Con lo sviluppo dell’intelligenza artificiale i data center consumano sempre più
acqua, lasciando a secco intere comunità
Una famiglia che abita nella contea di Newton, a un’ora e mezza in macchina da
Atlanta, da diversi anni ha problemi con l’acqua. Racconta infatti il New York
Times che dal 2018 la lavastoviglie, la macchina del ghiaccio, la lavatrice e il
gabinetto hanno smesso uno per uno di funzionare. Poi, nel giro di un anno, la
pressione dell’acqua si è ridotta a un rivolo. Finché dai rubinetti del bagno e
della cucina non usciva più acqua. Nulla. Ma il problema, ovviamente, non
riguarda solo questa famiglia.
[...]
Tutto questo perché? Perché dal 2018, appunto, è cominciata la costruzione del
nuovo data center di Meta. I data center sono immensi centri di elaborazione
dati che in breve tempo sono diventati la spina dorsale della nostra economia.
Sono l’infrastruttura critica che alimenta l’archiviazione cloud, i servizi di
emergenza, i sistemi bancari, le comunicazioni e la logistica. Ma sono i data
center sono strutture gigantesche che consumano quantità immense di energia,
suolo e acqua. Con il rapido sviluppo dell’intelligenza artificiale, questi
consumi sono destinati a crescere a ritmo esponenziale.
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Tag - Intelligenza Artificiale
Il caso di Jason Lemkin, dirigente d’impresa e investitore, che si è lasciato
ammaliare dalle promesse dell’azienda di IA Replit, rischiando di perdere
l’intero database di produzione: il cuore pulsante della sua attività
professionale.
A partire dal 12 luglio, il co-fondatore di Adobe EchoSign e SaaStr ha
documentato via blog la sua esperienza personale con il vibe coding. Il primo
approccio è stato idilliaco: adoperando un linguaggio naturale, il manager è
riuscito “in una manciata di ore a costruire un prototipo che era molto, molto
fico”. Un inizio estremamente promettente, soprattutto considerando che Replit
si propone alle aziende come una soluzione accessibile anche a chi ha “zero
competenze nella programmazione”, promettendo di far risparmiare alle aziende
centinaia di migliaia di dollari. Leggendo tra le righe, la promessa implicita è
chiara: sostituire i tecnici formati con personale più economico, supportato
dall’IA.
La premessa, tuttavia, è stata presto messa alla prova. “Dopo tre giorni e mezzo
dall’inizio del mio nuovo progetto, ho controllato i costi su Replit: 607,70
dollari aggiuntivi oltre al piano d’abbonamento da 25 dollari al mese. Altri 200
dollari solo ieri”, ha rivelato Lemkin. “A questo ritmo, è probabile che
spenderò 8.000 dollari al mese. E sapete una cosa? Neanche mi dispiace”. Anche
perché, a detta del manager, sperimentare con il vibe coding è una “pura scarica
di dopamina”, e Replit è “l’app più assuefacente” che abbia mai usato.
Dopo poco, il manager si è reso conto che...
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Riporto un testo di Alberto Messina apparso su Linkedin.
E' da tempo che rimescolo nella testa un’analogia un po’ strana, ma che continua
a sembrarmi feconda - oggi voglio condividerla per divertirmi con voi in qualche
discussione:
Il testo generato da un LLM sta al linguaggio umano come i numeri razionali
stanno ai numeri reali.
A prima vista può sembrare poetica o azzardata, a seconda vista una
supercazzola, ma esprime un punto per me importante. I numeri razionali sono
densi: tra due numeri reali qualsiasi, ce n’è sempre uno razionale. Computabili,
regolari, enumerabili, possiamo generarli con regole fisse. I numeri reali,
invece, includono gli irrazionali: incomprimibili, non numerabili, e molti di
essi non possono essere calcolati da alcun algoritmo in maniera compiuta in un
tempo finito.
Ora pensiamo ai LLM.
