Matteo Piantedosi è intervenuto all’evento per i 20 anni del Centro nazionale
anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche
(Cnaipic).
Il ministro dell’Interno ha indicato questo nuovo bilanciamento di diritti a cui
spera le piattaforme di messaggistica (da WhatsApp a Signal fino a Telegram) si
adeguino presto per consentire alle Forze dell’Ordine di “rompere” la
crittografia end-to-end per le attività investigative contro i cyber criminali.
“Le policy delle grandi piattaforme sono molto incentrate sull’offerta della
privacy degli utenti”, ha osservato Piantedosi. “Io credo”, ha aggiunto il
ministro, “che il bilanciamento di interessi, tra libertà democratiche,
costituzionalmente garantite, e elementi di sicurezza è il vero snodo su cui si
gioca la sfida del futuro, ossia tra la attività di Polizia per contrastare i
crimini e la privacy”.
Durante lo stesso evento, il prof. Sala ha dichiarato “secondo me una soluzione
su cui lavorare c’è per consentire gli scopi della Forze dell’Ordine, perché,
essendo l’algoritmo crittografico una forma matematica, il modo in cui è
utilizzato e l’ambiente in cui è sviluppato, permette dei margini in cui si può,
in qualche modo, indebolire un pochino la sicurezza del sistema, tenendola,
però, sempre accettabile, consentendo quindi le investigazioni della Polizia”.
Quindi, come aveva già annunciato il ministro in estate, il governo italiano
sarebbe al lavoro per ridurrre il livello di sicurezza della crittografia end to
end, per favorire le attività poliziesche: “Una nuova autorità pubblica sotto il
Ministero dell’Interno – in particolare presso la Polizia Postale – per vigilare
sui servizi di messaggistica crittografata come WhatsApp, Signal e Telegram”
Quindi, se Chat Control sembra per il momento bloccato, in Italia già si pensa a
un sistema simile, che ci porterebbe a essere molto vicini ai regimi
dittatoriali come Cina e Russia.
Fonte web
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Il garante della privacy austriaco ha accertato la violazione del GDPR di
Microsoft 365 Education perché raccoglie i dati degli studenti senza consenso.
La decisione arriva in seguito alla denuncia presentata l’anno scorso da noyb,
organizzazione non-profit guidata dal noto avvocato Max Schrems, in merito alla
raccolta dei dati degli studenti che hanno usato la suite Microsoft 365
Education.
TRACCIAMENTO ILLEGALE E ACCESSO NEGATO
L’organizzazione aveva presentato due denunce per conto di due clienti
all’inizio di giugno 2024. Il garante della privacy austriaco ha pubblicato la
decisione su una delle due, confermando quando ipotizzato da noyb. Microsoft 365
Education è la suite utilizzata nelle scuole. Invece di rispondere alle
richieste di accesso ai dati, l’azienda di Redmond ha comunicato che gli utenti
devono rivolgersi agli istituti scolastici che, ovviamente, non possono fornire
le informazioni conservate sui server di Microsoft.
Un avvocato di noyb ha evidenziato che l’azienda di Redmond scarica le
responsabilità alla scuole e alle autorità nazionali. Il garante della privacy
austriaco ha accertato tre violazioni del GDPR. Microsoft 365 Education ha
utilizzato cookie di tracciamento senza consenso, quindi in maniera illegale.
Microsoft deve ora cancellare i dati personali in questione.
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È una proposta di legge UE che obbligherebbe i servizi di messaggistica (come
WhatsApp, Signal e Telegram) a scansionare tutti i contenuti delle chat, anche
se crittografate, per cercare materiale pedopornografico noto o sconosciuto.
Quando ci sarà il prossimo passaggio chiave? Il 14 ottobre, in un incontro tra
il Consiglio dell’UE e il Ministro della Giustizia europeo. Si deciderà se
portare la proposta ai negoziati finali (trilogo).
Sta creando molti timori sulla privacy dei cittadini europei il disegno di legge
europeo che obbligherebbe i servizi di messaggistica (come WhatsApp, Signal e
Telegram) a scansionare tutti i contenuti delle chat, anche se crittografate,
per cercare materiale pedopornografico noto o sconosciuto.
COS’È IL CHAT CONTROL?
Ciò che è stato soprannominato “Chat Control” mira a introdurre nuovi obblighi
per tutti i servizi di messaggistica operanti in Europa di scansionare le chat
degli utenti, anche se crittografate, alla ricerca di materiale
pedopornografico, sia noto che sconosciuto. Una misura che ha suscitato forti
critiche sia tra i ranghi politici che nel settore tecnologico.
CRESCE IL PRESSING CONTRO LA PROPOSTA DI CHAT CONTROL
Secondo gli ultimi dati provenienti dal sito web Fight Chat Control, molti paesi
hanno cambiato posizione dopo l’incontro del 12 settembre e in vista del
prossimo, previsto per il 14 ottobre.
