È un sabato pomeriggio d’aprile. Parigi pare celebrare l’arrivo della primavera.
La musica della vita invade le strade, la gente affolla i locali della Rive
Gauche, forse nascono nuovi amori. In me risuonano le parole di Olga Ivinskaja,
la donna che ha condiviso gli ultimi quattordici anni della vita di Boris
Pasternak:
> “E dirò a me stessa sospirando
> nell’impietosa luce del giorno:
> sì, sarò stata malvagia, e peccatrice,
> ma pur con tutto questo m’hai amata.”
Tengo strette le sue memorie, Prigioniero del tempo. La mia vita con Pasternak,
mentre mi appresto ad incontrare Irina Emelianova, sua figlia.
Mi accoglie sulla soglia di casa, con limpidi e sereni occhi azzurri. Vedere
quello sguardo terso, che ha incrociato quello di Pasternak, Ariadna Efron,
Varlam Šalamov… mi commuove nel profondo. Mi toglie il fiato. Ma la sua
gentilezza, il sorriso aperto, mi fanno subito sentire “a casa”, come se ci
conoscessimo da sempre. Respiro familiarità, quello stesso calore che emerge dal
suo libro Légendes de la rue Potapov, il leggendario appartamento a venti minuti
dal centro di Mosca, dove l’amore, la gioia e la poesia hanno convissuto con le
tragedie, le perquisizioni, gli arresti, le separazioni.
Mentre osservo le fotografie che campeggiano nel suo salotto, mi trovo a pensare
che se il verbo ha un potere, è proprio quello di far risorgere la “vera vita”.
Nel momento in cui Boris Pasternak muore, nel 1960, il suo romanzo, Il dottor
Zivago, conosce un destino eccezionale, un successo planetario. Sappiamo che
Olga Ivinskaja ha ispirato il personaggio di Lara e Irina quello della piccola
Katia. Ecco: ora, davanti a me, c’è Katia, il riflesso di Lara, non più due
eroine, simboli romantici, ma due donne vive, in carne ed ossa, che hanno
suggerito a Pasternak la concezione di un’esistenza e di un amore fuori dal
comune.
Sul treno che da Torino mi ha condotto a Parigi ho riletto per l’ennesima volta
il capitolo finale di Zivago, quello in cui Lara ripercorre la sua storia con
Jurij, di fronte alla sua salma, avanti all’inesorabilità della morte. In quelle
pagine, Zivago-Pasternak pare anticipare la sua fine, come per donare a
Lara-Olga gli strumenti per affrontarla, il diritto di piangere per lui da sola,
nella certezza d’un amore unico, fondato sulla più intima conoscenza reciproca,
qualcosa “che non veniva dal ragionamento, ardente, mutua. Istintiva, diretta”.
Come mi suonano vere, oggi, quelle parole… Irina mi mostra le foto di famiglia e
il verbo si fa carne. “Oh, che amore era stato il loro, libero, inaudito,
diverso da ogni cosa al mondo! Pensavano, come altri cantavano. Si sono amati
non perché fosse ineluttabile, non perché ‘travolti dalla passione’, come si
dice, falsando i fatti. Si sono amati perché così voleva tutto ciò che li
circondava: la terra sotto di loro, il cielo sopra alle loro teste, le nuvole e
gli alberi… Mai, mai, nemmeno nei momenti della felicità più gratuita, immemore,
li aveva abbandonati qualcosa di più elevato e appassionante: il godimento al
cospetto della generale armonia del mondo, il sentimento della loro appartenenza
a tutto ciò, la sensazione di essere parte della bellezza di tutto quello
spettacolo, di tutto l’universo. Da loro emanava questa comunione”.
È una comunione cristiana quella che emerge da Zivago e Pasternak la sperimenta
in prima persona con Olga Ivinskaja.
