Due anniversari poundiani ci ‘obbligano’ a rileggere il poeta-totem del secolo.
Il primo è sul bivio della tragedia: ottant’anni fa – era il maggio del 1945 –
Pound viene arrestato con l’accusa di alto tradimento, recluso in un campo, a
Pisa, in durissime condizioni. In giugno subisce diverse visite psichiatriche;
sarà poi scortato nel reclusorio militare di St. Elizabeths, Washington DC.
D’altro stampo il secondo anniversario: il 9 luglio Mary de Rachewiltz compie
cento anni. La figlia – nata dall’unione di Pound con la violinista Olga Rudge –
ha dedicato la vita alla divulgazione e alla traduzione delle opere del padre,
custodendone il carisma. Una mostra, allestita presso il Palais Mamming di
Merano, “Mary’s Dream. Portrait of a Lady”, ne riassume l’esistere, a suo modo
rude – e regale. In memoria di Ezra Pound, l’ultimo numero di “Studi Cattolici”,
la rivista di Ares – tra i rari, integerrimi editori ‘poundiani’ in Italia –
dedica un “Quaderno” speciale da cui abbiamo estratto lo studio di Alessandro
Rivali, già autore del libro-intervista “Ho cercato di scrivere Paradiso. Ezra
Pound nelle parole della figlia” (Mondadori, 2018). Il fascicolo è arricchito da
materiali poundiani inediti tratti dall’archivio di Cesare Cavalleri; è
trascritta inoltre una lettera di Pound alla figlia dalla prigione di Pisa il 19
ottobre del 1945, di particolare bellezza, a liceità di un ‘compito’: “sei
autorizzata a curare il mio ms [manoscritto] ma non voglio che tu venga
sommersa, preferirei piuttosto che tu scriva dieci pagine per conto tuo invece
di curarne un centinaio. Ok per un lavoro di dieci anni nel tuo tempo libero, ma
attenta a non affondare in un lavoro accademico”.
**
Ottant’anni fa – era il 3 maggio del 1945 – iniziò la prigionia del poeta Ezra
Pound (1887-1972). Sulle sue spalle pesava la gravissima accusa di tradimento,
per aver parlato – da cittadino statunitense – ai microfoni della Radio
Fascista1. Dopo i primi interrogatori, relativamente tranquilli, a Genova,
presso il Centro del controspionaggio americano distaccato presso la 92ª
Divisione Usa, il 25 maggio il poeta fu portato al campo di reclusione e
rieducazione per soldati americani costruito nel comune di Metato, a nord di
Pisa. Qui, Pound fu rinchiuso in una gabbia non troppo diversa da quelle che
abbiamo visto nei servizi tv dedicati alla prigione di Guantanamo. Esposto al
sole cocente di giorno e alla luce dei riflettori di notte, in uno spazio
ristrettissimo e senza ripari, incerto sulla sua condizione futura, che avrebbe
potuto anche condurlo sulla sedia elettrica, il poeta pensò – come mi confidò la
figlia Mary – al suicidio, forse tagliandosi i polsi con il reticolato con cui
era stata rinforzata la sua gabbia. Il 18 giugno Pound patì un collasso nervoso
dovuto all’asprezza della detenzione, e di conseguenza gli furono concesse
condizioni mitigate nell’infermeria del campo.
In queste circostanze così drammatiche il poeta continuò a scrivere
quei Cantos che nel suo intento dovevano essere il Grande poema americano e a
cui si era dedicato anima e corpo dagli anni della Prima guerra mondiale (i
primi tre canti, poi completamente rivisti, uscirono su Poetry nel 1917).
I canti nati dalla prigionia di Pisa – i famosi Pisan Cantos, vincitori del
prestigioso Premio Bollingen del 1949 – sono forse il momento più alto e
commosso della multiforme avventura poetica di Pound. Sono il personalissimo
“Purgatorio” di un uomo su cui «il sole è tramontato», che scopre che «la carità
più profonda / si trova fra chi ha infranto / le regole», che si sente un «cane
bastonato sotto la grandine» e che comprende che «chi ha trascorso un mese nelle
celle della morte / non crede più alla pena capitale / Dopo un mese nelle celle
della morte un uomo / non ammetterà gabbie per belve». Nel suo Commento
ai Cantos, in appendice all’edizione del ‘Meridiano’ Mondadori, la figlia Mary
scriverà dei Pisani: «Si possono considerare anche un testamento, un addio agli
amici e un’autobiografia degli affetti».
