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“Ostinata nell’esprimere l’inesprimibile”. Dialogo con Ana Blandiana
Ana Blandiana nasce con il “marchio di Caino”. Figlia di un insegnante reduce della Grande Guerra, arrestato perché “nemico del popolo”, pubblica il primo libro, Prima persona plurale, poco più che ventenne, nel 1964. È uno shock. Il libro, manomesso dai censori, è irriconoscibile. > “Strofe soppresse, versi aggiunti, titoli cambiati, tantissime parole > sostituite: questo volume per me rappresenta il simbolo dell’impotenza > rispetto al sistema e alla sua arroganza, alla sua capacità di manipolazione”. In una poesia, Ana Blandiana canta la pioggia, “amo la pioggia, amo la pioggia alla follia”. Quei versi, un acquazzone di gioia, fendono il grigiore della Romania ‘sovietica’: pur mutilato, il libro ha successo, alla figlia di un nemico dello Stato è aperto l’accesso all’università.  Sarà l’inizio di una lotta incessante contro gli orrori del regime.  L’importanza di Ana Blandiana nella Romania comunista è pari, per aristocrazia d’ingegno, a quella di Anna Achmatova in Unione Sovietica. I suoi versi, proibiti, vengono imparati a memoria, spacciati clandestinamente nei sottoscala come gesti di ribellione, come atti d’amore. La poesia di Ana Blandiana, vertiginosa – ora raccolta da Bompiani in Raccolto d’angeli, a cura di Mauro Barindi –, rigurgita di creature celesti. Ci sono angeli sporchi di fuliggine, angeli “che hanno indossato abiti d’uccello” e “vecchi angeli maleodoranti/ con puzzo di rancido nelle penne umidicce,/ nei radi capelli,/ nella pelle che si squama in isole di psoriasi”. Ci sono angeli, in questa lirica apocalisse, che “presto saranno processati”.  Nel 1988, già riconosciuta come uno dei più potenti poeti al mondo, la Romania di Ceaușescu ordina che i libri di Ana Blandiana “vengano proibiti e tolti dalle biblioteche, perfino quelli in cui è citato anche solo il suo nome” (Barindi). In Italia, Andrea Zanzotto guida un appello contro le persecuzioni perpetrate ai danni della poetessa rumena. In seguito al rovesciamento del regime, Ana Blandiana viene cooptata dal Fronte di Salvezza Nazionale di Ion Iliescu; se ne allontana appena avverte i sintomi della solita politica, deformata dal virus della vendetta, della perversione ideologica.  In uno degli ultimi testi, raccolti in Variazioni su un tema dato (2018), Ana Blandiana ritorna all’epoca della catastrofe comunista. > “Se avessimo come un tempo i microfoni nascosti in casa, le spie in ascolto, > mentre mi registrano, mi considererebbero senz’altro una pazza, mentre ti > parlo di ogni sorta di cose… dicendoti ti amo, così, al presente, e > augurandoti buona notte prima di spegnere la luce”. Il potere è terrorizzato – sempre – dal poeta che, svergognatamente, ama. La poesia, ha scritto Iosif Brodskij, il grande poeta ribelle ai diktat sovietici, “sollecita nella persona il senso della propria individualità, unicità, separatezza”, trasforma ogni volto – perfino il più perfido, il più infido – in qualcosa di umano. Già. Il poeta ha l’audacia di amare, di aprire uno spazio di bellezza – per quanto angusto, per quanto modesto – mentre tutto intorno è orrore.   Che rapporto c’è tra la poesia e il potere? O meglio: il potere della parola poetica che cosa può contro i potenti? Stranamente, mentre nelle democrazie il potere politico è in maniera assoluta indifferente alla poesia e alla letteratura, come pure ai loro autori, i dittatori hanno dimostrato in numerose occasioni di essere addirittura ossessionati dal potere della parola e di coloro che lo detengono. Come si è visto nell’incredibile conversazione tra Putin e il leader cinese, i dittatori sono preoccupati dall’immortalità e dalla posterità, di cui i poeti sono per tradizione i detentori. Da qui deriva la testardaggine dei dittatori di volerli assoggettare, comprandoli o mettendoli in prigione, al fine di ottenere qualche buona referenza nell’eternità. In questo senso il comportamento di Stalin è ben noto e la dice lunga sulla sua paura riguardo al potere dei poeti che non possono essere prezzolati, perché la loro protesta non è riferita solo al presente ma anche al futuro.    