Matteo Piantedosi è intervenuto all’evento per i 20 anni del Centro nazionale
anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche
(Cnaipic).
Il ministro dell’Interno ha indicato questo nuovo bilanciamento di diritti a cui
spera le piattaforme di messaggistica (da WhatsApp a Signal fino a Telegram) si
adeguino presto per consentire alle Forze dell’Ordine di “rompere” la
crittografia end-to-end per le attività investigative contro i cyber criminali.
“Le policy delle grandi piattaforme sono molto incentrate sull’offerta della
privacy degli utenti”, ha osservato Piantedosi. “Io credo”, ha aggiunto il
ministro, “che il bilanciamento di interessi, tra libertà democratiche,
costituzionalmente garantite, e elementi di sicurezza è il vero snodo su cui si
gioca la sfida del futuro, ossia tra la attività di Polizia per contrastare i
crimini e la privacy”.
Durante lo stesso evento, il prof. Sala ha dichiarato “secondo me una soluzione
su cui lavorare c’è per consentire gli scopi della Forze dell’Ordine, perché,
essendo l’algoritmo crittografico una forma matematica, il modo in cui è
utilizzato e l’ambiente in cui è sviluppato, permette dei margini in cui si può,
in qualche modo, indebolire un pochino la sicurezza del sistema, tenendola,
però, sempre accettabile, consentendo quindi le investigazioni della Polizia”.
Quindi, come aveva già annunciato il ministro in estate, il governo italiano
sarebbe al lavoro per ridurrre il livello di sicurezza della crittografia end to
end, per favorire le attività poliziesche: “Una nuova autorità pubblica sotto il
Ministero dell’Interno – in particolare presso la Polizia Postale – per vigilare
sui servizi di messaggistica crittografata come WhatsApp, Signal e Telegram”
Quindi, se Chat Control sembra per il momento bloccato, in Italia già si pensa a
un sistema simile, che ci porterebbe a essere molto vicini ai regimi
dittatoriali come Cina e Russia.
Fonte web
Tag - Polizia
Si conosce il numero di ricerche ogni mille reati, di molto maggiore rispetto ad
altri Paesi europei. Avere un dibattito pubblico sull’argomento è impossibile: i
dati sono incompleti
In Italia non è consentito sapere come e se funziona l’infrastruttura per il
riconoscimento dei volti in uso alle forze dell’ordine. È una conclusione
inevitabile, quella tratta da IrpiMedia e StraLi – associazione non profit che
promuove la tutela dei diritti attraverso il sistema giudiziario – da tempo
impegnate in un braccio di ferro burocratico con il ministero dell’Interno,
restio a fornire dati e informazioni richieste tramite l’accesso agli atti
generalizzato. Questo strumento dovrebbe garantire ai cittadini la possibilità
di accedere a documenti e informazioni in possesso della pubblica
amministrazione.
Tuttavia a dire del Viminale, oggi retto dal ministro Matteo Piantedosi, ne
sarebbero escluse le statistiche relative all’efficacia del riconoscimento
facciale: informazioni aggregate che non possono certo minare l’andamento delle
indagini in corso. Dall’altra, proprio queste informazioni sono tasselli
indispensabili a ricostruire lo sfaccettato puzzle delle tecnologie di cui fa
uso la sorveglianza di Stato in Italia e che per ora è destinato a rimanere
incompleto. Leggi la storia