Pound nel campo di Pisa scrive sull’improvvisato materiale che ha a
disposizione, fosse pure un lembo di carta igienica (se ne può vedere uno in
foto nell’edizione New Directions dei Pisan Cantos curata da Richard Sieburth2).
Pound diventa uno scriba che ha per appiglio lo scrigno della memoria e per
ispirazione la realtà osservabile dalla gabbia. È «sostenuto» dall’apparizione
di una lucertola, nota «gli uccelli selvatici [che] mangiavano pane bianco»,
come «un grillino verde / smeraldo più pallido» a cui «manca la zampina destra»,
suggerisce perfino a un felino intruso di cambiare le sue abitudini: «Gatto
ladro nottambulo lascia stare i miei duri tomi / non è cibo per gatti / se tu
fossi più furbo / verresti all’ora dei pasti / quando la carne abbonda / non
puoi mangiare i manoscritti né il Confucio / e neppure la Bibbia / fuori da
questa scatola di lardo / timbrata W, 11 o o 9 o / che mi fa da guardaroba». E
ancora, Pound benedice il vento che «sa di mare» e lo «toglie all’inferno, alla
fossa / alla polvere e alla luce accecante».
Nei Pisani Pound è la «formica solitaria da un formicaio distrutto» e «dalle
rovine dell’Europa» si chiede se rivedrà «le antiche strade», inoltre riavvolge
il nastro della memoria fino al giorno in cui lasciò l’America per l’Europa con
80 dollari in tasca e il sogno di diventare poeta. Nel suo “diario di un dolore”
dietro i reticolati scriverà alcuni dei più toccanti versi del Novecento, tra
cui quelli indimenticabili del Canto 81: «Quello che veramente ami rimane, / il
resto è scorie / Quello che veramente ami non ti sarà strappato / Quello che
veramente ami è la tua vera eredità».
Il primo traduttore dei Pisani fu Alfredo Rizzardi che compendiò bene i motivi
portanti dell’opera:
> “Nei Canti pisani la fantasia scopre la memoria, e il suo calore non è più
> fuoco fatuo, ma giunge a bruciare. Costante in ogni pagina è la scoperta della
> propria vita passata, per cui le figure evocate nel cerchio infiammato della
> propria vita passata paiono ancora più reali, più vive di quelle sbiadite, che
> lo circondano. Amici. Compagni di giovinezza, figure care: evocate dalla terra
> dei morti quasi il Poeta vi avesse posato il piede e a essi parlasse”3.
*
I Drafts and Fragments
Se i Pisani sono felicemente noti, non si può dire lo stesso per l’ultimo
tassello del grande poema incompiuto (o “infinito” secondo la suggestione della
figlia Mary) dei Cantos. Quei Drafts and Fragments che in Italia conosciamo in
tre edizioni: Scheiwiller (1973, a cura di Mary de Rachewiltz), Guanda (1981, a
cura di Carlo Alberto Corsi e Michelangelo Coviello) e quella del ‘Meridiano’
Mondadori preparato sempre da Mary de Rachewiltz nel 1985 per il centenario
della nascita di Pound.
Questi ultimi frammenti sono di una bellezza lacerante. Schegge purissime.
Bagliori carichi di pietasche segnano il tempo di un uomo al tramonto della
vita. Di un uomo che aveva scontato senza processo tredici anni di manicomio
criminale a Washington e che, una volta tornato in Italia, correva l’estate del
1958, sognava di dare un “Paradiso” al suo poema. La realtà fu ben diversa,
senz’altro più cruda.