Che rapporto c’è tra la poesia e il potere?  Stranamente, mentre nelle democrazie il potere politico è in maniera assoluta indifferente alla poesia e alla letteratura, come pure ai suoi autori, i dittatori hanno dimostrato di essere ossessionati dal potere della parola e da coloro che lo detengono. Come si è visto nell’incredibile conversazione tra Putin e il leader cinese, i dittatori sono preoccupati dall’immortalità e dalla posterità, di cui i poeti sono per tradizione i detentori. Da qui deriva la testardaggine dei dittatori di volerli assoggettare, comprandoli o mettendoli in prigione, al fine di ottenere qualche buona referenza nell’eternità. In questo senso il comportamento di Stalin è ben noto e la dice lunga sulla sua paura riguardo al potere dei poeti che non possono essere prezzolati, perché la loro protesta non è riferita solo al presente ma anche al futuro.    Cosa significa scrivere sotto le cesoie della censura?  La differenza tra la parola ‘libera’ e la parola che riesce a essere pronunciata sotto censura è che quest’ultima ha un’importanza molto maggiore per coloro ai quali arriva. La prima grande scoperta che ho fatto dopo il 1989 è stata che la libertà di parola ha diminuito l’importanza della parola stessa. Quando è libero, l’orecchio di chi ascolta è disattento, indifferente; sotto censura chi ascolta affila l’udito per cogliere la minima allusione, la più sottile tendenza alla resistenza. Non erano le parole a spaventare il regime, ma la solidarietà degli uomini legati ad esse. Perché ha scelto la poesia (o è stata scelta dalla poesia)?  Ho iniziato a disporre e ad abbinare tra loro le parole fin dalla prima infanzia, prima ancora di saper leggere e scrivere; poi, dopo aver scoperto la lettura, ho composto versi ispirandomi a ogni poeta di cui mi innamoravo, e così, durante l’adolescenza, ho scalato i gradini della storia letteraria fino ad arrivare a me stessa. Ovviamente, non può trattarsi della scelta di un destino, ma sono troppo modesta per affermare che sia stato lui a scegliere me.  Cosa significa per un poeta “prendere posizione”? Il poeta è sempre un ribelle: alle norme del mondo come a quelle del linguaggio? Vorrei che non si esagerasse il carattere di protesta della mia poesia. È vero che è accaduto in alcuni casi, diventati celebri (sotto forma di samizdat), ma in generale, nonostante la mia costante tendenza a ribellarmi come essere umano, come cittadino, la mia poesia ha sempre posseduto degli anticorpi che hanno fatto da scudo al coinvolgimento politico, all’impegno legato a un preciso momento. La prova risiede nel fatto che ha superato le barriere della storia.  Ci sono tanti angeli nella sua poesia: perché?  Se accetta l’idea che la poesia è ostinazione nell’esprimere l’inesprimibile, allora capirà e sentirà che gli angeli sono strumenti, a volte disperati, di questa ostinazione. In cosa crede? Insomma, esiste qualcosa dopo la morte oppure non è che il niente?  Per me non esiste prova più semplice e chiara dell’esistenza di Dio del non sentirmi mai sola. Sì, credo che ci sia qualcosa dopo la morte, qualcosa che fa parte del mistero scoperto dai grandi fisici che hanno studiato la struttura della materia e dell’universo, diventando quasi mistici. Del resto, Einstein parlava quasi come Dante dell’«Amor che move il sole e l’altre stelle» e si considerava scientificamente irrealizzato, perché non era stato in grado di trovare la formula matematica di questa forza. Che senso ha la poesia oggi, in un’epoca lacerata dall’orrore, dalla violenza senza mediazioni? Il senso della speranza. Una volta ho tenuto una conferenza dal titolo “La poesia può salvare il mondo?”