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“Mi sono proposto di distruggere il mito sovietico”. George Orwell in Ucraina
Nel 1947 George Orwell sta lavorando a 1984. Per il momento, il libro, ancora in bozzolo, s’intitola “The Last Man in Europe”; Orwell ha scelto di scriverlo a Jura, nelle Ebridi, in condizioni di estrema solitudine. Orwell è un esteta dell’estremismo. Spesso, ricorda gli anni, a Parigi, in cui “vivevo nei quartieri più poveri, tra senzatetto e criminali, a mendicare o a rubare”; ricorda quando aveva scelto di condividere la vita dei minatori dell’Inghilterra del Nord. Due anni prima era morta la moglie, Eileen, in marzo; il 17 agosto del 1945 era uscito, per Secker & Warburg, La fattoria degli animali. Il libro – rifiutato da T.S. Eliot, direttore editoriale della Faber – ebbe un successo clamoroso, consentendo a Orwell una certa, inedita, sicurezza economica.  Tra le diverse traduzioni di Animal Farm, ci interessa quella polacca. “Swiatpol”, l’editore polacco che ha sede a Londra, stampa 5mila copie del libro; la traduttrice si chiama Teresa Jeleńska. Fu il figlio di Teresa, Konstanty, a far leggere Orwell a Ihor Ševčenko: nato in Polonia da genitori ucraini, il ragazzo compiva ventitré anni, studiava a Lovanio. Nell’aprile del 1946, Ihor prende coraggio e scrive a Orwell: avrebbe voluto tradurre La fattoria degli animali in ucraino. Lo scrittore, “mi capì subito, capì che la traduzione del suo libro avrebbe avuto un valore importante per i miei connazionali”. Negli anni, Ihor Ševčenko sarebbe diventato un importante docente di studi slavi e bizantini ad Harvard, nel 1996 ha pubblicato Ukraine between East and West. È morto il 26 dicembre del 2009, onorato da un ‘coccodrillo’ sul “New York Times”.  Negli scambi epistolari con Orwell, Ševčenko sottolinea che “Il mio pubblico sono i rifugiati sovietici: beh, l’effetto è sorprendente. Tutti approvano la sua interpretazione… hanno cercato immediatamente i punti in comune tra la realtà in cui vivono e il suo racconto. L’atmosfera del libro sembra corrispondere al loro reale stato d’animo”. Ševčenko traduce il libro nell’autunno del ’46, consegnandola a “Prometheus”, editore ucraino con base a Monaco. Nel marzo del ’47 Orwell, pur “spaventosamente impegnato”, accetta di scrivere una prefazione per l’edizione ucraina di Animal Farm (che si riporta, in parte, in calce). Nel testo, Orwell spiega che la guerra civile spagnola ha agito su di lui come una specie di rivelazione: > “A metà del 1937 i comunisti presero il controllo – pur parziale – del governo > spagnolo: cominciarono a dare la caccia ai trotzkisti, mi ritrovai tra le > vittime. Io e mia moglie siamo stati molto fortunati a uscire vivi dalla > Spagna, senza essere arrestati. Diversi amici furono fucilati, alcuni finirono > in prigione, altri semplicemente sparirono. Queste cacce all’uomo in Spagna si > sono svolte contemporaneamente alle grandi purghe sovietiche: ne sono state > una specie di appendice. Sia in Spagna che in Russia la natura delle accuse – > vale a dire: azioni fasciste e antirivoluzionarie – era la stessa; per quanto > riguarda la Spagna, posso dire che erano del tutto infondate. Ne uscii con una > lezione preziosa: capii con quale pervicacia la propaganda totalitaria possa > controllare l’opinione pubblica delle masse ‘illuminate’ dei paesi > democratici. Io e mia moglie abbiamo visto innocenti gettati in carcere perché > sospettati di non-ortodossia. Eppure, al nostro ritorno in Inghilterra diversi > ‘osservatori’ ben informati dimostravano di credere ai più fantasiosi > resoconti di tradimento e di sabotaggio riportati dalla stampa sovietica. > Compresi finalmente con chiarezza la nefasta influenza del mito sovietico per > il socialismo occidentale”. La traduzione ucraina de La fattoria degli animali uscì nel settembre del 1947, con esito sinistro. “Le autorità americane di stanza a Monaco ne hanno sequestrate 1500 copie, consegnandole al personale sovietico”, scrive Orwell ad Arthur Koestler. Tuttavia, almeno duemila copie del romanzo, scampate al sequestro, finirono in mano ai profughi (la vicenda è ricostruita con dettagli in: Masha Karp, George Orwell and Russia, Bloomsbury, 2023).  Ma Orwell era ormai altrove. L’inverno alle Ebridi lo logora, il 20 dicembre è ricoverato in un ospedale nei pressi di Glasgow. 