Gli anni del “ritorno” non furono facili. Pound era invecchiato, era stato
privato della personalità giuridica e affidato alla moglie Dorothy, nominata suo
tutore legale, da tanti era considerato un “nemico” dal passato ingombrante,
sentiva la mancanza di troppi amici. Eppure, in quel tempo difficile, iniziò gli
appunti per l’ultimo tratto del suo lungo viaggio. Iniziò a scrivere a
Brunnenburg, il castello di Mary e Boris de Rachewiltz a Tirolo, pochi
chilometri sopra Merano, cercando di combattere i demoni che di volta in volta
lo tentavano: i rigori del clima, l’isolamento del luogo, la solitudine, lo
spaesamento e persino la gelosia delle donne intorno a lui, come avrebbe
annotato nel Canto 113. Per il poeta Brunnenburg sarebbe dovuta essere la
personale Ezuversity dove accogliere discepoli e amici e continuare a scrivere
(come aveva fatto negli anni di reclusione in cui aveva lavorato alle
sezioni Rock Drill e Thrones dei Cantos). Invece iniziò il sofferto periodo
del tempus tacendi. Resta magnifico il ritratto di Grazia Livi
per Epoca tracciato a cinque anni di distanza dal rientro in Italia:
> “La prima cosa che colpisce, in Ezra Pound, è la sua genialità ormai vinta e
> naufragante oltre gli illusori confini del mondo. È ancora diritto e solenne
> d’aspetto, con la faccia asciutta ornata da una bianca barbetta appuntita, le
> mani magre e agili, il gesto da gentiluomo che subito si alza in piedi e offre
> la sua poltrona, ma nello stesso tempo si ha la chiara impressione che egli
> non appartenga più a sé stesso e che tutti gli elementi della sua persona
> siano coordinati fra di loro in maniera puramente fisica, funzionale. L’occhio
> è come vitreo e contempla le facce, gli oggetti con una fissità dolorante; la
> voce emerge a fatica dal torace stanco a comporre lentissime frasi meditanti;
> i piedi immobili sul tappeto, sono calzati di pantofole. Non c’è un libro,
> attorno a lui, che testimoni della sua gloria trascorsa: solo un’edizione
> parigina dei primi sedici Cantos, pubblicata nel 1925 […]. Questo, infatti, è
> Ezra Pound al giorno d’oggi: non un uomo ma un simbolo, che mantiene rapporti
> soltanto formali con la vita; non un personaggio, ma una presenza che guarda
> alle vicende di questo mondo con animo già liberato, già lontano, già
> naufragante nella tragica e illuminata saggezza che precede la fine”4.
Il Centro Apice dell’Università degli Studi di Milano è una miniera di
informazioni per gli amanti di Pound, in primis perché custodisce l’archivio
Scheiwiller, l’intrepido editore che sostenne sempre il poeta americano,
pubblicando nel 1955, tra l’altro, in anteprima mondiale, Section: Rock-Drill
85-95 de los cantares.
Nell’archivio è custodita un’interessante lettera di Ugo Dadone (1886-1963),
amico di Boris e poliedrica figura di giornalista, viaggiatore e “agente
segreto”, che ospitò Pound a Roma nel 1961. Dadone raccontava con preoccupazione
a Scheiwiller le difficilissime condizioni del poeta. A suo dire, Pound si
sentiva in colpa per aver combinato “guai” a Brunnenburg, era depresso perché
non aveva più amici, il suo conto in banca era in passivo e non voleva più
pubblicare perché non sarebbe stato comunque pagato; infine, non si sentiva in
grado di fare nulla di buono perché non aveva più idee da svolgere.
Era il Pound che l’anno prima aveva scritto a Eliot (15 aprile 1960) dicendo che
si sentiva seduto sulle proprie “rovine”: a tale missiva l’autore di The Waste
Land rispose con un telegramma: «Tu sei il più grande poeta di sempre. E io devo
tutto a te».
*
L’iter della pubblicazione degli ultimi Cantos
In questo contesto delicato iniziò l’iter che avrebbe rocambolescamente portato
alla pubblicazione dei meravigliosi Drafts and Fragments. La figlia Mary parlò
di «un crepuscolo con tenerezza e rimpianto e un’affermazione della propria
innocenza», mentre Massimo Bacigalupo nel suo indispensabile L’ultimo Poundparlò
di «una nuova, sofferta, temperie psicologica»:
> “Il Poeta che s’era lasciato allegramente alle spalle la pietra miliare del
> Canto 100 senza quasi farci caso e che emerge indenne, “aloof”, cinquanta
> pagine innanzi dalle “onde scure” che hanno più d’una volta minacciato di
> sommergerlo, sente ora che la sua poesia – e la sua vita – ha i giorni
> contati, che il “nemico” – non più l’ossessivo “they” ma l’oscurità, la morte,
> e anche un mondo di cultura dal quale egli è escluso – sta guadagnando terreno
> da tutte le parti, al punto di invertire le posizioni mantenute nonostante
> tutto – in quanto conditio sine qua non dello scrivere – sino a ora”.
Nel ricco saggio Hall of Mirrors6 Peter Stoicheff ha ricostruito un periodo di
vicenda della pubblicazione di questi ultimi Cantos, pubblicazione che avvenne
con un Pound riluttante che non si sentiva pronto per l’ultima revisione e che
fin dal 17 ottobre 1959 aveva annotato «la bellezza perduta per mancanza di
energia nella mano che scrive»7.