. La mia risposta era sì e raccontavo delle migliaia di poesie composte e trasmesse tramite l’alfabeto Morse (senza carta né penna, oggetti proibiti) nelle prigioni comuniste della Romania degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, a dimostrazione del fatto che quando sentono minacciata la loro stessa essenza, gli uomini ricorrono alla resistenza attraverso la poesia. A cosa serve la poesia: a vivere, a sopravvivere, a morire, a restare felici, a trovare se stessi (o a perdere il senso del sé)? A tutto questo e, oltre a questo, alla certezza che, essendo così difficile da capire e da definire, la poesia fa parte di quella realtà in cui gli antichi greci riponevano la loro fiducia e che chiamavano “kalokagathìa”, una parte che non potrà mai essere sconfitta perché fondata sul masochismo dei buoni. Del resto, questo è anche il punto di continuità con il cristianesimo.  Ritagli una manciata di versi dalla sua opera che, in modo delicato e feroce assieme, la descrivono. “Perché sono in grado di capire, e sono colpevole di tutto ciò che capisco”* «Pentru că sunt în stare să înțeleg,  De tot ce înțeleg sunt vinovată» * versi tratti dalla poesia Fără un gest (“Senza un gesto”) contenuta nella raccolta Arhitectura valurilor (“L’architettura delle onde”) del 1990. *In copertina: Ana Blandiana fotografata da Emilio Fraile L'articolo “Ostinata nell’esprimere l’inesprimibile”. Dialogo con Ana Blandiana proviene da Pangea.
October 22, 2025 / Pangea
Sfigurare il nome. Solo chi è nessuno può dire la verità: discorso sull’immortalità dell’anonimato
Vergogna, modestia, umiliazione o persino narcisismo; dissolversi per durare è un gesto antico e modernissimo che cela un desiderio paradossale. D’altronde, se anche l’autore del creato è l’innominato per eccellenza, allora tacere il proprio nome è, in fondo, un atto teologico; una restituzione al divino dell’atto di creare. > “Là dove il nome tace, parla lo spirito.”  > > Meister Eckhart Tutto comincia quando l’autore si ritira. È allora che la voce dell’opera diventa più nitida, che tutto si distrugge e resta soltanto la parola, sospesa, come un respiro senza volto. Lungi dall’essere una semplice mancanza di firma, l’anonimato letterario è stato un dispositivo di libertà, censura e sopravvivenza, e, nonostante possa apparire come un mero residuo arcaico, forse è l’ultimo atto di libertà possibile. Nel Settecento europeo, di fatto epoca di censura e illuminazione, si fece dell’anonimato una pratica necessaria e quasi stilistica. In Italia, il nome poteva divenire condanna. La firma, un azzardo politico. Nel mondo editoriale del tempo, la scelta di non apparire non era sempre dettata da modestia, ma da una prudenza colta, da un senso di difesa intellettuale. Michel Foucault ha scritto – in Che cos’è un autore?,1969 –  che > “L’autore non è più che una funzione del discorso.” Eppure, proprio quando il nome scompare, la voce si amplifica. Molti dei repertori bibliografici nati tra Sette e Ottocento sono, infatti, tentativi di restaurare il nome perduto, di restituire una biografia all’ombra. Lì dove il frontespizio tace, i filologi cercano indizi, sigle, dediche, scaglie di calligrafia; una sorta di archeologia del soggetto. Inizialmente, le opere anonime appartenevano a generi precisi. Le grammatiche, gli abbecedari, i manuali di divulgazione scientifici; testi utili, collettivi, spesso di larga circolazione. Ancora più importanti però sono i viaggi, i romanzi, i testi satirici e teatrali; generi più insidiosi, dove l’io autoriale poteva essere compromettente. > “L’uomo raggiunge la sua vera grandezza quando scompare dietro ciò che crea.”  > > Antoine de Saint-Exupéry, Terra degli uomini Soprattutto nella frammentata Italia pre-unità, tra censura, inquisizione e gelosie accademiche, il nome poteva essere una ghigliottina. Il monaco Norberto Caimo, ad esempio, nel 1761 pubblica le Lettere d’un vago italiano ad un suo amiconascondendo il proprio nome e perfino il luogo di stampa, indicando l’inesistente città di Pittburgo. Qui si descrivevano i viaggi dell’autore in Spagna, Portogallo, Inghilterra, Belgio e Francia tra il 1755 e il 1756 in un anonimato etico, figlio della vocazione religiosa ma anche di una sensibilità politica; il religioso che scrive, osserva, giudica, ma che non può esporsi.  Una sorte ben diversa tocca a Saverio Bettinelli: gesuita e critico fu richiamato all’ordine dopo aver firmato le Lettere virgiliane. Quando pubblica le Lettere inglesi, è costretto a scegliere il buio; una rinuncia al nome per salvare la voce. Vi sono poi i casi in cui l’anonimato diventa maschera politica, come per Ludovico Bianconi, medico bolognese che nel 1764 pubblica a Lucca, in un contesto di scontro feroce tra censura ecclesiastica e libertà ducale, le Lettere al marchese Filippo Hercolani. Qui, osservando la vita tedesca, egli annota con finezza i contrasti tra protestanti e cattolici, e l’omissione tipografica diventa, così, una scappatoia etica e politica; pubblicare altrove, fingere. > “Il nome è la più antica catena dell’uomo.”  > > Elias Canetti, Massa e potere Ci fu anche, però, chi il proprio nome lo volle difendere. Carlo Goldoni, nella Venezia delle tipografie e dei plagi, capì che la vera censura non era quella del doge, ma quella degli stampatori e direttori di teatro (in questo caso Giuseppe Bettinelli e Girolamo Medebach). Le sue commedie – “sfigurate, scorrette, ad onta mia” – gli sfuggivano di mano. Così la firma divenne per lui un’arma, un atto di proprietà, quasi un testamento. Ogni prefazione, ogni ritratto inciso in frontespizio erano un modo per dire “io sono questo volto, questa voce”. Nel suo teatro la lotta per la verità non è solo drammatica, è editoriale. Scrivere significava difendersi dal furto, dal silenzio, dall’oblio. Il suo teatro è un tribunale dove l’autore, l’editore e lo spettatore si contendono il diritto alla verità. > “Chi avrà coraggio di por mano nelle opere mie?”  > > Carlo Goldoni Goldoni è il primo autore italiano moderno, perché intuisce che il nome, in fondo, è già una maschera. E che ogni maschera, prima o poi, diventa necessaria. Il nome proprio, diceva, non designa un uomo, ma una certa modalità dell’esistenza dei discorsi. Eppure, siamo certi che comunicare non significa per forza trasmettere; un nome vende, un concetto insegna. Naturalmente, però, la società evolve, il tempo scorre, e nel XX secolo, l’anonimato non è più soltanto difesa o prudenza, bensì esperimento, gioco, filosofia. Samuel Beckett, durante una conferenza nel 1969:  > “Cosa importa chi parla?”  La voce, non il volto, è ciò che conta. L’opera deve bastare a se stessa. Lo stesso Foucault, citandolo, immaginava una cultura “in cui i discorsi circolerebbero nell’anonimato del mormorio”, come se la letteratura potesse finalmente liberarsi dal peso dell’identità. A questa dissoluzione partecipano anche gli autori che scelgono di moltiplicarsi: Italo Calvino, ad esempio, gioca con la maschera dell’autore, con l’idea di un io che si disgrega e si ricompone nella pagina, fino a farsi pura voce narrativa. Ancora più radicale è stato il portoghese Fernando Pessoa, che ha fatto della scissione il proprio metodo creativo:Ricardo Reis, Álvaro de Campos, Bernardo Soares, Alberto Caeiro – quattro volti, tra le miriadi, per un solo silenzio. L’anonimato moderno, dunque, non nega il sé, lo moltiplica. È un paradosso produttivo, una dissimulazione che genera nuove voci, nuovi corpi testuali. Barthes, nella sua celebre formula, ne sancisce la fine apparente – la morte