Essi generano testo prevedendo statisticamente il prossimo token, sulla base di
grandi quantità di dati. Il risultato è fluente e denso nello spazio delle frasi
plausibili. Ma, come i razionali, questa fluidità è vincolata: nasce da
operazioni computabili, all’interno di un set finito di token. Non possono
autonomamente inventare nuovi token, né deviare radicalmente dal sistema che li
genera. Il linguaggio umano, invece, è un continuo creativo e aperto. Esso è
situato in corpi, culture, storie, è affettivo, ambiguo, non deterministico. E'
espandibile: possiamo coniare parole, sovvertire grammatiche, rompere
aspettative. E' onomatopeico e sonoro: possiamo dire “zot!”, “sgnac”, “brummm”,
“fiuuu”, senza regole o significati condivisi, ma certi che qualcuno capirà.
Infine, è spesso non computabile non perché sia casuale, ma perché è immerso in
una realtà vissuta e storicamente aperta.
Una differenza profonda emerge anche dall'analogia con un principio dell’analisi
matematica: l’assioma degli intervalli incapsulati: in ℝ una sequenza di
intervalli "sempre più stretti" converge a un punto esatto (si perdoni la
sintesi).
Nel linguaggio umano, possiamo raffinare indefinitamente ciò che vogliamo dire,
e arriviamo proprio al significato, a quel concetto vissuto e condiviso con gli
altri.
In un LLM, al contrario, anche con prompt sempre più precisi, si resta sempre
intorno, in una serie di approssimazioni che non contengono mai davvero il
punto. A me capita spesso di interagire son un chatbot per qualche minuto e poi
di uscire dall'interazione per completare, per dare la pennellata essenziale al
concetto.
Come le approssimazioni razionali di π, il testo di un LLM può avvicinarsi molto
a quello umano. Ma c’è sempre un residuo, qualcosa che manca: la trama stessa
del significato, dell’intenzione, della possibilità inventiva, del puro gioco
fonico.
Questo non è un rifiuto dei LLM le loro capacità sono straordinarie. E' un
promemoria: la fluidità sintattica non equivale alla profondità semantica. E
l’approssimazione statistica non è comunicazione vissuta.
Non scambiamo uno spazio denso per un continuum reale.
Restiamo curiosi su ciò che questi modelli possono fare ma anche lucidi su ciò
che non possono.
Il testo originale è su Linkedin
Lezioni di Cassandra/ L'alter ego di Cassandra ha fatto una chiacchierata
eretica sulle false IA in un paio di eventi pubblici, apparentemente con una
certa soddisfazione dei presenti; perché allora non trasformare gli appunti in
una esternazione vera e propria, salvandoli dall'oblio digitale?
Se oggi siamo in questa situazione è tutta colpa di Joseph Weizenbaum, noto
eretico dell'informatica. Anzi, è colpa di Joseph Weizenbaum e della sua
segretaria. Ma andiamo con ordine.
Nell'ambito dell'intelligenza artificiale, una delle pietre miliari più
conosciute è stato ELIZA, un programma informatico sviluppato appunto da
Weizenbaum nel 1966, che ha rivoluzionato la nostra comprensione delle
interazioni tra l'uomo e la macchina. Eliza, sebbene rudimentale rispetto agli
standard odierni, ha gettato le basi per molte delle tecnologie di chatbot e
assistenti virtuali che utilizziamo oggi.
[...]
In 70 anni di storia dell'IA sono stati sviluppati i motori di inferenza, le
reti neurali, le tecniche di apprendimento profondo: tutte cose che nei loro
ambiti funzionano benissimo. Se non li avete mai sentiti nominare, ricorderete
certo le notizie che l'IA referta le TAC meglio di un radiologo e che ha battuto
i campioni mondiali di scacchi e Go (dama cinese). Tre anni fa una tecnologia
già nota da tempo, gli LLM (Large Language Models — Grandi modelli di
Linguaggio) ha cominciato a funzionare. Perché? Per semplici motivi di scala,
cioè l'utilizzo di server più potenti per eseguirli e di più informazioni con
cui allenarli.
