Convenzionalmente, quando si parla di dipendenza da Internet (Internet Addiction
Disorder), scrivono Maria Pontillo e Stefano Vicari nel volume La paura di
essere disconnessi (il Mulino, 2025), ci si riferisce ad «una condizione
caratterizzata da un uso compulsivo e problematico della rete, accompagnato da
pensieri ossessivi sulla possibilità di connettersi, che compromettono
significativamente la vita quotidiana di chi ne è affetto» (p. 12).
Evidenze scientifiche hanno mostrato analogie tra la dipendenza da sostanze a
quella da Internet, tanto che alcuni studi hanno recentemente scoperto che il
cervello si attiva in maniera analoga in tutti questi tipi di dipendenza. Ad
accomunare le diverse esperienze di dipendenza sono, ad esempio: la centralità
che assume il comportamento da cui si è dipendenti sul resto della vita; le
alterazioni umorali che si provano ad ogni inizio dell’esperienza; la necessità
di incrementare la frequenza e la quantità dell’esperienza per ottenere i
medesimi effetti; i sintomi d’astinenza in caso di interruzione prolungata; la
conflittualità con gli altri e con sé stessi determinata dal comportamento
disfunzionale; la tendenza alla ricorrenza del comportamento nel tempo.
A differenza di altre tipologie di dipendenza da sostanze o da comportamenti,
nel caso della dipendenza da Internet, sottolineano gli autori, non è possibile,
né sarebbe sensato, mirare alla cancellazione totale del rapporto con l’oggetto
di dipendenza. Essendo che con l’universo online si è tenuti ad avere a che fare
nella quotidianità, scopo della terapia cognitivo-comportamentale non può che
essere quello di aiutare l’adolescente a ridurre e gestire consapevolmente il
tempo che vive in Internet senza farsi risucchiare da esso abbandonando il mondo
fuori dallo schermo.
Recensione completa qui
Tag - social media
Nel suo nuovo libro Superbloom. Le tecnologie di connessione ci separano?,
passando in rassegna la storia dei principali mezzi di comunicazione, Nicholas
Carr ne mette in luce la funzione politica, il loro agire sulla società e sugli
individui incentrando la sua analisi su come, superato un certo livello, la
comunicazione attuata attraverso di essi tenda ad alimentare conflittualità
piuttosto che dispensare armonia.
Agli occhi delle nuove generazioni cresciute comunicando con un linguaggio
stringato, la posta elettronica appare non solo un sistema obsoleto ma persino
ansiogeno perché presuppone un momentaneo distacco dal flusso comunicativo in
cui gli individui si sentono immersi e da cui faticano a sottrarsi. La sintassi,
la ricercatezza lessicale e gli stili specifici necessari alla corrispondenza
scritta hanno lasciato il posto ad una comunicazione a flusso costante, non
meditata né filtrata in quanto l’efficacia comunicativa sembra ormai misurarsi
esclusivamente in termini di tempo.
I contenuti hanno subito un collasso gravitazionale, scrive Carr, «ogni cosa si
è appiattita sul comune denominatore dello smartphone, anche il discrimine tra
comunicazione privata e comunicazione pubblica ha finito per cancellarsi. Lo
stile compatto, informale, spesso anche crudo dei messaggini è diventato il
paradigma di riferimento del discorso che circola sui social. […] Lo spirito dei
messaggini ha permeato la sfera pubblica» (p. 131).
Tra i dirigenti e gli architetti dei grandi social network che hanno manifestato
pentimenti (tardivi e comunque non di rado a conto in banca sistemato) circa il
loro operato, c’è chi ha ammesso esplicitamente che l’unico scopo delle
piattaforme è quello «di consumare tutto il tempo e tutta l’attenzione
consapevole che si potevano estrarre dall’utente» (p. 188).
Recensione completa qui
La famiglia di un bambino argentino di 12 anni affetto da autismo ha denunciato
il presidente Javier Milei per vessazione nei confronti del figlio intimandogli
di cancellare una pubblicazione sui social dove lo addita come un oppositore.
Secondo quanto riportato da fonti locali e dal quotidiano La Nación, il ragazzo
ha presentato un esposto alla giustizia argentina nel quale accusa Milei di aver
condiviso un messaggio di un influencer vicino al governo che lo calunnia,
definendo lui e la sua famiglia “persone cattive” e legate all’opposizione
politica, accusandoli di agire contro l’esecutivo.
La famiglia denuncia che tale comportamento costituisce una forma di violenza
simbolica, discorsiva e digitale, che viola i diritti del minore e lede la sua
dignità, soprattutto considerata la sua condizione di bambino autistico.
Milei di recente ha ripristinato le parole ‘ritardato’, ‘imbecille’, ‘idiota’
per definire le persone con disabilità.
Fonte Ansa
Cristina Iurissevich ha scritto un piccolo libro (65 pagine), "E se i troll
mangiassero i cookie? Spunti per la sopravvivenza digitale", Eris Edizioni, ma
utilissimo. Il libro, partendo dal presupposto che la tecnologia digitale è
entrata ormai stabilmente nella nostra vita, semplifica concetti, metodi e
strumenti di autodifesa digitale della propria privacy, riservatezza, libertà.
Lo fa in maniera molto chiara e leggibile, ma il suo pregio maggiore non è il
riepilogo delle buone pratiche per difendersi. Iurissevich affronta, infatti, il
tema delle molestie e della violenza online puntando il dito su due aspetti in
particolare: la fiducia verso le persone con cui si hanno relazioni online e la
responsabilità collettiva nella diffusione di materiali sensibili. Per esempio
condividere pasword e account, o prestare il proprio smartphone sono azioni che
richiedono grande fiducia tra le persone ma le relazioni cambiano nel tempo, la
fiducia si può modificare.
Il problema della diffusione di media a sfondo sessuale è spesso legata alla
pratica, molto diffusa, di scambiarsi messaggi o media sessualmente espliciti
(sexting). Di per se non costituisce un problema; non è moralmente giusto o
sbagliato e la sua pratica è in crescita soprattutto tra le persone giovani.
Tuttavia, vale la pena ragionare sui pericoli che derivano dal sexting, anche
alla luce delle considerazioni sulla fiducia, per arrivare a scelte individuali
consapevoli. Anche in questo caso, nel libro ci sono una serie di consigli per
praticare il sexting in maniera meno rischiosa possibile.
Leggi la recensione