
“Fa’ razzia dell’io, fai a pezzi quella iena”. Le poesie mistiche di Sultan Bahu
Pangea - Saturday, June 28, 2025Di solito, la storia delle religioni da’ su un bivio implacabile. Da un lato, la via della Legge – il viatico dell’obbedire – dall’altro quella del cuore – l’ammutinamento a sé, la più sublime obbedienza. Da una parte, un radicare il dio in questo mondo, nel mondano; dall’altra, sradicarsi dal mondano, tornare mondi, rientrare nel feto del tempo, in un perpetuo primo giorno del mondo. La via ‘legalista’ – che è poi: riflessione nei meandri dei sacri precetti – ha la sua ancella nella vita ‘attiva’: il fedele partecipa alla Storia, si fa carico delle storie di tutti, è presente nel ‘sociale’. La sua vita è moralmente integra: mira a creare una città celeste nelle nostre metropoli. Al contrario, c’è chi smaterializza la Legge fino al simbolo, fino al suo superamento; si fa estraneo alla Storia perché partecipe dell’Eterno, non contempla il ‘sociale’ – pur amando l’uomo come amerebbe un insetto o una pietra – perché tutto è già salvo: la ‘non azione’, o meglio, la contemplazione – questa è la sua via – lo porta a estraniarsi dal mondo, a preferire la solitudine. Per gli uni, è da attendere il Giudizio, che separerà i retti dagli irredenti, per quest’altro il Giudice ha i contorni sconfinati dell’Amato. All’agorà, all’assemblea, costui preferisce il deserto – perché soltanto lì potrà rinfocolare un eden, un giardino –; alla politica predilige i sentieri dell’apolide, alla teologia la fame, ai paramenti sacri la nudità, al rito la preghiera incessante. Il suo spazio non è il tempio – angusto chiavistello di Dio – ma il vento, l’incavo tra le rocce e il roveto, il fuoco e la nube: i luoghi dove agli esordi Dio parlava, muggiva, fischiava.
Queste due dimensioni – la prima alla luce degli eventi storici, l’altra nelle tenebre del nascondimento: ma lo spettro di tale lucore è illusorio – presiedono ogni sentiero spirituale; a volte sono in contrasto, di certo non sono sovrapponibili. Se il rischio del primo livello è la retorica fine a stessa, il formalismo, l’Iddio bigiotteria, l’Iddio orpello; quello del secondo è l’afasia, l’abulia, la confusione tra miracolo e miraggio, fino a fare del deserto un idolo, della solitudine una regola, una reggia. Al contrario, la via ‘negativa’ incendia ogni norma, ogni ‘normalizzazione’: la regola è l’irregolare, a lambire il fuorilegge, dacché, per natura, nulla è fuori dalla legge di Dio.
Nato nel gennaio del 1630 in Punjab, all’epoca dell’India Moghul, di Sultan Bahu sappiamo poco, oltre i veli dell’agiografia, Manaqib-i Sultani, scritta molti anni dopo la sua morte, accaduta nel 1691. Da ragazzo, amava vagare nelle foreste; fu la madre, Ravi, nel tentativo di avviare a un destino a temperatura spirituale quel figlio indocile, ad affidarlo a un maestro sufi. Bahu studiò a Delhi, si affratellò alla Qadiryya, l’ordine fondato da Abdul Qadir Gilani, diffuso in India, Pakistan e Afghanistan. Visse scrivendo, insegnando una rude compassione; fondò una confraternita, “Sarwari”, che predicava l’annientamento in Dio, l’inutilità dei precetti esteriori, la folgore di un contatto diretto con il divino. Esprimeva i suoi insegnamenti in poesie di glaciale nitidezza, sagaci nel paradosso, nell’esasperare i modi della poesia persiana: l’estro erotico (tipico in Hafez, ad esempio) si esaurisce nella meditazione, in quel rogo azzurro; il cuore non è più un incendio ma un oceano. A volte, Sultan Bahu procede per terzine polemiche, che stigmatizzano chi crede di poter ingabbiare Dio in un luogo, un lemma, un codice:
“Dio non giace sui troni, Dio non è imprigionato alla Kaʿba
non troverai Dio nei libri, Dio non è nel mihrab, nel mirare alla Mecca.
Egli non si sprigiona se nuoti nel Gange o se intraprendi un pellegrinaggio”
La purezza non proviene dal fiume, la fede non si basa sui ‘pilastri’ dell’islam. “Le poesie mistiche di Sultan Bahu esprimo una critica alle forme, alla cristallizzazione legalista, alle istituzioni del religioso; egli crede nella possibilità di una relazione individuale con Dio. Bahu enfatizza il punto centrale del Sufismo: l’assoluto amore, la profonda dedizione a Dio sono il risultato di uno smarrirsi nel divino. Per ‘annegare in Dio’ è necessario eliminare tutti gli ostacoli, i desideri, gli umani affetti, l’attaccamento al mondo carnale, transeunte. Attraverso un sistematico distacco dal mondo e la pratica dell’ascetismo sotto la guida di un maestro – cioè: meditando incessantemente il nome di Dio – il Sufi avrà successo e domerà l’anima” (così Jamal J. Elias in Death Before Dying. The Sufi Poems of Sultan Bahu, University of California, 1998).