Tutto nacque dall’intervista che Donald Hall chiese a Pound per la Paris Review,
rivista di cui Hall era allora poetry editor. Si incontrarono per tre giorni a
Roma, in via Poliziano, nel tempo in cui Pound era ospite di Dadone. Pound
voleva essere pagato per l’intervista e in risposta si sentì dire che si sarebbe
potuto fare, ma che l’intervista sarebbe dovuta essere corredata da poesie
inedite. Pound propose gli inediti Versi prosaici e alcune lettere inedite a
Basil Bunting, ma la proposta venne respinta; la rivista rilanciò per avere
un’anteprima di nuovi Cantos. Pound mandò le bozze di sette Canti acconsentendo
poi alla pubblicazione dei Canti 115 e 116. Quando James Laughlin, lo storico
editore di Pound con le sue New Directions, vide il materiale, scrisse al poeta
che aveva letto qualcosa di veramente meraviglioso, erano versi semplicemente
«magnifici». Non fu però Laughlin a pubblicare l’ultimo tassello dei Cantos. Fu
“bruciato” nel 1967 dall’edizione pirata di Fuck You Press (un nome un
programma…) di Ed Sanders, che aveva avuto il materiale “incandescente” da Tom
Clark, un ragazzo che stava preparando una tesi sulla struttura dei Cantos e che
a sua volta aveva ricevuto i dattiloscritti da Hall. La Fuck Press stampò (o
disse di aver stampato…) 300 copie dei Drafts and Fragments che andarono subito
a ruba. Per Laughlin si trattò di un’edizione disgustosa, ma fu il volano perché
New Directions desse il via all’edizione autorizzata che noi conosciamo. Una
curiosità: c’è stato anche uno studioso come Joshua Kotin che si è messo sulle
tracce delle 300 copie per cercare di “mapparle” (finora è riuscito a
rintracciare il destino di 152 esemplari)8.
Una nota a margine. L’intervista di Pound con Hall fu pubblicata nel
prezioso Per conoscere Pound9 e offre molti spunti sugli ultimi pensieri del
poeta. Pound ricordava come un poeta dovesse avere «una curiosità continua»,
come l’artista «dovesse continuare a muoversi». Non dissimile il suo consiglio
per i giovani. A suo parere andavano incoraggiati a “migliorare la loro
curiosità” senza fingere,
> “ma ciò non basta. La pura registrazione del mal di pancia, il solo svuotare
> il cestino non basta. Infatti la coppa di ponce degli studenti dell’Università
> di Pennsylvania aveva come motto: «Qualsiasi cretino può essere spontaneo»”.
Nel corso della conversazione Pound ammetteva le sue difficoltà a concludere
i Cantos con un paradiso:
> “È difficile scrivere il paradiso quando tutti i segni superficiali dicono
> che dovresti scrivere un’apocalisse. È più facile trovare abitanti per
> l’inferno o anche per il purgatorio. Sto cercando di riunire e fissare i più
> alti voli della mente…”
*
La verità sta nella tenerezza
Pur con queste drammatiche premesse, gli ultimi frammenti di Pound restano tra i
momenti più alti della sua poesia. Sono l’esame di coscienza di un grande
dolente all’epilogo della vita. Sono le illuminazioni piene di tenerezza di un
uomo che ha inseguito l’arte (rinnovandola) in ogni istante della sua vita. Che
ha visto da vicino la bellezza, la morte e la disperazione. È un poeta in cerca
di «una quieta dimora», di «un amato e quieto paradiso» e che, come scrive
nel Canto 110, riesce a vedere con occhi di «corallo o turchese». È una
scrittura difficile, ma allo stesso tempo carica di accensioni ed epifanie.
Ritornano i luoghi cari, dalla Liguria a Venezia, gli affetti, gli eletti da
inserire nel paradiso (Mozart, Agassiz e Linneo), i versi perfetti segnati dalla
lunga confidenza con l’Estremo Oriente: «Il mare oltre i tetti, ma sempre mare e
promontorio. / E in ogni donna, pur fra l’acredine c’è una tenerezza, / Una luce
azzurra sotto le stelle».
È un poeta che, come tutti i grandi poeti, dona sentenze memorabili che
racchiudono un mondo: «La verità sta nella tenerezza». Ritorna il tema
dell’umiltà, così presente nei Pisani, perché è «un uomo che cerca il bene, / e
fa il male», ed è consapevole che «la bellezza non sta nella pazzia / Anche se
cocci ed errori miei mi circondano. / E non sono un semidio, / Non riesco a
dargli un nesso. / Se in casa l’amore manca, manca tutto».
E, ancora, «Ammettere l’errore e tenere al giusto: / Carità talvolta io l’ebbi,
/ non riesco a farla fluire. / Un po’ di luce, come un barlume / ci riconduca
allo splendore ora».
