Dopo un lungo periodo di graduale apertura, Threads – il social network rivale
di X e sviluppato da Meta – ha annunciato nel mese di giugno la sua completa
integrazione con il fediverso (che sta per universo federato): l’ecosistema
social decentralizzato il cui esponente più noto è Mastodon. In sintesi, tutte
le piattaforme che fanno parte del fediverso sfruttano lo stesso protocollo e
possono quindi comunicare l’una con l’altra. Di conseguenza, ogni utente che lo
desidera potrà vedere all’interno di Threads, anche se in un feed diverso e con
qualche altra limitazione, i post pubblicati dagli utenti del fediverso che si è
scelto di seguire. E viceversa: gli utenti di Mastodon che lo desiderano – e
sempre che la loro istanza lo consenta – potranno integrare i post pubblicati su
Threads.
[...]
Da una parte, la speranza è che la massiccia infrastruttura di Threads possa far
crescere la base utenti delle altre piattaforme del fediverso, incrementandone
la visibilità; dall’altra, il timore – espresso anche da parecchi utenti – è che
un colosso come Meta possa introdurre le logiche del “capitalismo della
sorveglianza” in un mondo piccolo, fragile e che soprattutto a queste si è
sempre fieramente contrapposto. È anche per questa ragione che molti utenti di
Mastodon si oppongono all’integrazione di Threads e hanno espresso la loro
intenzione di “defederare” Threads, impedendogli cioè di comunicare con le
istanze di Mastodon che gestiscono.
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Tag - Meta
Preoccupazioni per la privacy.
L'ultimo aggiornamento di WhatsApp è pensato per mettere la IA al servizio di
chi si trova spesso sommerso dalle notifiche e riesce ad accumulare decine o
magari centinaia di messaggi non letti, tra i quali poi deve destreggiarsi. Con
la nuova funzione Message Summaries, già attiva negli Stati Uniti, WhatsApp
genera infatti riassunti automatici dei messaggi non letti, sfruttando la IA di
Meta.
Il cuore della tecnologia è il Private Processing, un'infrastruttura che,
secondo Meta, assicura che né Meta stessa né WhatsApp possano accedere ai
contenuti delle conversazioni. I dati vengono elaborati in un ambiente protetto,
al quale le richieste di elaborazione vengono inviate in modo anonimo e protette
crittografia end-to-end.
La questione della riservatezza per WhatsApp è particolarmente delicata: Meta ha
una storia complessa in termini di privacy.
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I costi energetici di migliaia di server che effettuano miliardi di calcoli al
secondo e i rischi per i cittadini
Bollette più alte e nuove centrali a gas per soddisfare la fame d’energia di
Meta, il colosso tech di Mark Zuckerberg. La multinazionale sta costruendo un
gigantesco data center in Louisiana, nelle campagne di Holly Ridge (una vasta
area rurale nel nord-est dello stato). Sono infrastrutture strategiche per Big
Tech: i data center contengono migliaia di server che, a loro volta, effettuano
miliardi di calcoli al secondo, lavorando senza sosta. È il “cervello”
dell’intelligenza artificiale, che se ne serve per eseguire i compiti che gli
vengono commissionati o, più banalmente, per fornirci le risposte richieste. Ma
proprio perché i computer lavorano ininterrottamente in condizioni normali si
surriscalderebbero; dunque, per evitare guasti tecnici, vanno raffreddati
artificialmente (ad esempio, tramite aria condizionata industriale ad alta
potenza). Bisogna poi alimentare la potenza di calcolo e sostenere i costi
energetici relativi ai sistemi d’illuminazione o di sicurezza
dell’infrastruttura. In definitiva, il fabbisogno complessivo di energia dei
data center è già di per sé molto elevato.
Ma Zuckerberg vuole costruire un arcipelago informatico che si estenderà su
370.000 metri quadrati (a grandi linee, un’area coperta da cinquantadue campi di
calcio regolamentari). E secondo le stime di una Ong locale, Alliance for
Affordable Energy, avrà bisogno del doppio dell’energia di cui vive New Orleans,
una città che conta quasi quattrocentomila abitanti.
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Se siete fra gli utenti delle app di Meta, come Facebook, Instagram o WhatsApp,
fate attenzione alle domande che rivolgete a Meta AI, l’assistente basato
sull’intelligenza artificiale integrato da qualche tempo in queste app e
simboleggiato dall’onnipresente cerchietto blu. Moltissimi utenti, infatti, non
si rendono conto che le richieste fatte a Meta AI non sempre sono private. Anzi,
può capitare che vengano addirittura pubblicate online e rese leggibili a
chiunque. Come quella che avete appena sentito.
E sta capitando a molti. Tanta gente sta usando quest’intelligenza artificiale
di Meta per chiedere cose estremamente personali e le sta affidando indirizzi,
situazioni mediche, atti legali e altro ancora, senza rendersi conto che sta
pubblicando tutto quanto, con conseguenze disastrose per la privacy e la
protezione dei dati personali: non solo i propri, ma anche quelli degli altri.