Leggi la situazione attuale
Come opporsi alla legge su Fight Chat Control
Il Garante della privacy ha emesso un provvedimento per bloccare il trattamento
dei dati personali degli utenti italiani da parte della società titolare
dell’app Clothoff: permetteva a chiunque di creare nudi deepfake, anche a
contenuto pornografico, a partire da foto di persone reali.
La decisione del Garante
Con il provvedimento del primo ottobre 2025 il Garante "ha disposto, in via
d’urgenza e con effetto immediato, la limitazione provvisoria del trattamento
dei dati personali degli utenti italiani nei confronti di una società, con sede
nelle Isole Vergini Britanniche, che gestisce l’app Clothoff".
La limitazione provvisoria al trattamento dei dati degli utenti italiani – si
legge nel provvedimento – durerà il tempo necessario al Garante per lo
svolgimento dell'istruttoria avviata nei confronti della società titolare di
Clothoff.
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Chat Control UE: la nuova proposta di regolamento che rischia di compromettere
la privacy digitale. Scansione preventiva dei messaggi per proteggere i minori
vs. sorveglianza di massa. Analisi dei rischi e alternative possibili
Nell’autunno del 2025 si prepara ad approdare al Consiglio dell’Unione Europea
una proposta di regolamento nota con l’appellativo mediatico di “Chat Control” –
che, se approvata, ridisegnerebbe dalle fondamenta l’architettura giuridica e
tecnica delle comunicazioni digitali.
Si tratta di una misura che si presenta formalmente come strumento di contrasto
alla diffusione online di materiale pedopornografico e come risposta
all’esigenza, difficilmente contestabile sul piano etico e politico, di
proteggere i minori nello spazio digitale.
L’idea sottesa è quella di obbligare tutti i principali fornitori di servizi di
messaggistica, da WhatsApp a Signal fino a Telegram, nonché le piattaforme
social, a introdurre sistemi di scansione preventiva dei messaggi, delle
immagini e dei file scambiati tra utenti, così da rilevare contenuti
potenzialmente illeciti prima ancora che vengano cifrati e trasmessi.
Si tratta di un passaggio tecnico che appare marginale ai più – la scansione
“lato client” prima della crittografia end-to-end – in realtà contiene la
potenzialità di sovvertire la promessa stessa di riservatezza che da sempre
sorregge la comunicazione privata.
Infatti, in nome di un obiettivo unanimemente condiviso, si rischia di
introdurre per la prima volta nella storia giuridica europea un meccanismo
normativo che legittimerebbe la sorveglianza preventiva universale delle
comunicazioni, non più su base mirata, autorizzata e proporzionata, bensì
attraverso algoritmi automatizzati che passerebbero al setaccio miliardi di
messaggi quotidiani. Leggi l'articolo
Il Tribunale dell’Unione europea, con sentenza del 3 settembre, ha respinto il
ricorso del deputato francese Philippe Latombe diretto ad annullare il nuovo
quadro normativo per il trasferimento dei dati personali tra la UE e gli USA.
Non si sono fatte attendere le prime reazioni alla sentenza.
Il team legale di Latombe ha scelto un ricorso piuttosto mirato e ristretto
contro l'accordo sui dati UE-USA. Sembra che, nel complesso, il Tribunale non
sia stato convinto dalle argomentazioni e dai punti sollevati da Latombe.
Tuttavia, ciò non significa che un'altra contestazione, che contenga una serie
più ampia di argomenti e problemi relativi all'accordo, non possa avere
successo. Latombe potrebbe anche decidere di appellare la decisione alla CGUE,
che (a giudicare dalle precedenti decisioni in "Schrems I" e "Schrems II")
potrebbe avere un'opinione diversa da quella del Tribunale.
Max Schrems, fondatore di NOYB – European Center for Digital Rights, ha
dichiarato: "Si è trattato di una sfida piuttosto ristretta. Siamo convinti che
un esame più ampio della legge statunitense, in particolare dell'uso degli
ordini esecutivi da parte dell'amministrazione Trump, produrrebbe un risultato
diverso. Stiamo valutando le nostre opzioni per presentare tale ricorso".
Sebbene la Commissione abbia guadagnato un altro anno, manca ancora la certezza
del diritto per gli utenti e le imprese"
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Il prossimo caso “Schrems III” del 3 settembre 2025 potrebbe invalidare l’EU–US
Data Privacy Framework (DPF), interrompendo nuovamente i trasferimenti di dati
tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti e costringendo le imprese a ricorrere a
soluzioni alternative come le Clausole Contrattuali Standard e le Transfer
Impact Assessments, creando un potenziale momento di panico per molte aziende.
Il 3 settembre 2025 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) emetterà la
propria sentenza nel caso Latombe vs Commissione Europea. In gioco c’è il futuro
dell’EU–US Data Privacy Framework, la decisione di adeguatezza adottata nel
luglio 2023 per ripristinare una base giuridica stabile ai flussi di dati
transatlantici. Se il framework dovesse essere annullato, le aziende si
troverebbero nuovamente ad affrontare l’incertezza regolatoria e operativa che
aveva caratterizzato la decisione Schrems II del 2020. Molti parlano già di
questo scenario come di un “Schrems III”.
