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“Il tuo cuore ha bisogno del chiaro di luna per liquefarsi”. Virginia & Vita, o dell’amore assoluto
«Era molto bella la lettera che hai scritto alla luce delle stelle a mezzanotte. Scrivi sempre a quell’ora, perché il tuo cuore ha bisogno del chiaro di luna per liquefarsi», così scrive Virginia Woolf in una lettera a Vita Sackville-West, il 7 ottobre 1928, e continua:  > «Il mio invece si strugge alla luce del gas, e sono solo le nove e devo andare > a letto alle undici. Così non dirò niente, non una parola del balsamo che eri > per la mia angoscia […] Come ti guardavo! Come mi sentivo – già, come > descriverlo? Bè, da qualche parte ho visto una pallina che continuava a > saltare su e giù sul getto di una fontana: tu sei la fontana, io la pallina. È > una sensazione che mi dai solo tu».  Un secolo fa, Vita e Virginia si facevano immagine d’un amore unico: la pallina che salta su e giù, sospinta dal mobile getto della fontana, esprime un’attrazione irresistibile. Quella pallina, metafora del piacere che volteggia sull’acqua, ci fa volare, come l’epistolario che ne deriva, tra i grandi canzonieri d’amore del Novecento. Un carteggio di oltre cinquecento lettere, scambiate dal primo incontro (1922) e fino alla morte di Virginia (1941), antologizzate in Italia nel testo tradotto da Nadia Fusini e Sara De Simone: Scrivi sempre a mezzanotte. Lettere d’amore e desiderio, a cura di Elena Munafò. Virginia e Vita si scrivono continuamente, per quasi vent’anni; si scrivono per darsi un appuntamento, per scusarsi o rimproverarsi, ma soprattutto per capirsi, essere vicine, una accanto all’altra, attraverso le parole, i soprannomi, le metafore, i silenzi intermittenti in cui esplode la mancanza. Qui è Vita ad urlare con passione:  > «Sono ridotta a una cosa che desidera Virginia. Stanotte avevo composto per te > una lettera bellissima, nelle ore insonni, piene di incubi, ma è tutta > sparita: mi manchi e basta, in un modo piuttosto semplice, disperato, umano. > Tu con tutte le tue lettere intelligenti, non scriveresti mai una frase così > elementare […] mi manchi più di quanto potessi credere […] questa lettera è > solo un grido di dolore. È incredibile quanto tu sia diventata essenziale per > me. Immagino che tu sia abituata a sentirti dire cose del genere dalle > persone. […] Non riuscirò a farmi amare di più da te, scoprendomi fino a > questo punto – ma tesoro mio, non posso essere furba e distaccata con te: ti > amo troppo per farlo» (21 gennaio 1926). Se Virginia nuota nelle acque dell’intelletto, in quel convento che è Monk’s House, dove condivide un’austera intimità con Leonard, in un patto reciproco di rispetto e solidarietà, Vita naviga nella vita a vele spiegate, è sgargiante nei colori e nel temperamento, posseduta dal demone erotico. È moglie di un ambasciatore, Harold Nicolson, lo segue nei suoi viaggi, con disinvoltura organizza ricevimenti. Ed è anche madre. Detto altrimenti: è una donna reale, vera, concreta, mentre Virginia è una creatura fantastica, che vive nei suoi sogni e nei suoi scritti. Virginia rappresenta per Vita l’ignoto: non ha mai incontrato una simile bellezza spirituale, eterea, fragile, dolcissima, le mani affusolate e la mente luminosa, trasparente, di cristallo. Una bambina, malgrado abbia dieci anni più di lei (quando si incontrano, Vita costeggia la trentina, Virginia la quarantina). Virginia scrive divinamente, vuole innovare il romanzo, lavora nella sua casa editrice, la Hogarth Press, litiga con la mitologica Nelly, la cameriera. La sua personalità, così ricca e geniale, affascina Vita e la turba al contempo. In Virginia tutto è pallido e virgineo. Vita capisce che va trattata con riguardo e, soprattutto, con riguardo materno, quello che Virginia ha sempre cercato e che ora, con Vita, tocca fino alle stelle. Quella sarà la chiave sublime del loro legame d’amore, di cui le lettere sono una preziosa testimonianza.  