1984, il libro che intende “mettere in luce le degenerazioni, in parte già verificatesi sotto il comunismo e il fascismo, a cui sono soggette le economie centralizzate”, lo sta lentamente logorando. Ma questa è un’altra storia, che riguarda la tirannia della scrittura e la ‘missione’ dello scrittore.  *** Prefazione per la traduzione in ucraino de “La fattoria degli animali” Non ho mai visitato la Russia: la conosco per ciò che ho letto su libri e giornali. Anche se ne avessi il potere, non vorrei interferire con gli affari del regime sovietico: non condannerei Stalin e i suoi per i metodi barbarici e antidemocratici che adottano. È perfino possibile che non abbiano potuto agire diversamente da come hanno fatto. Tuttavia, è per me della massima importanza che gli europei conoscano il regime sovietico per ciò che è realmente. Dal 1930 non ho visto nulla, nell’Urss, che possa riferirsi a ciò che intendiamo per socialismo. Al contrario, ho scoperto, con sorpresa, i chiari segni di una società gerarchica, i cui governanti non hanno motivo di rinunciare al loro potere, alla pari di qualsiasi classe dominante. I lavoratori e gli intellettuali inglesi non riescono a comprendere che l’Urss di oggi è totalmente diversa da quella del 1917. In parte, non vogliono capire – cioè, vogliono credere che esista davvero, da qualche parte, nel mondo, un paese socialista – dall’altra non possono: per costoro, abituati a una pur relativa libertà, è incomprendibile il totalitarismo.  Eppure, occorre ricordare che l’Inghilterra non è del tutto democratica. È un paese capitalista con grandi privilegi di classe (perfino ora che la guerra ha livellato tali classi), con enormi differenze di ricchezza. Ciononostante, è un paese in cui le persone convivono da secoli senza feroci conflitti, in cui le leggi sono relativamente giuste e le notizie e le statistiche ‘ufficiali’ sono per lo più affidabili – è un paese dove esprimere opinioni di minoranza non comporta alcun pericolo di morte. In un clima simile, l’uomo comune non può capire il senso dei campi di concentramento, delle deportazioni di massa, degli arresti senza processo, della censura… Tutto ciò che in Inghilterra si legge a proposito dell’Urss viene tradotto in termini inglesi, e dunque assunto con totale innocenza, cibandosi della menzogna totalitaria. Fino al 1939 la maggior parte degli inglesi, d’altronde, è stata incapace di valutare l’entità autentica del regime nazista; con quello comunista è vittima della medesima illusione.  Ciò ha causato danni enormi al movimento socialista inglese e ha avuto gravi conseguenze sulla politica estera del mio paese. A mio parere, nulla ha contribuito tanto alla corruzione dell’originaria idea del socialismo quanto la convinzione che la Russia sia un paese socialista e che l’azione dei suoi governanti debba essere perdonata quando non imitata. Per questo, negli ultimi dieci anni mi sono proposto di distruggere il mito sovietico: perché il movimento socialista possa risorgere.  Di ritorno dalla Spagna, ho pensato di smascherare il mito sovietico con una storia che fosse facilmente comprensibile e traducibile in altre lingue. Lo schema della storia mi sfuggiva finché un giorno, nel piccolo villaggio in cui vivevo allora, non vidi un ragazzino, di circa dieci anni, che guidava un enorme cavallo da tiro, strigliandolo ogni volta che la bestia voleva cambiare strada. Mi colpì un fatto perfino banale: se gli animali da soma avessero coscienza della loro forza, non avremmo alcun potere su di loro. Allo stesso modo, con lo stesso metodo, i ricchi sfruttano i proletari.  Proseguii analizzando le teorie di Marx dal punto di vista degli animali. Cominciai a scrivere il libro intorno al 1943. Per sei anni ho rielaborato quella storia nella mia mente. Non desidero commentare oltre: se un libro non parla da sé, quel libro è un fallimento. Se a qualcuno interessano i miei fatti privati, potrei aggiungere che sono vedovo, ho un figlio di quasi tre anni, faccio lo scrittore di professione; dall’inizio della Seconda guerra ho lavorato essenzialmente come giornalista.  George Orwell L'articolo “Mi sono proposto di distruggere il mito sovietico”. George Orwell in Ucraina proviene da Pangea.