dell’autore – ma in realtà ne proclama la trasfigurazione. L’autore che si dissolve nel testo, nel lettore, nel linguaggio stesso. E cosa resta oggi di quel gesto antico, nell’epoca dei profili e degli algoritmi? Nel mondo digitale, l’anonimato non è più un atto di modestia né di difesa, bensì un campo di tensione. Da un lato, è la maschera libertaria dell’individuo che sfugge al controllo, dall’altro, è lo strumento della dissimulazione, del falso, del moltiplicarsi dei sé. L’anonimato come simulacro. Ogni commento senza firma, ogni voce che si dissolve nella rete, ripete in forma tecnologica l’antico gesto del monaco o del filosofo. Ma oggi la sottrazione non coincide più con la purezza. Si tratta di un rumore di fondo, un eccesso di presenza spacciato per assenza. Eppure, anche qui, in questo nuovo paesaggio, sopravvive il nucleo originario del gesto anonimo, la sua nostalgia di non appartenere a nessuno.  > “I miei libri, la mia opera […] Il lato grottesco di questi possessivi. Tutto > si è guastato da quando la letteratura ha smesso di essere anonima. La > decadenza risale al primo autore.”  > > Emil Cioran, Confessioni e anatemi, 1987 Forse solo chi tace il proprio nome può ancora pronunciare parole vere. Forse ogni opera, anche la più firmata, tende segretamente all’anonimato, a quel punto in cui il linguaggio non ha più bisogno di padrone. Scrivere senza nome significa non dover più difendere nulla, né un’identità, né una carriera, né una vanità. È l’esperimento più radicale di sincerità; in fondo, non si puo’ morire se non si ha un corpo da seppellire. Tommaso Filippucci *In copertina: gli “sfregi” di Nicola Samorì L'articolo Sfigurare il nome. Solo chi è nessuno può dire la verità: discorso sull’immortalità dell’anonimato  proviene da Pangea.
October 15, 2025 / Pangea
Ue a Meta, 'la moderazione dei contenuti non è censura'
Parigi chiede a Bruxelles di agire contro le ingerenze di Musk Prima Elon Musk, poi Mark Zuckerberg. Quasi una manovra a tenaglia. Il primo destabilizza l'Europa prendendo di mira capi di Stato e di governo nei suoi post e spinge i movimenti di estrema destra, il secondo - sull'onda di una conversione tardiva al trumpismo - si scaglia contro l'eccessiva regolamentazione dell'Unione Europea ed evoca persino la censura. Link all'articolo originale qui
January 9, 2025 / Pillole di Graffio
Bbc, Facebook ha limitato le notizie da Gaza dall'ottobre 2023
Come riporta l'Ansa, Facebook ha fortemente limitato la capacità delle agenzie di stampa palestinesi di raggiungere il pubblico durante la guerra tra Israele e Gaza. In un'analisi completa dei dati di Facebook, Bbc ha scoperto che le redazioni nei territori palestinesi (a Gaza e in Cisgiordania) hanno subito un forte calo del coinvolgimento del pubblico dall'ottobre 2023. Nel corso dell'ultimo anno, i giornalisti palestinesi hanno espresso il timore che i loro contenuti online siano stati sottoposti allo shadow ban da parte di Meta, ovvero che il numero di persone che li visualizzano sia stato limitato. Meta è stata già in passato accusata dai palestinesi e dai gruppi per i diritti umani di non aver moderato equamente l'attività online. Un rapporto indipendente del 2021 commissionato dall'azienda ha affermato che ciò non era intenzionale, ma dovuto alla mancanza di competenze di lingua araba tra i moderatori. Parole e frasi venivano interpretate come offensive o violente, quando in realtà erano innocue. Rispondendo alla ricerca della BBC, Meta ha ammesso di aver adottato "misure temporanee sui prodotti e sulle politiche" nell'ottobre 2023, per affrontare una sfida nel bilanciare il diritto alla libertà di parola con il fatto che Hamas era sanzionato dagli Stati Uniti e allo stesso tempo considerato un'organizzazione pericolosa dalle politiche dello stesso Meta. Qui la notizia completa sul sito della BBC.
