La poesia nasce dal clangore delle armi, sotto le possenti mura di Ilio, dove i
vortici di sabbia si levano falbi e alte risuonano le grida dei feriti.
La poesia nasce dal lucore marino del remo che sospinge Ulisse verso ignoti
approdi.
Non illudiamoci: alle origini del mito, è da scuro e caldo sangue che sgorga la
poesia. Il primo poeta deve essere stato un aruspice – le mani vermiglie tra
fumanti viscere, in cerca del celeste presagio.
Solo dopo verranno il Parnaso, le fonti dell’Elicona, lo sguardo celeste e
radioso di Apollo.
L’ispirazione delle Muse: il lusso di chi ha imparato ad addomesticare il furore
delle Erinni.
*
Come Joyce, Nabokov, Kiš e tanti altri, Sebald è stato prima poeta e poi
narratore. Per tutta la sua vita ha scritto poesie, nonostante dichiarasse che
il suo mezzo espressivo fosse la prosa. Con Calliope ha sempre colloquiato
sommessamente, con la discrezione che si riserva ai vizi più imperdonabili. Ora,
Adelphi pubblica per la prima volta in traduzione italiana un’antologia lirica
del tedesco, Sulla terra e sull’acqua, che raccoglie le poesie scritte tra il
1964 e il 2001, quando uno scontro frontale pose fine alla sua esistenza
terrena.
*
Se poesia vuol dire abbracciare la metamorfosi nel corpo e nel tempo della
storia, allora Sebald è stato valente poeta. Di sguincio, come a spiare i gesti
degli uomini, con un occhio teso verso la terra e l’altro rivolto al cielo,
registra il movimento delle costellazioni, le ampie distanze, il silenzio delle
stelle.
La rivelazione accade soltanto in modo fulmineo. Il testo è il tuono che segue e
rimbomba a lungo. Nelle poesie di Sebald, indovini il momento che precede la
scarica elettrica, la tensione che precede lo scioglimento. Senti l’ultima
raffica di vento prima della pioggia, l’imposta che si chiude su una piazza come
sul mondo intero, l’eco di un suono che si dissolve in lontananza.
“Dove vanno adesso i poeti?” – chiede il protagonista di Sindbad torna a
casa, breve romanzo di un malinconico Sándor Marai. La domanda è destinata a non
trovare risposta. I poeti sono ovunque e in nessun luogo: dimorano sulla
soglia.
> Tu resta sempre
> Sul piede di partenza
Essere poeti significa rivendicare la responsabilità di una scelta radicale.
Scrivere poesie vuol dire accogliere le infinite possibilità che l’orizzonte
dischiude.
Come Bashō, Rimbaud, Bouvier e Chatwin, Sebald viaggia nello spazio per spinta
di nervi e cuore. La letteratura viene dopo: prima bisogna aver guadato fiumi,
lasciato impronte sulla neve, incontrato il lampo negli occhi di una volpe. Di
tanto in tanto, aver osservato il tempo all’opera: muschio ed edera che
avvolgono colonne e capitelli, cenere di antichi incendi negli sguardi dei
vecchi.
*
Vertigini, Emigrazioni, Il passeggiatore solitario, Tessitura di sogno: con
Sebald si cammina sempre sul bordo di una scogliera, a sfioro di un precipizio.
Il poeta tedesco ha il passo del fondista: i valichi e le vette sono per altri,
gli astrali alpinisti del verso.
Sull’orlo di un crinale, a mezzacosta, al confine: tra veglia e sogno, memoria e
oblio, passato e presente. Immagino la poesia di Sebald come un faro: distante e
al tempo stesso intima, solitaria, fiero avamposto tra le tempeste marine.
Nelle sue poesie colpisce la naturale convivenza tra una dimensione fisica,
radicata nella storia e nel tempo, e un’altra che invece sembra trascenderla,
attraversandola come un raggio obliquo. Non si tratta di una vera e propria
metafisica, ma piuttosto della vigile contemplazione di un mistero che si annida
nell’esperienza stessa del vivere. Un mistero che si traduce in una sorta di
“straniamento”, in un radicale ribaltamento di prospettiva, in cui anche le cose
e la natura partecipano della natura umana. Così, nella prima poesia che
apre Latinetto, un treno che sfreccia diventa oggetto di studio da parte del
paesaggio circostante. Un mucchio di foglie e sterpaglie vive nell’attesa
angosciosa del fuoco che un uomo appiccherà. Gli alberi e le case tacciono: la
sera accerchia i colori del villaggio con la sua ombra. I castelli sembrano
abitati da incantesimi senza tempo. Così, nel sontuoso Nymphenburg, pare di
vedere un trovatore provenzale o una principessa poeta affacciarsi da una
finestra del palazzo:
> Siepi sono cresciute
> oltre la corte e il castello.
> Da tempo nell’oblio
> fontane e lumiere
> dietro le facciate,
> serenate e pizzicar di corse,
> le sfumature malvacee.
> Per sale in legno di sandalo,
> le guide bisbigliano
> del Tavolino magico
> nelle biblioteche
> dei defunti principi.
