“Oltrepassa la soglia del visibile”. Sulla Sapienza di Gesù Cristo

Pangea - Thursday, October 30, 2025

Il Vangelo di Marco, come si sa, finisce con un colpo di ghigliottina, con una immedicabile cesura. Giunte al sepolcro vuoto, le tre donne – “Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salome” – scappano, “fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore”. Paura le ammutolisce, “e non dissero niente a nessuno”. 

Se investighiamo il greco le cose assumono un’altra sfumatura. Le donne scappano perché tremano (tromos) colte da estasi (ekstasis). Sono come in trance, sono fuori di sé, rapite da dionisiaca ebbrezza: anch’esse un sepolcro vuoto. Uno degli epiteti del “Dio vivente” è il terrore: è “terribile (phoberos) cadere nelle mani del Dio che vive”, scrive Paolo. Un terrore che impone riguardo, devozione. 

Alle estatiche donne un misterioso “giovane… vestito d’una veste bianca”, assiso di fianco al sepolcro, dice che “Gesù Nazareno, il crocefisso, è risorto, non è qui… Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete”. Il timore delle donne davanti al giovane (“ed ebbero paura”) ricorda il turbamento di Maria di fronte all’angelo: lì si annunciava una nascita miracolosa, qui una ancor più miracolosa seconda nascita. È più facile credere all’invisibile che si annuncia in nuce d’angelo che alla verità di un corpo disfatto, maciullato, sviscerato, disossato di sé, grave di sangue. 

Chissà se poi le donne sono andate, in Galilea. 

La Sapienza di Gesù Cristo comincia da lì: dal dubbio, dal timore, dall’estasi. Il testo gnostico, databile tra il II e il III secolo, è conservato nel Papiro di Berlino (1896), tra i papiri di Ossirinco e nella vasta messe di testi scoperti a Nag Hammadi. Era dunque testo noto, importante, fin nella sovrabbondanza del titolo. In lingua inglese esiste la traduzione completa di Douglas M. Parrott; Mauro Pesce ne ha inglobato alcune lasse in Le parole dimenticate di Gesù (Fondazione Lorenzo Valla, 2004).

In questa Sophia, il Cristo appare trasfigurato, irriconoscibile (“non nella forma che ricordavano”): il dialogo con i discepoli – la prima domanda, che implica una gerarchia, è di Filippo; poi prendono la parola Matteo, Tommaso, Maria e Bartolomeo – permette al Salvatore di spiegare la creazione del mondo e del tempo, il fine del creato, il destino dei discepoli. Secondo la cosmogonia gnostica, esiste un Padre originario, un pre-Padre, che inaugura la lenta opera di autoconoscenza; Sophia è l’elemento femminile del divino. Alle origini, è un proliferare di legioni angeliche, di celesti esseri, di abnormi creature in una continua dinamica di azione e distruzione (d’altronde, “C’erano sulla terra i giganti”, si dice in Gn 6, 4). Il Salvatore, per così dire, è eccedenza – finanche, difetto, benefico veleno – nell’ordine delle cose: rompe lo schema di vita-e-morte, si disgrega dall’immobilismo divino, porta la luce “vengo per estirparvi dall’oblio”. Il Salvatore è una figura prometeica. 

La Sophia Jesu Christi fonde la rivelazione evangelica ai misteri greci; ciò che anima il testo è ossessione per la salvezza, per la purificazione; centrale è la domanda sul senso del male, centrale è il corpo corrotto che tenta riparo, ristoro. Il sistema gnostico prevede un’aristocrazia dell’intelletto: si ascende tramite strenuo percorso conoscitivo. Ciò che svanisce, è la cuspide dell’evangelo: il Crocefisso, l’Iddio dei corrotti, l’Iddio dal corpo rotto e in rovina. Tale carnalità latra – incute terrore. Il non avere altro che quello – sangue che stilla dalle stimmate – confonde, confina nel dubbio.

