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“Buio dappertutto”. Parole & poesie per Stefano Simoncelli
Andai a trovarlo per via di René Char, il poeta combattente, il “Capitaine Alexandre”, il poeta di Fogli d’Ipnos, così amato da Camus. L’aveva conosciuto, trentenne, in un paio di folgoranti viaggi, insieme a Vittorio Sereni. “Guidava una Alfa Sud amaranto in modo terribile, da Milano a L’Isle-sur-la-Sorgue. Se tirava il mistral, Char dava di matto, era impossibile avvicinarlo…”.  A Stefano Simoncelli piaceva fare il piacione – sapeva di piacere, si vantava della sua longeva virilità. Era capace di improvvise dolcezze, di disastri altrettanto bruschi. Aveva una palafitta sull’abisso. Tra i poeti viventi, era senz’altro il poeta più vivo. Insieme a Ferruccio Benzoni, a Cesenatico, nel 1973, aveva ideato la rivista “Sul porto”. Di quell’aurora di poeti, Simoncelli era l’irrequieto, l’irregolare. Da ragazzo, eccelleva coi piedi: a sedici anni lo voleva la Fiorentina, “mio padre non ne volle sapere; avrei dovuto trasferirmi a Firenze, si oppose”. Restò a giocare nel ravennate, tra i dilettanti e la serie C. Anni dopo, una fotografia immortala Simoncelli con l’accappatoio, nello spogliatoio di un glabro campo da calcio; al suo fianco, Giovanni Giudici, in giacca e cravatta. “Veniva a vedermi quando facevo il torneo del bar: ero di un’altra categoria, segnavo sempre tre o quattro gol. Giocavo all’ala…”.  Giocavo all’ala è il titolo della raccolta più nota di Simoncelli: esce vent’anni fa, per Pequod, l’editore a cui il poeta resterà rigorosamente fedele. Aveva esordito nel 1980 con una silloge, Via dei platani, introdotta da Giovanni Raboni, pubblicata da Guanda nei “Quaderni della Fenice 64”. Seguì un altro libro – Poesie d’avventura, per Gremese, sotto gli auspici di Enzo Siciliano, nel 1989 –, la rottura con Benzoni, gli inferi della vita. Per quindici anni Simoncelli, poeta avventuriero, poeta – si direbbe – senza lignaggio, poeta latitante al sé, non scrive. Nel 1997 muore Benzoni, nel 2000 muore la madre, “e per me è stato un dolore fortissimo. Erano morti tutti. Mi sentivo solo al mondo. Poi, un giorno, è tornata la poesia e mi ha detto, ‘piccolino, perché non ci mettiamo a scrivere qualcosa?’”. Da allora, Simoncelli si rimette alla scrivania. Come un ossesso. Scrive tutti i giorni. Non smette più. Una veglia perenne. Escono, con compulsiva violenza, La rissa degli angeli (2006), Stazione remota (2008), Hotel degli introvabili (2014), Residence Cielo (2019), Un barelliere del turno di notte (2021). Tra raccolte e plaquette, una pubblicazione all’anno. Con Sotto falso nome, nel 2023, è finalista alla prima edizione dello Strega poesia. Arnaldo Colasanti ha scritto che la poesia di Simoncelli possiede una “forza immensa”, una “perfetta gloria”, perché “una poesia che accetta di cancellare quel poco che è, se stessa, è una poesia senza limiti, è una poesia dell’indifferenza e dell’assoluto”.  Simoncelli amava le donne e amava i cani. Una raccolta, A beneficio degli assenti (2020), è “alla memoria della mia labrador Margot”. La poesia che mi ha dedicato comincia così: “Non assomiglio più a nessuno…/ Certe volte sembro un banco di nebbia,/ impenetrabile e denso, come quelli// che arrivano dal mare a tradimento/ verso mezzogiorno portandosi via tutto”. C’era sempre qualcosa di scaraventato in lui, c’era un cuore chiamato Paul Newman: lo spaccone che si rivela spappolato. Un giorno mi ha scritto, “ho pensato di farmi fuori”; ogni poesia, con quei versi di selvaggia lucidità (“Non so più chi sono/ e quale il mio nome vero”), poteva essere l’ultima – Simoncelli scriveva come si prepara il fuoco, per quelli che verranno e per quelli che non ci sono più.  Mi disse di quando aveva fatto ubriacare Franco Fortini, “cominciò a declamare Baudelaire in francese, una scena di una bellezza assoluta”. Mi disse di aver accompagnato Giorgio Caproni a vedere i treni, a Bologna; disse che “soltanto i mediocri se la tirano” e disse di Pasolini, “uomo dal fascino micidiale, avvertivi l’intelligenza e il tormento dell’intelligenza”: era andato a trovarlo a Chia. Giocava con i ricordi come un pescatore con le più prelibate esche. Amava i complimenti perché ha fatto di tutto per distruggersi. “La poesia è un viaggio verso l’ignoto, la poesia sa di me molte più cose di quante io sappia di me stesso”, mi aveva detto, a Cesena, anni fa, nella luce torba del suo appartamento, una luce terrea, che ti seppellisce.  Era nato nel 1950, ha avuto pochi amici, in molti non lo sopportavano – il male l’ha divorato in fretta. La settimana scorsa gli ho scritto. “Ti vedo con piacere”, fa lui – non ci siamo visti, non c’è stato il tempo. Se esiste un Eden dei poeti, Simoncelli cercherà di evitarlo. “I poeti davanti sorridono sempre – poi ti accoltellano alle spalle”. Andrà per la sua via, come sempre, con il corrusco orgoglio dei ronin, dei cavalieri solitari. Le sue poesie lasciano il sale sulle labbra. Tra gli animali, preferiva la volpe, perché “prima di morire guarda verso il bosco dove è nata”.  ** Intanto vedo che non vieni per cena, che non ci sei in mezzo alla piazza tra i piccioni e la giostra, che ti bagnerai fino alle ossa, ti ammalerai adesso che piove e hai dimenticato l’ombrello accanto alla porta, che non chiamerai per avvisarmi e non ci sarà più niente, proprio più niente da chiederti.  (da Terza copia del gelo, Italic Pequod, 2012) * Nelle notti di burrasca lo si può vedere mentre lampeggia con una torcia elettrica incomprensibili segnali luminosi lungo la spiaggia. È convinto che da qualche parte, prima degli scogli e la grande secca di sabbia, aspettino di sbarcare tutti i dimenticati, gli introvabili e i dispersi che hanno attraversato a luci spente la grande burrasca della sua e di ogni altra memoria.  (da Hotel degli introvabili, Italic Pequod, 2014) * Mancano pochi minuti a mezzanotte e qualcuno bussa piano alla porta. Mi alzo dal divano barcollando e domando: “chi è?”. Silenzio dentro a un altro silenzio più crudele e profondo.  Faccio scorrere la sbarra d’acciaio, tolgo la catenella, schiudo una minuscola fessura e guardo verso destra, a sinistra, in basso, in alto, ma non c’è nessuno. Buio sul pianerottolo, buio nel dolore, il mio, buio dappertutto, mentre sento la tua voce che bisbiglia da chissà dove: “sono ritornata a prenderti, sei pronto?” Lo sono da sempre ti vorrei rispondere, ma la commozione mi stringe la gola, non respiro, e d’un tratto capisco che non capirò mai più niente.  (da Visite notturne, Italic Pequod, 2024) *Le poesie di Stefano Simoncelli sono state scelte da Clery Celeste L'articolo “Buio dappertutto”. Parole & poesie per Stefano Simoncelli proviene da Pangea.
May 21, 2025 / Pangea