*
La poesia è ciò che resta della fosforescenza del vivere. I versi indugiano
sulla pelle di un ricordo.Sebald accoglie e ricombina strade percorse, volti,
città e luoghi dove il tempo si è fatto curva nella memoria. Passato e presente
si intrecciano senza soluzione di continuità: il poeta non conosce cronologia,
né il dolce balsamo dell’oblio. La tentazione dell’autobiografia: testimoniare
una perenne metamorfosi. Così, un viaggio nelle Fiandre diventa un inesauribile
nodo di ricordi, rivelazioni e immagini folgoranti. Il candore della neve
ammanta i vigneti e il giardino pensile di Ezra Pound, il campo di battaglia di
Waterloo biancheggia sul sangue dei caduti, i palazzi nobiliari diventano
istituti di ricerca e osservatori ornitologici. Personaggi bizzarri si alternano
a episodi di glossolalia, sfilano nomi di città come dal finestrino di un
treno.
Il presagio di un amore, infine, riporta un ordine apparente nel vortice del
caos: la premessa di nuove partenze, il richiamo di un altrove che sembra una
promessa di felicità.
> Parti per l’Egeo
> per Santorini
> terra di basalto
> fosforescenza sul remo
> trattieni l’acqua
> nella tua mano:
> luccica – di notte –
> davanti alla casa delle melanzane
> macchia d’ombra nel buio
> sul muro imbiancato a calce
> verde chiaro di giorno
> fili di rafia violetta
> nel sole.
Si avanza per interiori lampeggiamenti, in un’ipertrofia della memoria. Un
soggiorno a Marienbad diventa una dolente riflessione sulla transitorietà della
vita, sulla perdita del sacro, sul presentimento costante di qualcosa di
ineluttabile, antico quanto il respiro del mondo.
> Ma non rimane il mondo?
> così domandasti, una verde landa
> non si estende lungo il fiume
> in mezzo a cespugli e prati? Il raccolto
> non matura dunque? Sulle pareti
> rocciose l’ombra del sacro
> non aleggia più? E quello che
> di là sotto sta salendo non è forse
> il colore grigio della notte?
*
L’occhio di Sebald vaga nelle remote lontananze, ma osserva con lucida
attenzione le vicende umane. Chi ha letto le sue opere, sia narrative che
saggistiche, ritroverà in Sulla terra e sull’acqua personaggi familiari e,
soprattutto, quel tono inconfondibile del suo stile: un effetto di sospensione
temporale, un’accorata meditazione sulla dissoluzione, uno squarcio improvviso
su una realtà ulteriore, dove le tracce del passato continuano a vivere nei
dettagli del presente.
Nel caleidoscopio poetico di Sebald convivono persone comuni e familiari, grandi
scrittori e musicisti: nessuno è risparmiato dall’incessante trasformazione del
tempo. Di Kafka si evoca il viaggio verso il sanatorio di Matliary, nei monti
Tatra, con pochi effetti personali e qualche cartolina illustrata. Čechov viene
ricordato negli ultimi momenti della sua vita e dopo il trapasso, quando la
salma viene trasportata goffamente a Mosca: ne emerge un ritratto tra il
tragicomico e il grottesco. Elegia a Marienbad evoca invece la passione senile
di Goethe per la giovanissima Ulrike von Levetzow. Sempre a Marienbad si
infrange l’amore disperato di Chopin per la giovane boema Maria.
Gli emigranti, da sempre figure centrali nella produzione di Sebald, ritornano
in alcune poesie, al momento della partenza, e poi una volta giunti a
destinazione: spaesati, sradicati, rovesciati nel mezzo di una realtà che non
riescono linguisticamente e semanticamente a decifrare. Il contesto è quello dei
freddi luoghi del viaggio: piroscafi simili a grandi mostri acquatici, sale
d’attesa, aeroporti e vuote camere d’albergo.
In queste poesie, il respiro di Sebald è potentemente narrativo: sembra quasi
che i versi non possano sostenere il ritmo lento e sottilmente allucinato delle
immagini descritte. Lo scrittore dà il meglio di sé quando si affida a
un’ispirazione più vasta e misteriosa, che si traduce nell’esemplarità del
frammento e fa emergere, come in filigrana, un altrove presagito. Penso alla
semplicità di Poesia Invernale:
> Nella valle echeggia
> Il suono delle stelle e
> La vastità del silenzio
> Sopra la neve e i boschi.
>
> Il bestiame è nella stalla.
> Dio è in Cielo.
> Gesù Bambino nelle Fiandre.
> Chi crede sarà beato.
I tre Re Magi sono
in cammino sulla Terra.
E ai suggestivi versi finali di Trigonometria delle sfere:
> E non ti scordare disse una volta
> Che dalla costellazione dell’Ariete
> il vento del Nord porta la luce
> fin negli alberi di melo.
Ora sappiamo perché il Nord ci attira con la violenza di un ago magnetico, o
perché nella notte declinante siede un santo che ruggisce come un leone.
Abbiamo compreso il segreto del poeta, di ogni poeta: accendere il fuoco e nel
fumo leggere il futuro. Portare fuori la cenere e gettarsela alle spalle. Come
Orfeo, non guardarsi mai indietro nel farlo. Con il cinabro pitturarsi il volto
e tentare l’arte della metamorfosi.
Lorenzo Giacinto
*In copertina: Jan Peter Tripp, L’Oeil oder die weisse Zeit, 2003
L'articolo “Il suono delle stelle”. W.G. Sebald, poeta proviene da Pangea.