
“Anche sul prato della fine del mondo”. Storia di Pyramiden, la città fantasma. Dialogo con Linda Terziroli
Pangea - Monday, May 26, 2025Poco importa che si riferisse alle bianche montagne che spiccano alle spalle della cittadina: quel nome, attribuito con razionalità da irragionevoli, ha un sapore di Egitto, di gesti che adombrano, con severità, la rivoluzione degli astri, di un mistero ispido, felino, del sangue che nutre l’oltre, un aldilà di angeli sciacalli, lo sciacallaggio dell’io, e quell’arrischiata geometria – Pyramiden-Piramida-piramide – che incombe, come se si potesse armonizzare il pasto, favoleggiare su una dottrina dell’assalto, approvvigionare il cuore di memorie passeriformi.
E poi, sì, il ghiacciaio – il Nordenskjøldbree – che pare una Sfinge, gonfio di leonini, femminei enigmi; il fiordo che fende una liceale idea di fede; l’idea che lassù, alle Svalbard, esista il Messia paria, l’impari, in forma orsina, l’irsuto, nonostante l’impero dei Soviet che manda a pascolare i sudditi negli inaccessibili luoghi. Uomini che, per incuria e per purezza del luogo, divengono torce, uomini-fuoco. Già. La Terza Roma, Mosca, che fa proseliti al Polo; Cirillo trapiantato in una baia. Pyramiden come Gerusalemme, allora: forse è lì, nella fantomatica città – dismessa dagli anni Novanta, oggi meta degli estremismi del turismo –, che avverrà il Giorno.
Lascia una stimmate nel cuore la vista di Pyramiden, se non altro per quella sproporzione di un Eden all’estremo Nord. E poi: la sovranità dell’uomo che vuole costruire città in luoghi a lui sigillati. In scala, Pyramiden mi ricorda l’utopia di Cosimo I de’ Medici, Granduca di Toscana: ribattezzò “Città del Sole” – già nei ventricoli del nome, l’idra dell’utopia, una solarità nera, la nigredo di Adamo – un borgo costruito sul Sasso Simone, impervia rocca nei pressi di Carpegna, poco lontano da Urbino. Della città – col mastio, la chiesa, il tribunale e le botteghe –, ideata tra astrazioni, nel laboratorio fiorentino del Granduca, restano tracce di vie, rudi cisterne: sfiorì in un secolo, falciata da cupi inverni, dalle intemerate dei lupi, dal dilagare di delittuose malattie; nel XVII secolo era già spirata. Dicono di un ebrietà di orsi.
Pyramiden, però – ecco, il miracolo (e la condanna) del gelo –, non è sparita; è lì, l’espianto dei volti, le vite confitte, la confettura dei ricordi. Inossidabile memoria del Nord. Così, intorno a Pyramiden. Una città fantasma (Bertoni, 2025), Linda Terziroli ha costruito un romanzo di ferma ferocia – che è poi, anche, un modo per dire: sono sopravvissuta, sono qui, a tempio disfatto, con la piccola reliquia tra le palpebre mani.

Ma un libro, soprattutto, non è la cronaca dei fatti, bensì carrellata di immagini. Ne scelgo due, indelebili, che vanno incapsulate l’una nell’altra a dire della ricerca dell’assoluto, di una innocenza che giunge dai primordi della pena. La prima:
“Le altalene davanti alla scuola danzano, oggi, scricchiolando, al gelido fiato del vento polare… I bambini, che non erano numerosi quanto gli adulti, si divertivano per ore su quelle magre altalene azzurre di acciaio verniciato. Nonostante il freddo, nonostante la penuria di luce. I bambini sanno giocare ovunque. Anche sul prato della fine del mondo”.
L’altra riguarda l’animale:
“Dietro il nuovo capanno di legno si muoveva un orso bianco di almeno duecento chili… Era ormai da un paio d’anni che non mi capitava di vedere un orso da così vicino. Potevo sentire il suo fiato caldo. E, soprattutto, il suo odore acre. Ho visto la sua bocca spalancata, i denti piuttosto gialli. Il giallo della pelliccia vicino alle fauci. E soprattutto i suoi occhi che mi guardavano. Forse non mi avrebbe fatto del male. Gli animali di varie specie hanno un rispetto quasi religioso nei confronti di una donna incinta. L’avevo letto da qualche parte. Ero sorprendentemente tranquilla. Intercettare il suo sguardo, tuttavia, mi ha dato una scossa violentissima. Era il suo sguardo a graffiarmi con potenza”.
