Mi sono ripromesso che non leggerò nulla di scritto su Vargas Llosa giusto
perché è morto, nessun articoletto salmodiante tenuto in caldo in attesa della
salma apposita e sfornato per vendere qualche copia in più al mattino, come con
Martin Amis, Paul Auster, e tutti gli altri eccetera all’indietro e in avanti.
Non leggerò nessun aneddoto autobiografico pubblicato per dare l’impressione che
loro, gli aneddotici, siano ancora vivi e lui, Vargas Llosa no, mentre anche
così sarà vero il contrario, o meglio: l’opera letteraria di Vargas Llosa
resterà più viva di chiunque pretenderà di essere nella condizione di poterla
ricordare: è la letteratura che ci ricorda, che ci mette nella condizione di
ricordarci semmai di noi stessi; quando avviene il viceversa non è letteratura,
non lo è mai stata.
Non leggerò nulla su Vargas Llosa in morte di Vargas Llosa se prima non leggerò
qualcos’altro di Vargas Llosa stesso. Di suo proprio di recente ho letto L’orgia
perpetua ripubblicato di recente dalla Settecolori, l’avevo recuperato nel
circuito dell’usato nella precedente edizione con la stessa traduzione, invece
sono passati almeno un paio di decenni dal mio essere uscito frastornato dal
romanzo che ha aveva separato la mia strada da lettore dalla sua di
scrittore: La casa verde, che secondo me in italiano è stata tradotta non come
merita, detto da chi non conosce affatto la lingua originale, ma se La casa
verde è il capolavoro che è, e che non ho dubbio che sia, non può essere il
romanzo che ho letto io nella resa di Enrico Cicogna – così come sono convinto
che Meridiano di sangue di Cormac McCarthy non è quello che leggo nella resa di
Raul Montanari. Un capolavoro tante volte lo è proprio per come lo resta
nonostante le traduzioni che ce la mettono tutta perché non si noti quanto lo
sia.
Meridiano di sangue me lo sogno tradotto dalla Balmelli che ha tradotto Suttree.
Pure vero che La città e i cani, primo romanzo di Vargas Llosa, primo sia nel
senso che è il primo scritto da lui sia che è il primo dei suoi che abbia
letto, che mi conquistò totalmente e che sancì la mia ammirazione inconfutabile,
io l’ho comunque letto nella traduzione del da me vituperato Enrico Cicogna. La
casa verde è romanzo sorprendentemente e formalmente più ardito, però, de La
città e i cani.
Così come le è stato chiesto di ritradurre Cent’anni di solitudine, di Marquez,
a Ilde Carmignani non potrebbero chiedere una nuova traduzione di La casa verde?
La traduzione precedente di Cent’anni di solitudine, tra l’altro, lo scopro
adesso che ho controllato, era di Enrico Cicogna.
Speriamo che essere morto a Vargas Llosa valga almeno la consolazione di essere
ri-tradotto perché possa risorgere come merita in italiano. In lingua originale,
che è l’autentico piano dell’esistenza di uno scrittore che è riuscito a
diventarlo, certo non occorre nulla del genere. Lì Vargas Llosa è diventato
immediatamente immortale, cioè come tutti i grandi lo sarà finché qualcuno
felice d’imparare a leggere-leggere a giro lo si troverà ancora.
Nella morte di uno scrittore io non ci trovo nulla di interessante, nulla di
pertinente, tutto di necrofilo oltre che di ipocrita e opportunistico. Le prime
pagine di giornale potevano aprirle, per esempio, con l’annunciata
pubblicazione del prossimo romanzo di Thomas Pynchon: l’uscita di Shadow
Ticket scagionerà il prossimo 7 ottobre dall’essere solo un infausto
anniversario israelo-palestinese, oltre che mondiale, così come lo sono
diventati il 24 febbraio in Ucraina, l’11 settembre negli Stati Uniti, il primo
settembre in Polonia.
Giovandomi ripetendo: finché a scuotere le popolazioni informate non sarà
l’annuncio di un nuovo romanzo di Aldo Busi o di Peter Handke o di J. M. Coetzee
o di Helena Janeczek o di Herta Müller, per dire, ma il mero pettegolezzo della
morte sempre da mettere in conto di Questo Scrittore o Quella Scrittrice,
saranno più alte le probabilità di un nuovo 5 marzo 1933 in Germania che quelle
di un nuovo 16 giugno 1904 a Dublino.
…Intanto aspetto mi arrivi via posta la copia ordinata della Lettera d’amore a
Giacomo Leopardi, di Antonio Moresco: le rondini in copertina non importa non
facciamo primavera, purché facciano letteratura.
antonio coda
L'articolo Contro i coccodrilli. Ovvero: ecco perché Mario Vargas Llosa è ancora
vivo proviene da Pangea.
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Per indebolire un giornale online basta renderlo invisibile. Il DDoS è uno
strumento economico per raggiungere l’obiettivo. Per difendersi servono reti di
relazioni e peso specifico. E qui sta parte del problema
Per quasi due settimane, dal 5 al 18 luglio, IrpiMedia non è stata raggiungibile
ai suoi lettori a causa di un attacco informatico. In gergo si parla di DDoS,
distributed denial of service, ovvero di quella tecnica che prevede l’impiego di
una complessa rete composta da migliaia di computer o server, impegnati a
collegarsi contemporaneamente a un unico sito Internet in modo da mandarlo in
crash e renderlo inaccessibile a chiunque.
È quanto accaduto proprio a noi, che siamo stati bersaglio di una quantità
sproporzionata di connessioni per settimane, arrivata a picchi di 26 milioni di
tentativi di accesso in 24 ore, rispetto alle decine di migliaia alle quali
siamo abituati.
In parole povere, qualcuno ha deciso di spendere tempo e soldi per impedirci di
restare online e, conseguentemente, per impedire a voi di leggerci.
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