogo della sua sepoltura è incerto.In fin dei conti, ha davvero bisogno di una
tomba la salma di un poeta? La poesia trafigge le spoglie mortali – ne escono
versi che piovono dal cielo come piccole scie di meteoriti.
*
In guerra, come in amore, ogni secondo vale come l’ultimo. Ci si aggrappa a ogni
attimo come se si sostasse sulla vetta di una montagna. In guerra, come in
amore, si resta soli, restando a contemplare il cielo notturno delle proprie
emozioni. Di tanto in tanto, lo attraversa un bagliore che rischiara per qualche
secondo le chiome degli alberi e le linee dei campi – il bengala che si leva in
cielo altro non è che la poesia. All’erta, il poeta è abituato a dimorare nella
guerra, addestrato al corpo a corpo con le parole, la grammatica, la genesi del
senso. La guerra pone il poeta nella condizione di perenne assertività verso
tutto ciò che lo circonda. Nel taccuino del poeta-soldato, tenuto accanto alla
piastrina, trovano spazio albe e diluvi di fuoco, pietre e volti bruniti dal
sole, stelle e corpi crivellati. Il soldato va alla guerra esibendo la
sfrontatezza di chi si illude immortale. Il poeta vi porta i suoi libri del
cuore. Ai versi affida la sua speranza d’invulnerabilità. Quando i barellieri
recuperano il corpo senza vita di Wilfred Owen, riverso in un canale paludoso
dell’Oise, gli trovano addosso un quaderno di poesie, i Collected Poems di John
Keats e la Bibbia.
In Sidney Keyes, come quando si legge l’Endymion di Keats, senti la promessa del
genio un attimo prima che si manifesti nella sua evidenza. In lui, diamanti di
poesia s’alternano a versi di un’ispirazione ancora incantevolmente acerba.
Senti l’adolescenza del giovane, cresciuto e fortificato nell’altare della
solitudine, intravedi il fiorire di una sensibilità lunare incline a una
rarefatta e sognante malinconia.
C’è qualcosa di affascinante e conturbante nell’immagine del poeta-soldato.
Forse, l’ossimoro stesso racchiuso nella figura del poeta – dall’indole
contemplativa – al quale si impone di confrontarsi con la furia sanguinosa della
storia. Sidney Keyes entra nella vita nel momento stesso in cui essa viene messa
a repentaglio, infine annientata. Resta la poesia e, dentro la poesia, l’amore.
Forse, come nella chiusa di una delle sue più celebri composizioni, Keyes ha
davvero visto i giardini e i palazzi di giada, i cortili e le porte scolpite. Ha
incontrato davvero la sua amata, né orgogliosa né riluttante. Poi, la sabbia del
deserto gli ha serrato gli occhi e la bocca.
Lorenzo Giacinto
***
Consigli per un viaggio
Borbotta il tamburo di guerra, presto dobbiamo partire
in cerca del paese dove sembra che la gioia
sbocci come un fiore tra le rocce, per conquistare
la favolosa montagna dorata della nostra pace.
Amici miei, privi di arte e bussola,
siamo troppo giovani per fare gli esploratori,
né abbiamo la ferrea certezza che guidava
i nostri padri verso il Nord del proprio compimento.
Dunque non prendete provviste, dimenticate le vostre case,
resti solo la cieca e ostinata speranza di seguire
questa landa desolata. I pensosi seminano le loro ossa
nei ventosi affamati campi dello sconforto.
Non guardate mai indietro, né troppo oltre
il bianco Everest del vostro desiderio;
la pietraia frana sotto i piedi, mai raggiungerete
le esili vette dove transitano solo le nuvole.
Altri sono giunti prima di voi. Gli immortali
vivono come riflessi e i loro volti gelati
vi daranno il coraggio di ignorare il sottile
sogghigno della genziana e del sasso consunto dal gelo.
Le trombe piangono la morte, sibilano venti affilati.