December 19, 2024 / Pillole di Graffio
Le dita nella presa - Big Tech con l'elmetto
Puntata di domenica 8 dicembre. La prima parte della puntata è dedicata alle variegate malefatte dei soliti noti: Google e Meta. Prima parliamo della situazione di Google con l'antitrust, che vede avvicinarsi il verdetto anche per quanto riguarda il settore pubblicità. Avevamo già parlato della questione del motore di ricerca, ma questa è un'altra storia. Passiamo poi ai legami tra grandi aziende e militarismo: * Google continua a negare i suoi rapporti con l'apparato militare israeliano, ma i dati sono sempre più chiari * Meta si lancia apertamente nelle applicazioni militari dell'intelligenza artificiale generativa * Hannah Byrne ha lavorato per anni nel gruppo "antiterrorismo e organizzazioni pericolose", si è licenziata nel 2023, e racconta alcuni dei motivi per cui crede che la selezione dei contenuti fatta da Meta sia sbagliata fin dalla radice Chiudiamo infine rimandando un audio andato in onda recentemente su Data Center, consumo di energia e di acqua. Ascolta l'audio sul sito di Radio Onda Rossa
December 9, 2024 / Pillole di Graffio
Come funziona la censura di Meta sulla Palestina
Un breve documentario di Al Jazeera. Meta ha un problema con la Palestina. Se usate Facebook o Instagram, probabilmente avete visto voi stessi la censura. Dena Takruri scopre una cultura interna di censura, intimidazione e paura all'interno di Meta, la società madre di Instagram e Facebook. Parla con i dipendenti di Meta che hanno cercato di risolvere il problema o di far sentire la propria voce e che hanno detto di essere stati messi a tacere o addirittura licenziati. L'autrice indaga anche sui profondi legami dei leader di Meta con Israele, che potrebbero spiegare perché Meta sopprime e censura i contenuti palestinesi per miliardi di utenti in tutto il mondo.