Questa è la storia di Meta AI, di come mai i dati personali degli utenti
finiscono per essere pubblicati da quest’app e di come evitare che tutto questo
accada.
Benvenuti alla puntata del 16 giugno 2025 del Disinformatico, il podcast della
Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane
dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo.
Ascolta il podcast o leggi la trascrizione della puntata
Meta, colosso tech fondato da Mark Zuckerberg, e Anduril, la società di
tecnologie per la difesa di Palmer Luckey (fondatore di Oculus acquisita da
Facebook), stanno collaborando su una gamma di prodotti XR integrati, progettati
specificamente per i soldati americani.
Il ceo di Anduril, Palmer Luckey, ha elogiato la partnership come una spinta
tecnologica necessaria per le forze armate. “Di tutti i settori in cui la
tecnologia a duplice uso può fare la differenza per l’America, questo è quello
che mi entusiasma di più”, ha affermato Luckey. “La mia missione è da tempo
quella di trasformare i combattenti in tecnomanti, e i prodotti che stiamo
sviluppando con Meta fanno proprio questo”.
Da parte sua Zuckerberg ha dichiarato nella nota che “Meta ha trascorso l’ultimo
decennio a sviluppare intelligenza artificiale e realtà aumentata per abilitare
la piattaforma informatica del futuro”. “Siamo orgogliosi di collaborare con
Anduril per contribuire a portare queste tecnologie ai militari americani che
proteggono i nostri interessi in patria e all’estero” ha aggiunto il numero uno
di Meta.
Non va dimenticato che solo lo scorso novembre Meta ha cambiato politica per
aprire Llama al governo degli Stati Uniti per “applicazioni di sicurezza
nazionale”. Tra gli appaltatori governativi a cui Meta stava aprendo Llama ci
sono Amazon Web Services, Lockheed Martin, Microsoft, Palantir e appunto
Anduril.
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Meta ha usato anche LibGen, un database illegale online, per allenare la sua AI,
scavalcando così il diritto d'autore e il lavoro di chi fa ricerca, che finisce
sfruttato due volte. Ma il copyright non è la soluzione.
Notizia di queste settimane è quella relativa all’utilizzo da parte di Meta di
LibGen, un archivio online di materiali, anche accademici, piratati, per aiutare
ad addestrare i suoi modelli linguistici di intelligenza artificiale generativa.
La notizia è un paradosso, soprattutto, in particolare se letta dalla
prospettiva della ricerca accademica. Chi scrive è l’opposto di un sostenitore
del copyright: è un sistema che offre pochissima autonomia e un lievissimo
sostegno ai piccoli, e dona, invece, un enorme potere ai grandi gruppi
editoriali, oltre a essere un ostacolo alla libera circolazione della conoscenza
e della cultura. [...]
La razzia spregiudicata di questi contenuti è predatoria perché omette
completamente l’esistenza di chi quei contenuti li ha creati, e non perché non
ne rispetta il copyright, ma perché avanza una pretesa di possesso su quei
contenuti come se non esista alcun livello ulteriore. È predatoria perché si
rivolge, senza alcun ragionamento culturale, alla pirateria, che è stata creata
per indebolire un sistema iniquo. Così facendo Meta crea un livello di
sfruttamento ulteriore su quei contenuti, facendosi gioco di una strategia di
resistenza, di fatto svuotandola. Il fatto che Meta si sia rivolta a un database
illegale per questa operazione dimostra due cose: che il copyright è finito e
non serve assolutamente a nulla (ma questo lo sapevamo già da molto) e, allo
stesso tempo, che non esiste limite alcuno all’azione delle aziende tecnologiche
e alle loro dinamiche estrattive. Non vi erano limiti all’estrazione di dati per
la pubblicità targetizzata, perché dovrebbero esistere per l’AI generativa?
Credere che questo contribuirà a indebolire il copyright o a finalmente mandarlo
in soffitta è una favola che può funzionare solo in qualche narrazione
determinista dove l’AI è un agente neutro, inevitabile e irrefrenabile, cui non
è possibile, né giusto, porre limiti. È una narrazione tossica e di comodo, e
molto pericolosa, ed è la stessa da decenni. La risposta non può certamente
essere il copyright, ma nemmeno la resa incondizionata a questo pensiero che
mischia linguaggio corporate a filosofia spiccia. Non abbiamo fatto e sostenuto
le battaglie per la Rete libera, il fair use, le licenze creative commons e per
la memoria di Aaron Swartz per fare finta che finire sfruttati da Meta una volta
in più sia una cosa di cui essere contenti.
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La Commissione Ue ha multato Apple per 500 milioni di euro e Meta per 200
milioni per violazioni del regolamento sui mercati digitali Dma. Si tratta di
importi relativamente modesti rispetto a multe precedentemente comminate per
simili infrazioni. Possibile che la scelta di Bruxelles di limitare l’ammontare
delle sanzioni sia anche un “segnale” all’amministrazione Trump della volontà
europea di non andare ad uno scontro su questioni commerciali. Il presidente
statunitense ha definito le normae Ue sul settore tecnologici una barriera
commerciale non tariffaria che i suoi dazi reciproci mirano a colpire.