Perché il DPF è sotto attacco nel caso Latombe vs Commissione Europea
Il ricorso è stato presentato nel settembre 2023 da Philippe Latombe, deputato
francese, che ha contestato direttamente la decisione di adeguatezza della
Commissione ai sensi dell’articolo 263 TFUE. A differenza di Schrems I e II, che
arrivarono alla CGUE tramite giudizi nazionali e rinvii pregiudiziali, questo
caso prende di mira direttamente la decisione, con la possibilità di accelerare
il controllo giudiziario.
Secondo Latombe, il DPF non garantirebbe una protezione “sostanzialmente
equivalente” per i cittadini europei, come richiesto dall’articolo 45 GDPR e
dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE.
Quali sono i principali argomenti del ricorso e quali i possibili scenari?
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Long story short: l'8 marzo 2024 la Commissione Europea, con il supporto
dell'EDPB, il Garante Europeo, ha riscontrato una serie di criticità e
violazioni, 180 pagine per descrivere minuziosamente le ragioni per le quali
office356 fa talmente schifo da non poter essere utilizzato dagli enti,
istituzioni e organi dell'Unione Europea.
Dopo varie interlocuzioni e modifiche, l'11 luglio l'EDPB ha chiuso l'indagine
confermando la risoluzione delle problematiche precedentemente riscontrate.
Oggi, 28 luglio, la Commissione Europea ha emanato un comunicato dichiarando la
conformità di Microsoft 365 alla normativa in materia di protezione dei dati
applicabile (che non è il GDPR ma quasi... qui si applica il regolamento UE
2018/1725)
L'EDPS (che non è l'EDPB ma quasi) ha eslamato giubilante:
"Grazie alla nostra indagine approfondita e al seguito dato dalla Commissione,
abbiamo contribuito congiuntamente a un significativo miglioramento della
conformità alla protezione dei dati nell'uso di Microsoft 365 da parte della
Commissione. La Corte riconosce e apprezza inoltre gli sforzi compiuti da
Microsoft per allinearsi ai requisiti della Commissione derivanti dalla
decisione del GEPD del marzo 2024. Si tratta di un successo significativo e
condiviso e di un segnale forte di ciò che può essere conseguito attraverso una
cooperazione costruttiva e una vigilanza efficace."
Cosa è successo? Cosa potrà mai essere accaduto, nel frattempo, per consentire a
Microsoft Office365 di entrare trionfante nel valhalla, accompagnato dalla
immortale musica di Wagner?
Perché non mi sento affatto tranquillo? Beh, forse io non faccio testo...
Leggi l'articolo di Christian Bernieri
Preoccupazioni per la privacy.
L'ultimo aggiornamento di WhatsApp è pensato per mettere la IA al servizio di
chi si trova spesso sommerso dalle notifiche e riesce ad accumulare decine o
magari centinaia di messaggi non letti, tra i quali poi deve destreggiarsi. Con
la nuova funzione Message Summaries, già attiva negli Stati Uniti, WhatsApp
genera infatti riassunti automatici dei messaggi non letti, sfruttando la IA di
Meta.
Il cuore della tecnologia è il Private Processing, un'infrastruttura che,
secondo Meta, assicura che né Meta stessa né WhatsApp possano accedere ai
contenuti delle conversazioni. I dati vengono elaborati in un ambiente protetto,
al quale le richieste di elaborazione vengono inviate in modo anonimo e protette
crittografia end-to-end.
La questione della riservatezza per WhatsApp è particolarmente delicata: Meta ha
una storia complessa in termini di privacy.
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Se siete fra gli utenti delle app di Meta, come Facebook, Instagram o WhatsApp,
fate attenzione alle domande che rivolgete a Meta AI, l’assistente basato
sull’intelligenza artificiale integrato da qualche tempo in queste app e
simboleggiato dall’onnipresente cerchietto blu. Moltissimi utenti, infatti, non
si rendono conto che le richieste fatte a Meta AI non sempre sono private. Anzi,
può capitare che vengano addirittura pubblicate online e rese leggibili a
chiunque. Come quella che avete appena sentito.
E sta capitando a molti. Tanta gente sta usando quest’intelligenza artificiale
di Meta per chiedere cose estremamente personali e le sta affidando indirizzi,
situazioni mediche, atti legali e altro ancora, senza rendersi conto che sta
pubblicando tutto quanto, con conseguenze disastrose per la privacy e la
protezione dei dati personali: non solo i propri, ma anche quelli degli altri.
Questa è la storia di Meta AI, di come mai i dati personali degli utenti
finiscono per essere pubblicati da quest’app e di come evitare che tutto questo
accada.
Benvenuti alla puntata del 16 giugno 2025 del Disinformatico, il podcast della
Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane
dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo.
Ascolta il podcast o leggi la trascrizione della puntata