October 16, 2024 / Pillole di Graffio
La frontiera politica dello smartphone
L’infrastruttura grazie alla quale miliardi di persone comunicano realizza i due sogni del potere: sapere chi parla con chi e influenzare le conversazioni L’arresto in Francia del fondatore di Telegram sta provocando forti reazioni, anche a livello politico. Come però già in casi precedenti, basti pensare alle controversie relative a Facebook o a TikTok, le polemiche contingenti rischiano di oscurare le questioni strutturali di fondo. Si tende a dimenticare, infatti, che le tecnologie della comunicazione sono sempre state cruciali strumenti di potere e quindi sono sempre state – e oggi, più che mai, sono – tecnologie intrinsecamente politiche. Chi comunica con chi, quando, con quale frequenza, di che cosa e in quali circostanze sono informazioni che il potere – nelle sue varie forme e articolazioni, sia pubbliche, sia private – ha sempre desiderato possedere. Inoltre, il potere ha sempre desiderato controllare il più possibile il flusso di informazioni che in qualche modo potevano influenzarne l’azione o intaccarne la legittimità. Due pulsioni, quella di tutto conoscere e quella di tutto controllare, rese entrambe ancora più intense in periodi di guerra o, comunque, di tensioni politico-sociali. Leggi l'articolo di De Martin su "Il Manifesto"
August 27, 2024 / Pillole di Graffio
Telegram, l’arresto di Durov non ha senso in Europa: ecco perché
La Francia ha arrestato Pavel Durov, fondatore di Telegram, ma allo stato delle norme e della giurisprudenza sembra impossibile che in Europa il gestore di un servizio digitale globale possa essere considerato concorrente in possibili reati compiuti dagli utenti della piattaforma, al punto di subire un ordine di custodia cautelare per il fondatore. In che misura il gestore di un servizio di messaggistica istantanea può essere considerato concorrente in possibili reati compiuti dagli utenti della piattaforma, al punto di subire un ordine di custodia cautelare per il fondatore? Attenzione che la responsabilità penale è personale, e per poter concorrere in un reato occorre la coscienza e volontà di commettere un reato, anche se sotto forma di una condotta agevolativa, non basta ipotizzare che attraverso il servizio di messaggistica che ha milioni di utenti, possano essere compiuti degli illeciti dai singoli utenti. leggi l'articolo
August 26, 2024 / Pillole di Graffio
IrpiMedia sotto attacco: essere pesci piccoli nel web senza regole
Per indebolire un giornale online basta renderlo invisibile. Il DDoS è uno strumento economico per raggiungere l’obiettivo. Per difendersi servono reti di relazioni e peso specifico. E qui sta parte del problema Per quasi due settimane, dal 5 al 18 luglio, IrpiMedia non è stata raggiungibile ai suoi lettori a causa di un attacco informatico. In gergo si parla di DDoS, distributed denial of service, ovvero di quella tecnica che prevede l’impiego di una complessa rete composta da migliaia di computer o server, impegnati a collegarsi contemporaneamente a un unico sito Internet in modo da mandarlo in crash e renderlo inaccessibile a chiunque. È quanto accaduto proprio a noi, che siamo stati bersaglio di una quantità sproporzionata di connessioni per settimane, arrivata a picchi di 26 milioni di tentativi di accesso in 24 ore, rispetto alle decine di migliaia alle quali siamo abituati. In parole povere, qualcuno ha deciso di spendere tempo e soldi per impedirci di restare online e, conseguentemente, per impedire a voi di leggerci. Leggi la storia completa
August 1, 2024 / Pillole di Graffio
Censura al posto della moderazione: «Meta limita i contenuti politici»
Stati uniti. Su Instagram, Threads, e presto su Facebook gli utenti non vedranno più i post "problematici" per la piattaforma In un post pubblicato sul proprio blog all’inizio di febbraio, Meta, la compagnia di Facebook e Instagram, aveva annunciato l’intenzione di rimuovere i contenuti politici dalle raccomandazioni che arrivano quando si usano Instagram e Threads. All’epoca, la società spiegò questa decisione affermando di non volersi intromettere tra gli utenti e i post che vedono, ma di non volere «nemmeno consigliare contenuti politici da account che non segui». Di questa mossa non si è più parlato fino a due giorni fa, ora, con le elezioni che si avvicinano e la campagna elettorale che entra sempre più nel vivo. Senza nemmeno avvisare gli utenti della modifica, questa funzionalità è stata ufficialmente implementata, per cui se già si sta seguendo l’account di qualcuno si vedono i suoi contenuti normalmente, ma se non si è un follower di quell’account non si vedranno più i suoi contenuti che contengano riferimenti “politici”. Leggi l'articolo
March 28, 2024 / Pillole di Graffio