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“In pieno azzurro”. La poesia di Alexandre O’Neill
Mariano Sartore in memoriam …memórias de cais afastados e doutros momentos Doutro modo da mesma humanidade noutros pontos. Alexandre O’Neill pubblica Tempo di fantasmi a Lisbona nel 1951. Ha ventisette anni, si è appena tuffato nel fuoco surrealista. Ma incanto e disincanto si confondono: in questa breve e fulminante silloge l’alchimia della parola rifiuta gli espedienti stilistici, la cifra del verso eccede e condanna l’astuzia dell’effetto. I falsi poeti, araldi delle proprie miserie e illusioni – la prima, la più atroce: l’io – sono severamente cacciati dal giardino della potenza creatrice: «Vattene vattene/ tu che cammini come un cieco fingendoti veggente/ tu che lasci sbalorditi gli adolescenti / coi tuoi gesti da Ambasciatore dell’Invisibile/ da Sacerdote del Mormori/ da generoso Donatore di Sangue della Vertigine/ vattene». La messa al bando della menzogna è premessa necessaria, perché Tempo di fantasmi struttura e scandisce un itinerario sacro. Col timbro dei vangeli, la poesia ordina di lasciare tutto, perfino «quel che l’algebra più segreta/ decise in tuo favore». Ciò che in vita il rinunciante ha seminato, in altri germoglierà – altri si faranno carico delle sue opere, di quella che aveva creduto essere la propria giustizia: «L’ombra che proiettasti/ forse qualcuno la risolverà/ in un diamante crudele». I morti seppelliranno i morti – ora il cuore è libero, anzitutto davanti a se stesso. Finalmente vuoto, inizia il suo cammino, che è il miracolo della metamorfosi: «dalle mani escano gesti/ di pura trasformazione// Tra il reale e il sogno/ saremo noi la vertigine». La poesia chiama, elegge i suoi alleati – e mentre le ‘madri’ (immagine della provenienza e dei legami, ululanti anche se recisi) piangono «nel denso fiume di un sogno/ già quasi solo animale», il liberato ha iniziato il cammino della sua trasformazione. Ma la metamorfosi del liberato sempre deve tornare ad attingere il proprio principio vivificante, che non è un abbandono tiepido delle sicurezze e delle consuetudini, ma l’attiva rivolta contro di esse. La rivolta perpetua, la guerra santa sempre in atto nel cuore umano, è lo spazio in cui ogni poeta ritrova i suoi fratelli sconosciuti, e il punto da cui ogni poesia si dirama e fiorisce, in infiniti, inattesi trionfi: «E quando puoi ribellati// Prendi il Cammino-di-Tutte-le-Sorpres/… /vai vai sempre/ cominci ad assomigliare a qualcuno di noi / e la tua risata è già umana». Questo divenire, questo andare verso il vero sé, non può non trascinare con sé il mondo, che il poeta non vede più come l’esterno, come il negativo della parola, materia che resiste. O’Neill sente la voce delle cose – come in un improvviso incrocio fra Rilke, Proust e Benjamin. L’ambiente che avvolge il poeta vive nelle sue parole, in esse trova la propria voce, ma non si lascia esaurire nella lingua, né si riduce a un utilizzabile: «Il tuo nome/ perfino gli oggetti lo sanno/ quando ci chiedono un uso differente/ gli oggetti tanto consumati tanto stanchi/ della circolazione assurda a cui li costringono»; «Dalla loro indifferenza/ aggressivamente le cose escono// Ci sentiamo circondati/ minacciati dalle cose/ e ora rimpiangiamo il tempo perduto/ per disporle a nostro favore».  Ma non vi è indugio malinconico sul mutismo del mondo, sulle rovine della storia che aspettano la parola della poesia; è di nuovo la rivolta ad incalzare il poeta, a richiamarlo al viaggio, al poema come gesto assoluto: «è l’ora di non obbedire/ di ricominciare cantando/ calamità disastri/ rovine da decifrare/ … / Andiamo a decifrare rovine/ identificare i morti/ dormire con donne reali / denunciare i traditori/ e tradire la poesia/ avvelenata nelle parole/ che respirano un’assenza marcia/ andiamo a dire senza maiuscole/ l’amore la vita la morte».  Il poeta ha attraversato il suo deserto, è giunto mutilato a vedere da lontano la terra promessa della poesia: riprende fiato, e subito riparte – fedele. Dalla giovinezza alla maturità, O’Neill non ha creduto che a questo antico patto con la lingua, al messianismo di una parola che sia vera. Perché nessuno sia più in grado di mentire su ciò che ha visto: «Perché è tempo di rompere con tutto questo/ è tempo di unire nello stesso gesto/ il reale e il sogno/ è tempo di liberare le immagini le parole / dalle miniere del sogno in cui siamo scesi/ minatori sonnambuli dell’immaginazione// È tempo di svegliarsi nelle tenebre del reale /nella desolata promessa / del giorno vero». Tommaso Scarponi * Da Tempo di Fantasmi Canzone Che esca l’ultima stella dall’avidità della notte e la speranza arda arda nel nostro petto Ed escano anche i fiumi dalla pazienza della terra È nel mare che l’avventura