August 20, 2025 / Pangea
“L’amore è la nostra resistenza”. 1984: dal romanzo all’opera rock, da Orwell ai Muse
Il 6 maggio al Teatro Nazionale di Milano è andato in scena “Muse 1984 – Resistance”, opera rock che è insieme un concerto tributo dedicato ai Muse, una delle più importanti band del panorama musicale degli ultimi decenni, e una pièce teatrale tratta da 1984 di George Orwell, classico della letteratura novecentesca che ha ispirato l’album capolavoro dei Muse, “The Resistance”. Diretto da Marco Rampoldi e prodotto dalla sua Rara Produzione, per la drammaturgia di Paola Ornati, lo spettacolo tornerà sul palcoscenico il 7 novembre al teatro Michelangelo di Modena[1]. 1984 di George Orwell (1949) In un 1984 profetizzato all’ombra delle dittature del secolo breve, una Londra post-atomica vive nell’era della solitudine: negli uffici, nei luoghi di ritrovo, persino nell’intimità delle case, teleschermi sempre accesi scrutano e ascoltano ogni espressione involontaria, ogni sospiro. Pensare è un crimine, e come tale la Psicopolizia lo combatte, condannando i colpevoli a una damnatio memoriae totale. Ogni atto d’amore è bandito. Nessuno è al sicuro, nemmeno da colleghi e amici, nemmeno dai propri stessi figli. Nessuno è solo, eppure nessuno lo è mai stato tanto radicalmente. L’occhio del Grande Fratello non dorme mai. Un distopico Mago di Oz che muove i fili del mondo da dietro le quinte. Un mortale, un superuomo, o forse un dio, realmente esistente, o solo proiezione di un’ideologia. Impone all’umanità un eterno presente, sempre mutevole eppure sempre uguale a sé stesso, perennemente riscritto dal Partito ogniqualvolta cambi il vento. Perché il Partito non sbaglia, e ciò che afferma è immutabile. Il tempo della Storia è finito, esiste solo la narrazione del Partito, con le sue macchine che sputano fuori senza sosta informazione, romanzi, film e musica, costruiti a tavolino sulla Neolingua, un nuovo vocabolario ridotto all’osso, come del resto il pensiero, ormai atrofizzato. Uniche vestigia del passato, i versi di una filastrocca che cantano le voci delle campane di Londra, un fermacarte di corallo, un diario dalle pagine immacolate. Su questo diario Winston Smith, impiegato del Partito, scrive, incidendo nelle sue pagine il disperato tentativo di ricordare, di rimanere sano, di essere libero.  Affida la sua resistenza alla scrittura, e all’amore per Julia. Ma anche l’amore e il desiderio di libertà fine a se stessi, senza istinti ideologici rivoluzionari, sono condannati a non essere mai incontaminati, a essere sempre un atto politico. Si è con il Partito o contro il Partito, unico polo di attrazione o repulsione, la neutralità è morta. Non si può essere invisibili di fronte allo sguardo del Grande Fratello. Nato in un’epoca dilaniata dagli orrori del Nazismo e dello Stalinismo, il romanzo nasce come condanna a qualunque dittatura, rivelandone, pur nella grottesca iperbole della fantapolitica distopica, il reale meccanismo che accomuna ogni forma deviante di governo, il potere per il potere. Era ancora troppo coinvolto per aprire alla speranza in un mondo migliore: se infatti fin dall’inizio la rivoluzione è affidata ai posteri, e rimandata a un futuro lontano, sul finire del romanzo Winston è definito “l’ultimo uomo”, l’unico sopravvissuto di una specie in via di estinzione, e forse già estinta. Ma anche lui rinnegherà Julia e il loro amore, a cui si sostituirà quello cieco per il Grande Fratello, marchiato a fuoco nella sua mente da torture fisiche e psicologiche. È un punto di vista drammatico, ma, in quel momento storico, necessario. * L’album “The Resistance” dei Muse (2009) Un fremito di speranza fa vibrare invece le corde di “The Resistance”, quinto album dei Muse, gruppo musicale rock alternativo britannico tra i più