Un poeta della sensibilità di Giovanni Raboni colse al volo la grandezza di
questi frammenti. Nell’introduzione alla bellissima edizione Guanda preparò una
memorabile pagina di accompagnamento, in cui tra l’altro affermava:
> “Col passare del tempo, la grandezza della poesia di Pound mi appare sempre
> più evidente, solitaria e indimostrabile. A volte ho l’impressione di trovarmi
> solo a contemplarla, e mi prende il timore che, a chi me ne chiedesse conto,
> non saprei rispondere che con un gesto di rinuncia o una parola di sgomento.
> Altre volte, è come se questa grandezza mi fosse stata rivelata in sogno, e il
> suo segreto, la sua prova scomparissero, si dissolvessero ogni mattina con
> l’avvento della luce… […] Ma ecco, intanto, una buona occasione per rileggere,
> e ripensare, Pound: questi stupendi Drafts & Fragments, che… hanno il grande
> merito o vantaggio di mostrarci un Pound anche praticamente in bilico e
> tensione fra “poema” e “frammento”, fra la drammatica, impossibile ricerca
> dell’unità e della compiutezza e l’esaltante vitalità della dispersione,
> dell’esplosione, del molteplice. Insomma, un Pound ancora più fortemente e
> visibilmente “potenziale” – sino al puro abbozzo, al puro appunto stenografico
> –, ancora più vicino del solito a quello stato di energia pura, non incarnata
> né incarnabile una volta per tutte, che costituisce la verità più profonda (il
> segno – il sogno – più vero) della sua grandezza”.
Il parere di Raboni si accorda perfettamente a quanto scrisse Ford Madox Ford
per l’opuscolo che accompagnò la pubblicazione americana di XXX Cantos nel
1933:
> “La prima parola da dire sui Cantos è bellezza. E l’ultima sarà bellezza. La
> loro straordinaria incomparabile bellezza. Formano una storia del mondo senza
> eguali vista da queste coste che sono la culla della nostra civiltà… E una
> sola cosa è necessaria alla nostra società più della Storia. Ed è che ci sia
> da qualche parte un’opera d’arte o qualcuno che produce un’opera d’arte che
> ogni volta che la visiti susciterà infallibilmente in te delle emozioni.
> Questo è quanto fanno i Cantos”.
E per avere la misura di questa tersa grandezza forse non c’è modo migliore che
riportare alcuni luminosi frammenti della versione finale dei Cantos scelta da
Mary de Rachewiltz:
“Ho provato a scrivere il Paradiso
non ti muovere,
lascia parlare il vento
così è Paradiso
Lascia che gli Dei perdonino quel che
ho costruito
Chi ho amato cerchi di perdonare
quello che ho costruito
[…]
Uomini siate non distruttori”.
Alessandro Rivali
1 Sulla vicenda si veda il recente Luca Gallesi, Ezra Pound a Pisa – Un poeta in
prigione, Ares, Milano 2024. Per un inquadramento a tutto tondo degli ultimi
anni di Pound: A. David Moody, Ezra Pound: poet, vol. III, The Tragic Years
1939-1972, Oxford University Press, Oxford 2015.
2 New Directions, New York 2003.
3 A. Rizzardi, La maschera e la poesia in Ezra Pound, in Canti Pisani di Ezra
Pound, Guanda, Parma 1953, p. XXIII.
4 G. Livi, “Vi parla Ezra Pound: Io so di non sapere nulla”, intervista con Ezra
Pound, Epoca, n. 652, 24 marzo 1963, pp. 90-93.
5 M. Bacigalupo, L’ultimo Pound, Edizioni di storia e letteratura, Roma 1981, p.
525.
6 P. Stoicheff, The Hall of Mirrors: “Drafts & Fragments” and the End of Ezra
Pound’s “Cantos”, University of Michigan Press, Michigan 1995.
7 Commento a Stesure e frammenti dei Cantos CX-CXVII, in E. Pound, I Cantos, a
cura di Mary de Rachewiltz, Meridiani Mondadori, Milano 1985, p. 1629.
8 Sulla vicenda, l’articolo dello stesso J. Kotin “The Fuck You Press Cantos: A
Census”, realitystudio.org/bibliographic-bunker/fuck-you-press-archive/the-fuck-you-press-cantos-a-census/
9 A cura di Mary de Rachewiltz, con un saggio introduttivo di M.L. Ardizzone,
Mondadori, Milano 1989.
L'articolo “La verità sta nella tenerezza”. Gli ultimi Cantos: il testamento di
Ezra Pound proviene da Pangea.