Un’ipotesi formalmente smentita dalla Commissione. “Si tratta di applicazione
delle normative, non di commercio. Sono questioni distinte, completamente
separate. Abbiamo un regolamento e lo stiamo applicando”, ha detto la portavoce
della Commissione europea Arianna Podestà.
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È possibile impedire che l'intelligenza artificiale usi per l'addestramento ciò
che abbiamo pubblicato sui social network. Ecco come
L’annuncio è arrivato lo scorso 14 aprile: Meta comincerà ad addestrare il suo
modello di intelligenza artificiale Meta AI con i dati pubblicati dagli utenti
di Facebook e Instagram anche in Europa. La mossa dell’azienda di Mark
Zuckerberg ha immediatamente provocato un vero tsunami di reazioni
(prevedibilmente) negative e la maggiore preoccupazione degli utilizzatori dei
social network targati Meta, al momento, è quella di sapere come impedire
l’utilizzo dei loro contenuti per foraggiare l’algoritmo.
L’azienda ha annunciato la possibilità di opporsi all’uso delle informazioni
pubblicate, ma le cose non sono semplici come potrebbe sembrare.
Nell’addestramento del modello, infatti, potremmo finirci anche se ci opponiamo
all’utilizzo dei nostri dati.
Come anticipato da Wired, Meta AI verrà addestrata usando i “contenuti pubblici
condivisi da utenti adulti”. Sono esclusi, quindi, i post e i commenti
pubblicati da utenti minori di 18 anni e i messaggi privati scambiati con altri
contatti. Il riferimento ai commenti pubblici escluderebbe, almeno in teoria,
tutti i contenuti che vengono pubblicati con restrizioni di visualizzazione. Se
abbiamo cioè impostato l’account di Facebook per consentire l’accesso ai post
solo ai nostri contatti o usiamo un account Instagram privato, questi dovrebbero
essere esclusi dall’addestramento di Meta AI. Vi rientrerebbero, comunque, il
nome, l’immagine profilo e altri contenuti come i commenti a post pubblici, le
valutazioni o recensioni su Marketplace e su un account Instagram pubblico.
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Link diretto Facebook per opporsi
Link diretto Instagram per opporsi
Dopo lo stop dello scorso anno, Meta inzierà presto ad addestrare i suoi modelli
di intelligenza artificiale in Europa sulla base dei post e dei commenti
pubblici degli utenti maggiorenni. L'obiettivo è insegnare all'IA a "comprendere
e riflettere meglio culture, lingue e storie" per "consentire di supportare
meglio milioni di persone e aziende in Europa", sottolinea la società di Mark
Zuckerberg.
Si può scegliere di opporsi compilando un modulo. Con tale modulo non si
disattiverà Meta AI (in molti in queste ore vorrebbero eliminarlo da WhatsApp o
dalle chat di Instagram e Facebook, ma non sembra possibile). Semplicemente
aderendo, i propri dati non dovrebbero più confluire tra quelli usati
dall’algoritmo per apprendere e migliorarsi.
C’è però un discrimine importante, come avverte Facebook: “Potremmo comunque
trattare le informazioni che ti riguardano per sviluppare e migliorare l’IA su
Meta, anche se ti opponi o non usi i nostri Prodotti. Ad esempio, questo
potrebbe accadere se tu o le tue informazioni: apparite in un’immagine condivisa
con tutti sui nostri Prodotti da qualcuno che li usa; siete menzionati nei post
o nelle didascalie che qualcun altro condivide sui nostri Prodotti”. Una deroga
che potrebbe aprire un nuovo fronte tra Meta e le autorità europee.
Approfondimenti qui e qui
Meta inizierà ad addestrare la sua IA generativa usando contenuti pubblici
condivisi da utenti adulti in Europa. Gli utenti riceveranno notifiche non solo
per essere informati sulla novità, ma anche per esercitare il diritto di
opposizione.
Dopo lo stop dello scorso anno, Meta ha annunciato che anche in Europa inizierà
ad addestrare i suoi modelli linguistici sfruttando i contenuti pubblici
condivisi dagli utenti adulti sui social, insieme alle interazioni con Meta AI.
Una svolta che punta a rendere l'IA più vicina alle specificità culturali,
linguistiche e storiche del Vecchio Continente, ma che riaccende anche il
dibattito sulla privacy.
A partire da questa settimana, gli utenti maggiorenni dell'Unione Europea che
utilizzano piattaforme come Facebook, Instagram e WhatsApp inizieranno a
ricevere notifiche - via app ed email - per informarli su quali dati verranno
utilizzati e con quale scopo. Ogni notifica conterrà anche un link diretto a un
modulo per esercitare il diritto di opposizione: chi non desidera che i propri
dati vengano utilizzati per addestrare l'IA potrà negare il consenso.
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