Nella Sophia, secondo lo schema della sapienza greca, il Padre forgia il creato dopo essersi osservato in uno specchio (“Vide se stesso in uno specchio”). Ma lo specchio è il demoniaco – la copia che divora l’origine, l’originario. A dire di Proclo, fu Efesto a “fabbricare uno specchio per Dioniso” e “il dio guardando dentro di esso e contemplando la propria immagine si slanciò alla fabbricazione di tutta la pluralità”. Figura ambigua, lo specchio: fa dell’apparente un’apparizione; chi cerca di riconoscersi in esso si trova disconosciuto, contraffatto. Cosa deve vedere di sé il Padre in uno specchio – cosa che già non sappia? Nella Sapienza di Gesù Cristo lo specchio è abisso, buco nero, vortice – è la grande vulva, il dio per sempre gravido che crea copie di copie di copie di sé. Dio-feto, dio-incesto. 

Nel Vangelo, piuttosto, il Padre si rispecchia nel Figlio; Gesù si rispecchia nei volti sbigottiti dei discepoli – fino a che punto il Risorto è diverso dal Nazareno? 

In questo gioco di specchi – che, contrapposti, sfoggiano l’infinito – cosa resta, quale l’arenaria che possiamo dire ‘immagine’? Quale l’originale?

San Paolo – in 1 Cor 13, 12 – lega lo specchio all’enigma: lo specchio-Sfinge ci fissa divinandoci, divorandoci. Lo specchio-Polifemo, lo specchio-Sauron: nostro compito è sfuggire all’onnipotente fame dello specchio per ridiventare noi, per ricondurci nel greto della vera forma. 

Galilea – il luogo dell’appuntamento con il Risorto, che è il luogo dove tutto ha avuto inizio (Mc 1, 14) – è il lemma di una geografia sapienziale, è nome al di là del nome. Come fu Israele per gli ebrei, Galilea sia il nuovo nome dei cristiani: Galilea è il luogo in cui tutto si sprigiona, in cui tutto si sbriciola. 

Il proliferare dei detti gnostici null’altro dice se non che la conoscenza è il solo peccato, è l’ambone da cui professa il demone della separazione e della confusione. Gesù non si apprende perché è lui il predatore, è lui che ti prende. Gesù, il sommo analfabeta – secondo la spiazzante intuizione di José Bergamín – non si installa in codici, in grammatiche, in enciclopedie. La sola sapienza, qui, è l’insipienza, l’uscita da sé, la santa insania dei folli e degli ispirati. Il regno di questo mondo – dei filosofi e degli esperti, degli scaltri e dei letterati – mostra la sua indecente indegnità: tutto è disperso, ora – chiamateci disperati, è sconveniente, ai vostri occhi, perfino questa gioia che ha dote di lacrime. 

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Sapienza di Gesù Cristo

(II secolo)

Dopo essere risorto dai morti, i dodici e sette donne lo seguirono, si diressero in Galilea nel monte detto ‘Divinazione e Gioia’. Uniti, erano, e dubbio li avvelenava sulla realtà dell’universo, sui piani della santa provvidenza, sul potere delle potenze e su tutto ciò che il Salvatore compiva nel segreto. Allora apparve il Salvatore – non nella forma che ricordavano ma in invisibile spirito. Somigliava al grande angelo della luce. Ma non mi è dato descrivere il suo aspetto. Nessuna carne mortale può contenerlo, ma solo la carne pura e perfetto che egli ci ha mostrato sul monte detto ‘Degli Ulivi’. 

E disse: “Pace a voi, a voi do la mia pace”. Spavento li confuse. Rise il Salvatore dicendo, “Cosa pensate? Che dubbio vi divina? Di cosa siete in cerca?”. 

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Disse Matteo: “Signore, a verità nessuno può accedere se non tramite te. Inoltraci alla verità”.

Disse il Salvatore: “Colui che È è ineffabile. Nessuno principio lo preda né autorità né obbedienza a creatura alcuna dalla fondazione del mondo – proviene dalla Prima Luce e soltanto a chi vuole si rivela. Da ora io sono il Grande Salvatore. Immortale, eterno egli è. Non ha nascita perché ogni cosa che nasce muore. Ingenerato, non ha inizio – chiunque ha inizio, infatti, finisce. Nessuno lo governa e non ha nome – chiunque ha nome, è la creazione di un altro…

È infinito, dunque è incomprensibile. È imperituro e non somiglia a nulla. È immutabile nel bene. È senza difetto. È eterno. È il benedetto. Da tutti sconosciuto, è la conoscenza in sé. Incommensurabile – irraggiungibile – perfetto – immortale. Ditelo: ‘Padre dell’Universo’”. 