La speculazione finanziaria delle dotcom in cerca di nuove opportunità di far
soldi ci si è buttata a pesce. Improvvisamente ChatGPT e i suoi fratelli sono
diventati disponibili a chiunque gratuitamente: hanno cominciato ad affascinare
tutti esattamente come Eliza aveva fatto con la segretaria di Weizenbaum. Ma,
come Eliza, un LLM non sa niente, non comprende niente, non può rispondere a
nessuna domanda e nemmeno rispondere sempre nello stesso modo.
Leggi l'articolo su ZEUS News
Una segnalazione di lettura della Stultiferanavis: un paper pubblicato con
accesso libero su Arxiv.org dal titolo Your Brain on ChatGPT: Accumulation of
Cognitive Debt when Using an AI Assistant for Essay Writing Task
In modo disomogeneo e non così diffuso come molti raccontano, un numero
crescente di persone e di aziende fa ricorso ogni giorno a strumenti di IA
generative e ai modelli LLM. Interrogarsi su benefici ed effetti di questi
comportamenti può risultare utile, forse anche interessante.
E’ ciò che ha fatto un gruppo di ricercatori con lo studio “Your Brain on
ChatGPT: Accumulation of Cognitive Debt when Using an AI Assistant for Essay
Writing Task”, pubblicato su Arxiv.org.
Lo studio si è concentrato sull’individuazione del costo cognitivo derivante
dall’utilizzo di un LLM on un contesto particolare, quello legato alla scrittura
di un saggio.
Leggi l'articolo di Carlo Mazzucchelli
Se siete fra gli utenti delle app di Meta, come Facebook, Instagram o WhatsApp,
fate attenzione alle domande che rivolgete a Meta AI, l’assistente basato
sull’intelligenza artificiale integrato da qualche tempo in queste app e
simboleggiato dall’onnipresente cerchietto blu. Moltissimi utenti, infatti, non
si rendono conto che le richieste fatte a Meta AI non sempre sono private. Anzi,
può capitare che vengano addirittura pubblicate online e rese leggibili a
chiunque. Come quella che avete appena sentito.
E sta capitando a molti. Tanta gente sta usando quest’intelligenza artificiale
di Meta per chiedere cose estremamente personali e le sta affidando indirizzi,
situazioni mediche, atti legali e altro ancora, senza rendersi conto che sta
pubblicando tutto quanto, con conseguenze disastrose per la privacy e la
protezione dei dati personali: non solo i propri, ma anche quelli degli altri.
Questa è la storia di Meta AI, di come mai i dati personali degli utenti
finiscono per essere pubblicati da quest’app e di come evitare che tutto questo
accada.
Benvenuti alla puntata del 16 giugno 2025 del Disinformatico, il podcast della
Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane
dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo.
Ascolta il podcast o leggi la trascrizione della puntata
L’esperta di tecnologia ha pubblicato un libro - Empire of AI | Inside the
reckless race for total domination - che descrive un nuovo imperialismo in cui
poche aziende tech si arricchiscono sfruttando dati comuni e risorse naturali
“L’intelligenza artificiale è come un impero dove il potere è accentrato nelle
mani di pochi che si arricchiscono sfruttando le risorse delle comunità più
vulnerabili. Il rischio più grande di permettere a questi imperi di IA di
continuare ad operare è una completa perdita di potere di autodeterminazione del
nostro futuro. In quel mondo la democrazia non può sopravvivere”. Karen Hao è
un’esperta di tecnologia (ex direttrice della rivista MIT Tech Review e
corrispondente tech da Hong Kong per il Wall Street Journal) ed è arrivata a
questa conclusione dopo essere stata embedded per tre giorni dentro OpenAI e
aver condotto 300 interviste a personaggi che gravitano attorno al suo fondatore
Sam Altman, oltre ad ex dirigenti ed impiegati di Meta, Microsoft, Google,
DeepMind e Anthropic. Gli imperatori.