Più che a Guido Morselli – autore-totem di Terizoroli – si va a volte nei dintorni di Karen Blixen. Quando incontrano un orso, gli Iacuti lanciano un’invocazione:
“Modera la tua ira!
Se tu volessi ritirarti nel profondo della foresta,
come una crepa nel legno,
diverresti simile a una soffice piuma di zibellino”.
Nel romanzo, alla protagonista, ignara del sistro e del tamburo, insegnano a maneggiare il Mosin-Nagant “in caso di necessità”: un fucile a ripetizione tra i più usati nel regno sovietico. Ma qui è accaduto qualcos’altro. Il nascituro, forse, avrà la statura di un compiuto essere, non sarà più mero strumento dell’uomo.
Ad ogni modo, ho interpellato Linda.
Preliminare: perché l’ossessione del Nord?
Che cosa si prova quando ci si accorge, improvvisamente, di non aver scampo? Mi hanno sempre affascinato le storie ambientate al Polo. La tragica fine tra i ghiacci del celebre esploratore Roald Amundsen, scomparso per salvare il vecchio rivale Umberto Nobile. La celebre “tenda rossa”. Ma anche la spedizione scientifica di Salomon August Andrée nel 1882. La storia della casa svedese a Kapp Thorsen, nell’Isfjorden, a Spitsbergen, il cuore dell’arcipelago delle Svalbard dove diciassette cacciatori di foca trovarono la morte nell’inverno 1872 – 1873. Tanto per citare alcune storie artiche che mi appassionano molto. Il Polo Nord è aspro e senza speranza, inospitale e sublime. Con una luce abbagliante e una tenebra feroce: è terra dai forti contrasti. Terra di conquista e terra di morte, dove si distilla l’umanità perché la natura prende il sopravvento, perché l’uomo di fronte alla natura è destinato a soccombere. Le storie polari sono dense di eroismi e di tragedie. L’odore di morte è sepolto da una coltre di mistero e non riesci a cogliere il segreto del suo mistero, ma ne sei catturato, soggiogato come da una malia. Sono terre affascinanti che serbano in grembo molte storie affascinanti che devono essere ancora portate alla luce.
Poi: Pyramiden. Che cosa ti affascina di quella città-fantasma, erede geologica di un tempo perduto, non so quanto da rimpiangere?
Pyramiden è il nome di questa città mineraria sovietica, ormai un fantasma nel cuore dell’isola di Spitsbergen, alle Svalbard, che si trovano appunto in Norvegia. Fondata da minatori svedesi nei primi anni del Novecento, la città fu venduta ai russi nel 1927. E ancora oggi è un avamposto russo in terra norvegese. Ma al di là del dato, del riferimento storico, un tempo sovietico che non esiste più, un sogno di grandezza piuttosto assurdo nel cuore del fiordo, l’idea di piramide che evoca il suo nome certo fa riferimento alle montagne piramidali o se vogliamo triangolari che qui si vedono, ma ancor di più mi fa pensare alla morte. Ad una pace (come è scritto sulla montagna della città in cirillico “Miru Mir”) che è una riduzione al silenzio, un riposo fatale, una istigazione al suicidio, un calice di veleno. Un luogo, insomma, in cui il passato si congela e si squaderna placido davanti al tuo sguardo, come un freddo cadavere. Un luogo in cui la notte artica allunga una coperta di tenebra e la luce illumina un mistero che non sei in grado, razionalmente, di interpretare.

In esergo: Ezra Pound – perché? Poi, Pascoli. C’è forse un refrain, un sottofondo lirico che anima il romanzo?
Ciò che ami veramente rimarrà, ciò che ami veramente non ti sarà portato via, è la tua vera eredità, scrive Ezra Pound. L’oggetto del nostro amore non è quindi un luogo, non è un qualcosa che ci può essere strappato, è invece qualcosa che rimane per sempre, come un ricordo ancorato al cuore. Ecco il senso del ritorno della protagonista – a distanza di tanti anni – nei luoghi in cui ha vissuto come insegnante, ormai ridotti a relitti, a fotografie ingiallite e perdute sul fondo di un cassetto. Si accorge, insomma, Anna, la protagonista, che non serve ritornare dove era stata una giovane insegnante innamorata, da ragazza, ormai che è donna. Tutto quello che le serve è ricordare. Ricordare tuttavia non significa ricostruire il passato e le sue verità. La verità è opaca e il male che in questa strana terra perduta si consumava non si legge chiaramente ad occhio nudo. La verità è che le radici del male sono spesso ben nascoste e sono piuttosto aggrovigliate.
