Lo scrittore è un amante, è il sommo esorcista. Isaac B. Singer: un antidoto contro l’algocrazia

Pangea - Friday, March 14, 2025

Mi piace partire dal potere evocativo delle immagini. Forse è così che, in fondo, è nata la letteratura: ecfrasi della meraviglia. 

Una fotografia in bianco e nero raffigura lo studio di quello che sembra uno scrittore. Un uomo, colto di profilo, sfoglia le pagine di un libro con aria trasognata. Lo circondano manoscritti e cartelle dove sono raccolte pagine e pagine scritte a Varsavia, a Parigi, a New York. Su un ripiano della libreria, una menorah allarga i suoi sette bracci. Dalla finestra di fronte al tavolo pare entrare un fascio di luce: si intravedono i grattacieli di Broadway. L’uomo è Isaac Bashevis Singer. Nel mio bestiario affettivo è una sorta di vispo furetto dagli occhi di ghiaccio, simili ai cieli della sua infanzia in Masovia. 

La fotografia, scattata nel 1979, è sulla copertina del volume adelphiano appena dato alle stampe, intitolato A che cosa serve la letteratura?, che raccoglie alcuni saggi selezionati nel tempo da Singer, pubblicati soprattutto su giornali e riviste di lingua Yiddish. Il progetto, che non vide mai la luce durante la vita dello scrittore, prevedeva la creazione di un libro che rappresentasse il miglior commento alla vasta e potente opera narrativa di Singer. I saggi che compongono le tre parti del libro, pur variando per interesse e intensità, hanno il merito di condurci per mano all’interno del laboratorio creativo del grande scrittore.

“Dentro di me alberga la convinzione che ogni essere umano sia posseduto, e per me i veri scrittori sono coloro che sanno praticare l’esorcismo”.

Così suona l’inizio, fulminante e incandescente, della prima sezione del libro, Le arti letterarie. Lo scrittore si mette in contatto con entità sovrannaturali: sia dato credito all’invisibile. Ponte tra il mondo fenomenico e quello al di là della soglia, Singer scrive sotto l’impulso di un daimon: una voce, o meglio un’energia che si rivela nel disegno dei destini individuali, nel nitore della nostra presenza nel mondo. Scrivere per lento e oscuro svelamento, come se si andasse in terra straniera: riconoscersi dapprima forestieri, nominare le cose appena nate, andare alla ricerca di ciò che si verifica una sola volta.

“Se l’arte ha qualcosa da insegnarci è proprio il fatto che in principio ci fu l’eccezione”.

La letteratura spariglia le carte, corteggia il prodigioso, fiuta come un mastino “la divinità del dettaglio”. Non si tratta però, come per Nabokov, di un eburneo e algido dominio dell’arte: per Singer scrivere è fare i conti con Dio, il creatore per eccellenza.

“Il vero talento non lotta tanto con l’ordine sociale quanto con Dio. Le persone di talento sono spesso pessimiste o addirittura fataliste. Ma non possono essere atee per la semplice ragione che per la loro stessa natura devono litigare con i sommi poteri”.

Due rose bianche non saranno mai uguali: una è sfumata di pallido giallo, l’altra è venata di rosa. Lo sguardo innamorato del creatore si posa sulla differenza impercettibile, su ciò che separa più che unisce. L’irripetibile è la preda dell’artista. Per questo motivo, la letteratura è libera di rotolarsi sui verdi campi dell’immaginazione: priva di vincoli, aliena alle trappole tese dalla psicologia e dalla sociologia. Il talento genuino è dotato di una forza che nessuno può contrastare. 

L’artista, con versatilità di camaleonte e ampiezza di falco, s’installa come un rapace notturno nel cuore tenebroso dell’esistenza. Da qui si rivela il destino di alcuni dei personaggi più emblematici nati dalla penna di Singer: Hertz Grein in Ombre sull’Hudson, Yasha Mazur nel Mago di Lublino, Hertz Minsker nel Ciarlatano. Grandi e piccole città, villaggi sperduti nella steppa polacca, impronunciabili shtetl, diventano il palcoscenico su cui il sommo intrattenitore proietta e fa rivivere il mondo della sua infanzia: quello della palpitante Varsavia di inizio Novecento.

Il cammino della creazione segue un sentiero difficile. Lo scrittore nasce sotto congiunzioni astrali avverse. La cartomanzia non gli predice vita facile.