A dire di Sultan Bahu, l’intelligenza serve a sbriciolare l’intelletto, la cultura distoglie dalla ricerca del vero, la cui lampante evidenza è avvelenata dai chiosatori. Come tutti i mistici, i poeti-profeti, Bahu ama guerreggiare con il linguaggio attraverso l’arma del paradosso:
“Per rintracciare l’Amato ti basti la prima lettera, alif
non hai bisogno di aprire il Corano”.
Nel suo vagabondaggio nelle tane dell’eterno, Bahu sembra oscillare tra la “preghiera del cuore” – l’insondabile mantra, auspicio di una perdizione che orienta, lanterna degli esicasti e del ‘pellegrino russo’ – e i “doveri del cuore” (Chovot ha-Levavot, il trattato di Bahya ibn Paquda, rabbino vissuto nella Spagna islamica un millennio fa). Eppure, gli è necessaria la poesia, garrulo dire da fedele in disgrazia, il cui alimento è l’amore:
“Come il falcone è impedito al volo se gli legano le zampe
così, senza amore, Bahu smarrisce ogni parola”.
Sapienza degli insipienti, vocabolario di analfabeti, gloria degli ignoti e degli ignavi, vita da lebbrosi d’amore: ogni contrasto è varcato da chi percorre la via negativa. Il frainteso è ovunque, le trappole degli artificieri d’accademia pure: la vera fede è tacciata di infedeltà, l’innocenza presa per abominio – ma è proprio quello il segno. Della vita di un uomo, a ben dire, non resta che il sussurro, il flebile fiorire di una leggenda – un’esasperazione di oasi. Chiameremmo colibrì quel Corano colabrodo – di lui diranno: si è fatto in briciole per attirare Dio, perché se ne nutrisse, a piene mani.
*
Sultan Bahu
(Shorkot, Pakistan, 1630 – Jhang, Pakistan, 1691)
Sei infimo se infine
all’essenza divina
non ti affratelli
Fa’ razzia del tuo io
fai a pezzi quella iena
Se i desideri ti sovrastano
resterai uno svergognato
Uno che vive già nella tomba
*
Non sopporto la padronia
del cuore – i desideri
mi logorano
Gli amici non sanno
acquietare il cuore
l’amore è un incendio
Nell’arena dell’amore
tutto arde e tutto muore
Mi sacrifico perché Bahu
persiste nell’impazienza
*
Pietà inondi Shorkot
la città di Bahu
Pietà ammanti
cercatori e pionieri
con la stessa cura
con cui il giardiniere
accudisce i fiori
La divina visione della Pietà
si appropria di te all’istante
Bahu, l’uomo nobile,
accoglie l’amato nella sua casa
*
Vivi nel canto:
sei un discepolo
diventa cercatore
Aggrappati al manto
del maestro – un maestro
diventa
Immergiti nel credo:
se pronunci
continuamente
il nome di Allah
Allah ti purificherà
*
Chi pratica lo spirito
senza la sapienza
è un infedele e morirà
demente
Lo adorano da secoli
ma nessuno conosce Allah
L’ignoranza erige templi
in cui dimora un idolo
analfabeta – c’è
Chi attenta all’Unità
dell’Uno: a lui io
mi attengo
*
Non ha luogo l’intelletto
non ha casa il pensiero
nelle segrete del Glorioso
Non esistono mullah
né astrologhi né chi strologa
in teologia – tutto
Ha annientato il Divino
Io, Bahu, ho avuto accesso
ai misteri della sapienza
senza aprire alcun libro
*
L’amore arde e mi chiama
alla preghiera – le orecchie
rispondono alla chiamata
Eseguo l’abluzione nel sangue
Allah mi chiama, vuole
che io mi annienti:
Nessun ritorno è possibile
Chi accoglie la chiamata
realizza il sapere
*
Soltanto un vero
amante può eseguire
la preghiera d’amore
che non ha parole.
Nessun altro può cantare
l’inno d’amore: egli
Esegue l’abluzione con il sangue
del cuore e le lacrime degli occhi
La lingua non si muove
le labbra non tremano:
questa è la vera preghiera
*
Se ami sei nel rogo
e il tuo cuore è una montagna
Nemici a frotte
fiottano insulti: per te
non sono che prati in fiore
Come Al-Hallaj crocefiggi
il tuo segreto: non
Desistere dall’umiliazione
che continuino a dirti infedele
*
Chi ama vaga
nell’incendio
Vive in due mondi
chi ha donato l’anima
all’Amato
Perché accendere una lampada
quando il cuore è già luce?
Oltre i regni dell’intelletto
Bahu annienta ogni
forma di intelletto
*
Il cuore è un abisso
più profondo dei fiumi
e degli oceani: chi può
dire di conoscerlo?
Nei suoi meandri:
velieri e zattere
alberi e mozzi – come
una vela si dispiegano
i quattordici regni
tra gli spiragli del cuore
chi ha confidenza con il cuore
detto Bahu sarà amato
dal Salvatore
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