Da dove ti è arrivata questa storia, come l’hai elaborata?
Sono certa che la potenza di un luogo misterioso come Pyramiden può essere in grado di stregare anche il più razionale e indifferente degli uomini. Dopo aver visitato Pyramiden, ormai diversi anni fa, ho iniziato a visitarla dal punto di vista narrativo e mi sono spesso domandata come inserire una vicenda inventata tra le pagine di un luogo così particolare e seducente e inquietante. Ho quindi pensato che certo doveva essere un luogo di morte ma anche la culla di un amore tragico e tormentato. Una mia amica mi ha detto che è un romanzo da leggere nel cuore dell’inverno.
Che cosa hai scelto di omettere, di velare nel pudore? Qual è ‘l’indicibile’ del tuo romanzo?
Ho scelto di omettere e quindi di non rivelare alcuni particolari che potrebbero spiegare il comportamento enigmatico di un paio di personaggi. Perché mi sembrava molto interessante non dare troppe spiegazioni. Non mettere le mani avanti. Non tenere per mano il lettore. Ma nella vita non è forse così? Quello che vediamo è sempre vero? La spiegazione che ci danno di alcune vicende del passato è vera del tutto? La voce che sentiamo nel bel mezzo della notte è il grido d’aiuto o una raffica di vento gelido? Inoltre, mi piaceva l’idea che la protagonista, un poco per volta, arrivasse a capire di essere ascoltata, controllata e spiata. Del resto, a Pyramden, con l’ufficio con le finestre sbarrate del KGB più a nord della Terra, potrebbe essere piuttosto qualcosa di corrispondente alla verità.

Ritaglia un nugolo di frasi dal libro, quelle che ritieni importanti.
Ad esempio questa che ha a che fare con l’insondabilità della verità e del male.
“C’è sempre un giorno in cui uno dei veli che copre la verità scende e puoi contemplare una parte della realtà in tutta la sua crudezza e la sua integrità, ma solo una parte minima e alquanto stropicciata. La vedi e senti come un’ustione sulla pelle. Per me quello è stato un giorno particolarmente freddo, era marzo, ma la temperatura era di dieci gradi sotto lo zero e, nonostante questo, si iniziava a intravedere il risveglio della primavera. Il fiordo ghiacciato cominciava a mostrare le prime crepe, i primi cedimenti, sotto il respiro della stagione più mite. Si sentivano dei rumori provenire dai ghiacciai. Improvvisamente si staccavano pezzi di ghiaccio con il fragore improvviso, spaventoso come di un colpo di fucile”.
Oppure penso alla descrizione di una donna bellissima, ricoverata nel grembo dell’ospedale inaccessibile che è prigioniera della sua pazzia e delle conseguenti, drammatiche cure della sua stessa malattia mentale.
“Congiungeva le mani, sembrava pregasse. Ho pronunciato il suo nome, prima con un sussurro poi con la voce più alta. “Nastas’ya, Nastas’ya!”. Lei che ha capito di essere chiamata, ha diretto lo sguardo nella mia direzione e ha sorriso. Ma nella sua bocca c’erano solo saliva e gengive spoglie. Sorrideva, ma non aveva nessun dente in bocca. Glieli avevano strappati tutti”.
Questa frase che segue penso invece racchiuda, in uno sguardo, il significato che ho tentato di dare alla mia storia ambientata nella città fantasma di Pyramiden:
“Quando muore, il passato continua a sopravvivere in una stanza piena di polvere, dentro il nostro cuore. Camminando tra queste pietre, ci sono migliaia di occhi che ci scrutano”.
E ora? Cosa scrivi, cosa studi?
Ho presentato pochi giorni fa il saggio La nascita nella letteratura (Oligo editore) che è uscito dopo il romanzo Pyramiden. Un itinerario nel cuore dell’ossessione della maternità, un viaggio tra le pagine letterarie dedicate al parto e all’aborto. Cerco sempre di trovare nuovi terreni di riflessione accanto alla passione per gli autori che amo, come certamente Guido Morselli. In questo momento, sto studiando le scrittrici del Novecento, cerco di ascoltare la loro voce, di distinguere e distillare insomma la voce femminile che è, di per sé, più bassa, più misteriosa e, per certi versi, fioca rispetto a quella maschile. Ma talvolta è necessariamente più potente e audace.
*In copertina e nel testo: immagini da Pyramiden
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