* UNA NUOVA ERA COLONIALE
* INTELLIGENZA INSOSTENIBILE
* CERVELLI AI-DIPENDENTI
* LA SOLUZIONE?
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Apple pubblica uno studio che smaschera i limiti dell’intelligenza artificiale:
i modelli di AI non “pensano”, ma collassano di fronte a problemi complessi. La
corsa verso la vera AGI sembra più lontana che mai.
Negli ultimi giorni, Apple ha scosso il mondo della tecnologia con la
pubblicazione di un whitepaper che mette in discussione le fondamenta stesse
dell’intelligenza artificiale moderna. Il documento, dal titolo provocatorio
“The Illusion of Thinking: Understanding the Strengths and Limitations of
Reasoning Models via the Lens of Problem Complexity” ossia ''L’illusione del
pensiero: comprendere i punti di forza e i limiti dei modelli di ragionamento
attraverso la lente della complessità dei problemi'', rappresenta una vera e
propria bomba sganciata sul settore AI. Dietro la facciata: l’AI non ragiona,
imita
Il cuore della ricerca è semplice ma devastante: i Large Language Model (LLM),
quei sistemi che oggi chiamiamo “AI” e che aziende come OpenAI, Google e Meta
sbandierano come capaci di “pensare”, in realtà non ragionano affatto. Sono
semplicemente eccezionali nel riconoscere pattern e riprodurre risposte
plausibili, ma quando si tratta di affrontare problemi complessi, la loro
presunta intelligenza si sbriciola.
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Puntata 25 di EM, settima del ciclo Estrattivismo dei dati, parliamo di
Intelligenza Artificiale e lavoro.
Nella prima parte, la trasmissione affronta il tema dell’intelligenza
artificiale dal punto di vista del lavoro nascosto che ne rende possibile il
funzionamento. Ospite Antonio Casilli, che racconta come dietro ogni algoritmo,
chatbot o app ci sia una vasta rete di lavoratori spesso invisibili e
sottopagati, impegnati in attività di addestramento e moderazione dei sistemi di
IA. La discussione esplora il legame tra sfruttamento digitale e automazione,
mostrando come il lavoro umano venga semplicemente spostato e reso meno
visibile, ma non eliminato.
Nella seconda parte, si approfondisce il concetto di "lavoro invisibilizzato"
nell’era delle piattaforme e dell’intelligenza artificiale. Casilli descrive
come molti lavoratori digitali, anche in Europa, restino fuori dal campo visivo
pubblico, spesso vincolati da contratti di riservatezza e condizioni precarie.
Nella terza parte, il focus si sposta sulle possibili prospettive politiche e
sindacali: si parla di nuove forme di organizzazione e tutela dei lavoratori
digitali, dalle iniziative sindacali dal basso alle azioni legali collettive,
fino all’ipotesi di cooperative di intelligenza artificiale.
Ascolta l'audio nel sito di Radio Onda Rossa
Builder.AI è una startup londinese nata nel 2016 con la promessa di offrire un
assistente AI in grado di sviluppare app e software in pochi secondi e in modo
quasi completamente automatizzato. Oggi è in bancarotta per aver gonfiato i
bilanci, oltre a essere stata accusata di sfruttare il lavoro umano molto più di
quanto abbia mai ammesso.
Le bugie hanno le gambe corte, anche quando sei una startup quotata 1,5 miliardi
di dollari. In questi giorni ha fatto il giro del mondo la notizia del
fallimento di Builder.AI, un'azienda tech con base a Londra, che dopo aver
ricevuto per anni milioni di investimenti, anche da colossi come Microsoft, ha
dovuto fare i conti con la verità.
Builder.AI è stata fondata nel 2016 come una startup innovativa nel settore
dell'intelligenza artificiale. Il suo fiore all'occhiello era "Natasha", un
assistente AI in grado di sviluppare software e app in modo del tutto
automatizzato. O almeno, questo era quello che prometteva.
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