influenti a livello globale. Nata negli anni Novanta e composta da Matthew Bellamy, Chris Wolstenholme e Dominic Howard, la band si è aggiudicata alcuni tra i più prestigiosi premi del mondo musicale, e nel 2022, anno di uscita dell’ultimo album, ha raggiunto il traguardo di oltre trenta milioni di copie vendute in tutto il mondo. La distopia è un universo narrativo da spesso frequentato dai Muse, ma questa volta con “The Resistance” il richiamo a 1984 è voluto ed esplicito. Ed estremamente riuscito nel suo adattamento in chiave musicale, canonizzato dal Grammy al miglior album rock. Una definizione che restringe però i confini “rivoluzionariamente” indefiniti di “The Resistance”, che all’insegna dello sperimentalismo, e di una libertà di espressione fortemente tematica, percorre spazi dal rock all’elettronica, dal metal alla ballad, fino a toccare la musica classica, in un crescendo di scambi e unioni tra gli strumenti tipici della formazione dei Muse (chitarra elettrica, basso e batteria) e l’orchestra sinfonica, posti in dialogo da un ponte ideale gettato dagli assoli di piano del frontman, nonché compositore, Matthew Bellamy. Siamo quindi accompagnati in un viaggio che ci porta dal ritmo incalzante di un inno rivoluzionario come “Uprising” (Non ci sottometteranno/ Smetteranno di umiliarci/ Non ci controlleranno/ Saremo vittoriosi/ Quindi, forza!) a brani più intimi, come “Resistance”, pezzo che dà il nome all’album e che culmina quasi con l’afflato di una preghiera (L’amore è la nostra resistenza/ Portaci via dall’inferno/ Proteggici da ogni altro male/ Resistenza), fino ad arrivare a “I Belong to You (+ Mon Coeur S’Ouvre a Ta Voix)”, che incastona una rivisitazione dell’aria tratta dall’opera Samson et Dalila di Camille Saint-Saëns. Di straordinaria potenza è poi il dittico “United States of Eurasia” e “Guiding Light”: il primo brano è un’opera in miniatura, un mosaico di movimenti che in quasi sei minuti racconta il presunto stato di guerra perenne che in 1984 è utilizzato dal Partito come instrumentum regni, e condanna con esso tutte le guerre, destinate a non finire mai perché continuamente alimentate dal potere al fine di controllare le masse, quando invece il mondo potrebbe essere un’unica realtà (E queste guerre, non possono essere vinte/ E tu vuoi che vadano avanti/ Ancora e ancora/ Perché dividere gli Stati/ Quando può essercene uno solo?). Uno specchio di terribile attualità che ricorda le geografie sonore quasi oniriche di “Innuendo”, capolavoro dei Queen, attraversando sonorità rock, inserti arabeggianti e una coda, intitolata “Collateral Damage”, in cui Bellamy interpreta al pianoforte il Notturno in Mi bemolle maggiore op. 9 n. 2 di Fryderyk Chopin, mentre di sottofondo intuiamo risate di bambini, e l’eco di un aereo miliare, che prosegue il suo volo di morte nel brano seguente, spegnendosi nel boato delle percussioni che introducono la struggente ballad “Guiding Light” (Ma sono perso, schiacciato, infreddolito e confuso/ Senza una luce guida rimasta dentro di me/ Tu sei la mia luce guida/ Quando non c’è nessuna luce guida che ci è rimasta dentro/ Quando non c’è nessuna luce guida nelle nostre vite). Chiude l’album il trittico dal titolo “Exogenesis”, una sinfonia composta da tre movimenti, “Overture”, “Cross-Pollination” e “Redemption”. È quindi nell’ottica della redenzione, e della promessa di ricominciare percorrendo questa volta la giusta strada, che si chiude l’album: i 60 anni che separavano il romanzo da “The Resistance” avevano frapposto un velo di distacco che apriva uno spazio per sperare, e per resistere.  * Muse 1984 – Resistance. Rock Opera Ed è proprio in questo spazio reso fertile dalla speranza che mette radici la “resistenza”, e con essa la partecipazione e l’adesione a un progetto rivoluzionario di amore, libertà e pace. Partecipazione e adesione che si respirano al Nazionale non solo grazie all’energia travolgente dei più grandi successi dei Muse, che ha fatto alzare dalle poltroncine e cantare anche un pubblico “introverso” e composto come quello milanese, nel petto l’eco impetuosa della musica dal vivo, ma anche grazie alla scelta tematica dei passi tratti dal romanzo e trasformati in recitativi, a creare un percorso narrativo tra i brani musicali, trasformando un concerto tributo in una vera e propria opera teatrale: l’accento, come nell’album madre dello spettacolo, è posto sul seme di una rivoluzione destinata a deflagrare e su di un’incorruttibile storia d’amore tra Julia (quasi un sogno, che vediamo e ascoltiamo solo attraverso gli schermi) e Winston, interpretato da Arcangelo Deleo con recitativi e tramite l’interpretazione dei brani nel ruolo del frontman. Una rivoluzione e un amore che nel romanzo sono destinati a fallire, andando a estirpare forse l’ultimo germoglio di umanità rimasto nel mondo, e che qui invece sembrano volti a un disegno più grande, al di là della salvezza e della libertà individuale dei protagonisti, un disegno che mira a risvegliare l’umanità intera. E il pubblico. Gli spettatori sono chiamati a vivere un’esperienza immersiva, calamitati da un universo scenografico, progettato dallo stesso regista Marco Rampoldi, che non lascia scampo: un’impalcatura in ferro sovrasta il protagonista come un ingranaggio immane e fatale, e punta sulla platea gli occhi implacabili dei teleschermi che nella Londra orwelliana spiavano ogni angolo della vita della gente, e proiettavano le ingannevoli narrazioni della propaganda. Questa incombente struttura accoglie su piani solo apparentemente incomunicabili i musicisti, giovani artisti di straordinario talento formatisi in alcune delle più prestigiose scuole italiane e internazionali (Luca Corbani al basso, Giacomo Gagliardini alla chitarra, Simone Mauro Ghilardi alle tastiere e Matteo Rampoldi alla batteria). A tratti, negli intermezzi dei brani, indossano (idealmente) la maschera, interpretando sia con recitativi dal vivo sia tramite video proiettati dagli schermi gli agenti del Partito, con le agghiaccianti contraddizioni dei suoi slogan: “la guerra è pace”, “la libertà è schiavitù”, “l’ignoranza è forza”. Eppure, i teleschermi non sono solo occhi e strumenti della propaganda, ma anche finestre: finestre sull’interiorità di Winston, sui suoi spazi di libertà. E così vi leggiamo le traduzioni dei testi delle canzoni, perché nulla vada perduto, e le pagine del diario scritto in segreto dal protagonista. Perché in un mondo dove tutto è sintetico, il linguaggio è atrofizzato, il pensiero è un crimine, e nessuno è libero di scrivere, o di cantare, e dove si distrugge anziché costruire, la creazione, l’arte, sono rivoluzionarie. E, in un presente che sembra adombrato dalla distopia di Orwell, dove la guerra, la solitudine e il silenzio interiore di una società troppo rumorosa sono ancora drammaticamente attuali, sono un coraggioso atto d’amore per l’umanità. Sono la nostra forma di resistenza. Perché salvare l’umanità non significa preservare a ogni costo la nostra sopravvivenza, ma custodire ciò che ci rende umani: “l’obbiettivo non è restare vivi, ma restare umani”. Chiara Bianchi *Si pubblica in anteprima l’articolo di Chiara Bianchi, in uscita sull’ultimo numero di “Studi Cattolici” -------------------------------------------------------------------------------- [1] Per rimanere aggiornati sulle prossime novità, consultate il sito www.raraproduzione.it e le pagine Instagram dedicate @rara_produzione e @muse1984. L'articolo “L’amore è la nostra resistenza”. 1984: dal romanzo all’opera rock, da Orwell ai Muse proviene da Pangea.
June 16, 2025 / Pangea