Mentre il poeta ci osserva dall’alto della libreria, Irina mi racconta le loro
tribolazioni: il primo arresto della madre, nel 1949, cui seguirono quattro anni
di reclusione nei gulag. Lei ha undici anni. Boris la “adotta” e le permette di
sopravvivere alla più grande miseria. In quegli stessi anni lo scrittore è in
corrispondenza con Ariadna Efron, la figlia di Marina Cvetaeva, al confino
aTuruchansk, nel nord della Siberia. È grazie al suo sostegno morale e
finanziario se Ariadna sopravvive a condizioni esistenziali estreme. Irina e
Ariadna divengono così le “figlie adottive” del poeta, figlie della sua anima,
in un autentico “arcipelago di cuori” che li legherà fino alla fine.
Tutto questo passa attraverso le parole di Zivago, una lezione di vita,
un’autentica “attrezzatura spirituale” che affonda le sue radici nel Vangelo,
nell’amore per il prossimo
> “questa forma suprema dell’energia vivente, che riempie il cuore dell’uomo ed
> esige di espandersi e di essere spesa”.
Queste le parole chiave che mi trovo a condividere con Irina, testimone vivente
di quell’amore straordinario
> “l’apice di una reciproca
> compatibilità di intenti
> che non ammette gradazioni
> e in cui nessuno sta sopra o sotto,
> è un’equivalenza di intenzioni
> dell’essere pieno nella sua interezza”.
Ripercorriamo assieme le Tre variazioni sull’amore, là ove Pasternak ne canta la
“selvaggia tenerezza”. Su tutto, prevale l’ottica di un “amore superiore” che si
stacca dalla terra per elevarsi verso il cielo. Dall’abbandono negli abbracci,
la sensualità dei corpi si fa “anima e dolcezza”, veicolo di elevazione:
> “ognuno degli istanti,
> in cui ci viene addosso come un alito
> d’eternità il fremito della passione,
> è un momento di rivelazione,
> di un approfondimento
> di noi stessi e della vita”.
Versi da incidere nel cuore, cui aggrapparsi come a un deltaplano. Rileggendoli,
ho sempre pensato: questo è “l’amore come dovrebbe essere” e ora ne sono
pienamente consapevole.
Grazie ad Irina Emelianova vivo un momento di autentica rivelazione. La
letteratura si fa vita. E quello che emerge è il quadro – umanissimo – di un
amore vissuto come “empatia, indulgenza, comprensione, compassione”, così me ne
parla Irina. Pasternak era lacerato tra l’amore per Olga e il matrimonio con
Zinaida Neuhaus, ma “mia madre lo rassicurava…”, mi racconta, “era felice con
lui, non gli ha chiesto di lasciare la sua famiglia… perché complicargli la
vita? Con la sua età e tutto il resto?”. Ecco un sorprendente sustine et
abstine, pronunciato con un tale equilibrio di forze da commuovermi.
“Mia madre ed io”, continua Irina, “abbiamo vissuto un secondo arresto due mesi
dopo la morte di Pasternak. Il potere, l’incarnazione del male, si è vendicato
sull’anima del poeta per questa ‘passione illegale’. Questo è stato il prezzo
che mia madre ha dovuto pagare, scontando nove anni in prigione. Il 30 maggio di
quest’anno avremo il nostro ‘giubileo’, a 65 anni dalla morte di Pasternak e dal
nostro arresto.”
Mi affretto a trascrivere queste parole sul taccuino: Irina le pronuncia in
francese e le ripete in russo. In questa comprensione-compassione, in questo
prezzo da pagare (per vivere e amare), c’è tutto Il dottor Zivago. Zivago, Lara
e Katia… ma soprattutto: Pasternak, Olga e Irina. Cuori pulsanti, sanguinanti,
attraverso cui passa la vita. Quella vera: la testimonianza di una grande luce
sulle persone che ne sono state irradiate, a cui essere grati, nel riflesso di
una lezione universale.
Marilena Garis
*In copertina: Boris Pasternak insieme a Olga e alla figlia, Irina
L'articolo Un arcipelago di cuori. Incontro con Irina Emelianova, la figlia
“adottata” da Pasternak proviene da Pangea.