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Maria gli chiese: “Signore, come possiamo conoscerlo allora?”

Il Salvatore, il perfetto, disse: “Giungi alle cose invisibili, oltrepassa la soglia del visibile. Il Pensiero ti rivelerà che la fede nell’invisibile si trova setacciando le cose visibili, investigandole. Chi ha orecchie per udire, ascolti!

Non ‘Padre’ si chiama il Signore dell’Universo, ma ‘Pre-Padre’, principio di chi apparirà, antenato che non ha inizio. Vide se stesso in uno specchio – si vide somigliante a se stesso – apparizione pari al Divino Padre di Sé, confronto di ogni confronto, il Primo Esistente Ingenerato Padre. Pari in antichità della Luce che lo precede ma non lo eguaglia in potenza.

In seguito apparve moltitudine di esseri autogenerati, eguali in età e potenza, in gloria, innumeri, la cui stirpe è detta ‘Generazione Senza Regno’. Quella moltitudine non soggetta a regno è detta ‘Figli del Padre Ingenerato, Dio, Salvatore, Figlio di Dio’, e con voi ha somiglianza. Ma ora lui è lo Sconosciuto, l’inconoscibile grave di inalterabile gloria, di ineffabile gioia. Tutti riposano in lui, esultano in lui, giubilo che non ha misura; questo non è mai stato udito finora negli eoni e nei mondi”.

Matteo gli chiese: “Signore, Salvatore, come si è rivelato l’Uomo?”

Il perfetto Salvatore disse. “Voglio che tu sappia che colui che apparve all’universo nella sua infinità, l’Auto-eletto, l’Innato, il gravido di luce, al principio, quando decise di dare la sua immagine a una potenza, quella Luce apparve come l’Immortale Uomo Androgino, affinché attraverso di lui potessero giungere a salvezza e risvegliarsi dall’oblio, attraverso l’inviato, il solo interprete che è con voi fino alla fine della povertà e della razzia. 

Sua consorte è Sophia, fin dal principio destinata a unirsi a lui tramite il Padre Auto-generato e l’Uomo Immortale, che apparve come Primo in divinità e regno, come concesso dal Padre. E creò un grande eone, ‘Ogdoade’ è il suo nome, in onore alla sua maestà. Autorità gli fu data e nel suo governo creò povertà. Creò dèi e angeli, arcangeli a miriadi, da quella Luce e tripartito Spirito che è Sophia, sua consorte. Da questo, Dio originò divinità e regno. Da allora è ‘Dio degli dèi’, è detto ‘Re dei re’. 

Da ciò che fu creato apparve ciò che fu plasmato; da ciò che fu plasmato ciò che fu formato; da ciò che fu formato ciò che fu nome. Così nasce la differenza tra gli ingenerati, dal principio al termine”. 

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“Chi viene al mondo è una goccia di Luce: viene al mondo per ricondursi nella Sua custodia. Vincolo di dimenticanza volle Sophia, perché attraverso di lei l’Onnipotente possa rivelarsi in questo modo povero nonostante la cecità l’arroganza l’ignoranza con cui lo riempiono di nomi. Ma io sono giunto dai luoghi superiori per volontà della Luce, io sono slegato da ogni vincolo; ho spezzato l’opera dei ladri e dei bugiardi; ho trafugato la goccia di luce di Sophia perché portasse frutto attraverso di me, perché la gloria si diffonda e i suoi figli, non più imperfetti, possano ritornare al Padre. Io vengo per estirparvi dall’oblio, perché l’impuro non si manifesti più: calpesto ogni malvagio intento”. 

*In copertina: William Blake, The Angel Michael Binding Satan, 1805 ca.

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