L’abbraccio materno e virile con cui Vita la stringe a sé, fa volare Virginia, libera la sua mente (non a caso, dopo il loro incontro, nasceranno i suoi capolavori: Al faro, Orlando, Le onde), scioglie il suo corpo.  Quando incontra Vita, Virginia conosce per la prima volta nella sua vita la vera passione e, dopo una certa resistenza – come scrive Quentin Bell, suo nipote e biografo – se ne lascia attraversare, con meraviglia e gratitudine. Dal canto suo, Vita tenta di contenere il fervore carnale, il marmo di cui è fatta la sua sostanza, potremmo dire, temendo di spezzare il cristallo della donna che ama. Le due si incontrano nella loro terra di mezzo, dove permangono, insieme, fino alla morte di Virginia, in un amore eterno e poetico, un legame che, nelle complessità della vita, si è fatto parola, lettera, letteratura. Anche quando la relazione fisica finirà, non morirà il loro amore, eternizzato nelle lettere e nelle pagine di Orlando, lo straordinario romanzo che Virginia dedica a Vita, trasformandola in un personaggio immortale (che nasce maschio nel Cinquecento e diventa femmina nel Settecento), trasportando l’esperienza dei loro sentimenti in un’interrogazione profonda eppure ironica, sul senso ultimo dell’amore. Quando Vita lo lesse, comprese che nessuno l’aveva mai posseduta, cioè colta, così a fondo, nella sua più intima verità: «Tesoro, sono così sopraffatta che non ho idea di come tu abbia potuto […] mettere una veste così splendida su una stampella così modesta» le scrisse l’11 ottobre 1928. Mentre cadono le bombe della Seconda guerra, dalle loro rispettive residenze di campagna, Vita e Virginia si scrivono, si sostengono a vicenda, la loro candela non si spegne: «Che dire – se non che ti amo e vivrò questa strana calma serata pensando a te che sei lì da sola […] Mi hai dato tanta felicità» scrive Virginia il 30 agosto 1940, e Vita risponde il primo settembre:  > «Tesoro, quanto mi ha commossa la tua lettera stamattina. Mi è quasi caduta > una lacrima dentro l’uovo in camicia. Le tue rare dimostrazioni d’affetto > hanno sempre avuto il potere di emozionarmi moltissimo e – siccome suppongo > che in questi giorni siamo tutti un po’ tesi […] – oggi mi arrivano in > picchiata, dritte al cuore, come un proiettile che sbatte sul tetto. Ti amo > anch’io. Lo sai». Dalle ultime lettere emerge in filigrana una certa nostalgia, il bisogno continuo di ricordare e sottolineare quanto sia importante il filo che le lega, come se sentissero la morsa del tempo che incalza sulle loro vite… «mi sento sempre in contatto con Vita. […] non riuscirai mai a disfarti di me – mai. Neppure per un secondo mi sono sentita meno legata a te» scrive Virginia il 12 marzo 1940. «Su che piolo sto, sulla tua scala?» le aveva chiesto tempo addietro e la risposta di Vita non aveva lasciato spazio ad alcun dubbio: «Adorata Virginia, sei su un piolo molto alto – sempre – (25 agosto 1939).  Vogliamo ricordarle così: in cima alla scala del loro amore, su quel piolo molto alto, mano nella mano, verso quella luce che ancora oggi le fa risplendere – e ci riscalda. Marilena Garis L'articolo “Il tuo cuore ha bisogno del chiaro di luna per liquefarsi”. Virginia & Vita, o dell’amore assoluto proviene da Pangea.
March 26, 2025 / Pangea