trova le sponde che merita Ed escano tutti i soli che sono marciti nel cielo di quelli che non volevano vedere – ma che escano in ginocchio E dalle mani escano gesti di pura trasformazione Tra il reale e il sogno saremo noi la vertigine * In pieno azzurro Con orrore appena mascherato sincero disgusto (sì!) lacrima azzurra afflitta mano increspata di pietà mi vedono passare cantando calamità disastri impossibili da evitare le madri                  le mie la tua quelle che calpestano teneramente i figli per il monotono e prudente progresso della famiglia E quando mi fermo e faccio la propaganda dei luoghi più comuni della poesia c’è un terrore quasi osceno nei tuoi occhi materni Quindi prometto congressi in pieno azzurro Prometto una soluzione in pieno azzurro Prometto di non fare nulla in pieno azzurro Senza consultare il bureau in pieno azzurro Visibilmente quiete è l’ora di non obbedire di ricominciare cantando calamità disastri rovine da decifrare * Se non stessi dormendo chiederei ai poeti A che ora desiderate che vi svegli? Andiamo a decifrare rovine identificare i morti dormire con donne reali denunciare i traditori e tradire la poesia avvelenata nelle parole che respirano un’assenza marcia andiamo a dire senza maiuscole l’amore la vita la morte * E le madri dove sono? Le madri pregano le madri cuciono stracci di dolore le madri gridano piangono ululano nel denso fiume di un sogno già quasi solo animale * Di passaggio I Vattene vattene tu che cammini come un cieco fingendoti veggente tu che lasci sbalorditi gli adolescenti coi tuoi gesti da Ambasciatore dell’Invisibile da Sacerdote del Mormorio da generoso Donatore di Sangue della Vertigine vattene e che le donne che un tempo ti servirono come madri ti raccolgano di nuovo e ti coprano con stracci di tenerezza con pidocchi di tenerezza con piaghe moccio sterco di tenerezza e che poi ti spoglino come si spogliano i vecchi e i bambini e impieghino anni a staccare dal tuo corpo tremante le croste che per tenerezza vi avevano messo anni e anni alle soglie delle porte a liberarti dai pidocchi dalle migliaia di pidocchi che succhiano la tua stupida testa E quando puoi ribellati Prendi il Cammino-di-Tutte-le-Sorprese il cammino che percorresti al contrario in disumano senso proibito lotta coi vagabondi del sogno che incontrerai e sterminali loro sono la tua vecchia presenza in questa terra di uomini sono ciò che tu credevi avere di più umano lotta con loro e prosegui precipita il tuo nuovo essere corre davanti a lui lascia stare le grida e le preghiere le lettere delle donne tornate indietro vai vai sempre cominci ad assomigliare a qualcuno di noi e la tua risata è già umana II E anche tu, coi gesti del martello cosmico anche la tua falsa staffa d’orgoglio vanità spiata nelle vetrine dove il lusso mostra i denti alla canaglia tu stesso miseria splendente di queste strade arrotolato sogno di grandezze impossibili cigno pallido di cinismo rutto azzurro sangue in prestito bavero delle piccole virtù dei piccoli miti che ancora ti sostengono, o morto già da tempo sparisci anche tu nella grande fogna che fa giustizia a tutti non rassegnarti ad attendere qui sei solo grottesco solo questa luce lunare questa illusione di vita che rubi giorno dopo giorno questo sfogo megalomane diario scongiuro della paura specchio di ora in ora interrogato Sparisci ora che nessuno fa caso a te nemmeno i martelli cosmici Per la voce contraffatta della poesia * Ma all’improvviso torni in un dolore di speranza senza ragion d’essere Dalla loro indifferenza aggressivamente le cose escono Ci sentiamo circondati minacciati dalle cose e ora rimpiangiamo il tempo perduto per disporle a nostro favore Perché è tempo di rompere con tutto questo è tempo di unire nello stesso gesto il reale e il sogno è tempo di liberare le immagini le parole dalle miniere del sogno in cui siamo scesi minatori sonnambuli dell’immaginazione È tempo di svegliarsi nelle tenebre del reale nella desolata promessa del giorno vero * In questa luce quasi folle che si aggrappa ai tetti agli alberi ai capelli delle donne agli occhi più scuri parliamo di te del tuo alto esempio ed è con intimità che lo facciamo parliamo di te come se fossi l’albero più luminoso o la donna più bella più umana che ci è passata accanto con gli occhi della vertigine trascinando tutta la luce con sé * Ma non sono io a dispiacermi per te I tuoi miti ti aspettano già impazienti Ora va’ passa da queste parti fra qualche anno Forse mi troverai forse potrò fare qualche cosa per te qualche cosa di semplice quasi inutile quasi ridicola offrirti una sillaba un consiglio una sigaretta Alexandre O’Neill Traduzione di Tommaso Scarponi L'articolo “In pieno azzurro”. La poesia di Alexandre O’Neill proviene da Pangea.
September 30, 2025 / Pangea