Affrontate la roccia; andate, uscite
nelle guaste terre di battaglia, verso le nebbiose mura
del futuro. Amici miei, liberatevi dalle paure.
Andate avanti, amici miei, il corvo non sarà cattivo segno;
spezzate la rabbia delle nuvole con i vostri immutati volti.
Forse, troverete il sogno oltre la collina –
mai la terra di Canaan, né nessuna montagna dorata.
*
Il giardiniere
Se tu venissi in un giorno
come questo, tra le linee rosa e gialle
dei tulipani pappagallo, io sarei il tuo amante.
I miei stivali brillano mentre battono sulla ghiaia sciocca.
Oh vieni, questo è il tuo giorno.
Se tu posassi la tua mano, foglia venata,
sulla mia mano squadrata, io accarezzerei
la sua forma, e questo mi basterebbe.
Osservo gli afidi che lavorano sulla rosa.
Il tempo mi scivola tra le dita come una foglia.
Somigli forse agli angeli silenziosi e dagli occhi chiari
che seguono i bambini? Il tuo viso è un fiore?
Gli amanti e i mendicanti lasciano il parco –
e ancora tu non vieni. I cancelli stanno chiudendo.
Oh, è terribile sognare gli angeli.
*
Il lamento di Didone per Enea
Lui non ha mai amato il furore del sole
né i mari limpidi.
È venuto con armi da eroe e occhi da torello,
temendo nulla se non i suoi dèi petulanti.
Non ha mai amato le spiagge dal suono cavo
né ha riposato con agio in letti scolpiti.
Il fumo soffia sopra i flutti, l’alta pira attende.
La sua mente era un muro vuoto che rimandava echi,
non certo così sottile come le fiamme avvolgenti.
Non ha mai amato i miei occhi selvatici né i colombi
che abitavano le mie porte.
*
Il poeta (Una rilettura di Der Dichter di Rilke)
Il tempo mi scivola via: i colpi d’ala dell’ora
mi feriscono e allontanano la mia pace.
Solo io. Eppure quale strana potenza
abita tutta la mia vita, la mia notte, il mio giorno?
Senza casa e senza amata vivo
in nessun luogo sicuro, privo di ogni centro:
mi dono interamente, e in questo abbandono
io possiedo il mondo.
*
Poeta di guerra
Sono l’uomo che cercava la pace e ha trovato
i propri occhi irti di spine.
Sono l’uomo che brancolava tra le parole e ha trovato
una freccia nella mano.
Sono il costruttore le cui solide mura circondano
una terra che scivola via.
Quando mi ammalo o impazzisco
non deridetemi né incatenatemi:
quando protendo le mani verso il vento
non gettatemi a terra:
anche se il mio volto è un libro bruciato
e una città devastata.
*
Sonetto per Lady Elizabeth Hastings
Non avrei mai pensato, mia cara,
che ci avresti lasciati per quella terra di cui tanto si parla:
tu che vivevi sempre in mezzo alle favole
e sorridevi alla morte come a uno scherzo mal riuscito.
Deve essere più difficile – molto più difficile –
per un’ombra istruita, in quel regno senza lettere:
prego che i morti cinguettanti volteggino innocui,
salvandoti dall’umido contagio della tristezza.
È duro per me, tuo devoto allievo,
non poter più confrontare splendore vivente
con il tuo volto ormai avvolto nel sudario:
non credevo che i miei occhi dovessero attendere tanto
per ritrovarti nel luogo del ballo.
Ma tu scuoterai anche il purgatorio, mostrando ai morti
l’espressione della tua grazia ribelle.
Traduzione di Lorenzo Giacinto
*In copertina: il fronte africano della Seconda guerra, truppe “alleate” in
azione contro reparti tedeschi; 27 novembre 1942
L'articolo “Io possiedo il mondo”. Intorno alla poesia di Sidney Keyes proviene
da Pangea.