“La realizzazione di ogni artista è una tantum e si esaurisce nello sforzo. Gli artisti non possono imparare dal proprio passato. Come gli amanti, sono sempre esposti al rischio di fallire”.

Ma quando le Muse sorridono e mostrano il loro volto benigno agli artisti, allora essi 

“creano qualcosa che al prossimo porta gioia, oblio, la sensazione di un piacere soprannaturale, e una visione degli enti superiori che hanno creato il mondo”. 

L’errore più grave che uno scrittore possa fare è presumere che l’epoca del godimento estetico sia finita e che gli artisti possano permettersi di annoiare il pubblico in nome di uno scopo superiore.

“Non esiste un paradiso che ripaghi i lettori annoiati. Nell’arte, come nel sesso, l’atto e il godimento vanno di pari passo”.

Gli scrittori più grandi sono intrattenitori nel senso più alto del termine. Isaac B. Singer, novecentesco Omero della Vistola, è narratore d’altri tempi. Come un bardo, un cantastorie medievale, girovaga di città in città, di paese in paese, raccontando storie agli angoli di piazze colorate, davanti a cattedrali fiammeggianti. Le sue parole evocano immagini plastiche, simili a quelle che adornano i fregi dei templi e le svettanti colonne trionfali. C’è, nel periodare calmo e ipnotico di Singer, una saggezza millenaria, un raccoglimento da focolare, un finale ricomporsi in armonia attraverso le sfide dell’ignoto: un non so che di dolceamara fiaba.

Leggere Singer richiede di andare oltre la sospensione dell’incredulità: bisogna albergare in sé stessi semi di meraviglia, estendere l’ospitalità del pensiero verso quello che si trova dall’altra parte della foresta incantata. Occorre credere agli angeli, ai folletti e ai fantasmi; accettare virtù e nefandezze delle forze magiche; accogliere i chiasmi e le antinomie della sempre mutevole creazione divina. In questo senso, bisogna risvegliare il bambino che forse ancora vive dentro di noi:

“I bambini non hanno alcuna difficoltà ad accettare l’esistenza di Dio, degli angeli e dei demoni. Si potrebbe dire che abbiano un senso istintivo del soprannaturale”.

E allora, da quale lingua, se non dallo yiddish, può sgorgare la sorgente della meraviglia? Idioma dell’esilio e dell’identità, lo yiddish si fa ponte tra culture e modi di creare, diventando, nelle mani di Singer, una vera e propria lingua-arca, che nomina le cose prima e dopo il diluvio, tra le ferite laceranti della storia.

Il mare dell’immaginazione e della creazione è vastissimo: custodisce innominabili meraviglie, ma nasconde perigliose insidie negli abissi, temibili Scilla e Cariddi. Il compito degli scrittori in prosa 

“è quello di evitare le frasi abusate cercando allo stesso tempo di non ignorare l’essere umano vivente. Di sorvolare il più rapidamente possibile su ciò che è comune a tutti, e di sottolineare l’elemento che invece è unico. Di fare uso della conoscenza senza diventare pseudoscienziati, sociologi o psicologi da strapazzo, o peggio dei moralisti. Di cercare con ogni forza l’effetto simbolico senza cadere nel simbolismo”.

Al tempo stesso, lo scrittore di talento deve essere paladino della purezza in letteratura, rivendicandone con forza la dirompente e libera creatività. In una vibrante filippica che suona quanto mai attuale, Singer si scaglia contro la banalità della nostra epoca, fatta di fatue mode letterarie, corsi di scrittura creativa e capricci di editori. Viviamo in un tempo di 

“impazienza artistica che baratta l’amore con la pornografia e maschera la propria impotenza con una superpotenza meccanica”. 

Come antidoto all’algoritmo, la nuova stella polare che orienta gusti e tendenze, Singer sembra dirci che la nostra unica salvezza si trova nella ricerca continua della bellezza. 

 “A thing of beauty is a joy forever”, recita il meraviglioso verso nell’Endymion di Keats.

Infine, ci sia concessa un’ultima riflessione sul titolo scelto per la versione italiana: A che cosa serve la letteratura? La letteratura non è serva né ancella. I suoi unici servitori sono le schiere di lettori innamorati. Conosco più di uno scrittore che si è già adombrato nei Campi Elisi.

Lorenzo Giacinto

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