Piattaforme. Sommare potere economico e potere mediatico non può che distorcere,
anche molto seriamente, il processo democratico
Per quasi un decennio i social media sono stati capri espiatori così comodi che,
se non fossero esistiti, qualcuno li avrebbe probabilmente inventati. Che cosa
c’è, infatti, di più comodo del dare la colpa a Facebook, a Twitter o a TikTok
per un voto andato storto, come per esempio quello del referendum sulla Brexit o
l’elezione di Trump nel 2016? (Quando il voto, invece, va come si desidera,
tutto in ordine sotto il cielo). Per completare l’operazione politica bastava
poi aggiungere l’interferenza straniera (tipicamente russa): chi aveva perso non
aveva comunque nulla di sostanziale da rimproverarsi, era tutta colpa dei social
media e dei mestatori stranieri. Tutto, insomma, pur di non dedicarsi al
difficile lavoro di comprendere la realtà sociale, e al pesante, ma essenziale,
esercizio dell’autocritica.
Non che i social media, i motori di ricerca, e ora anche i servizi di
«intelligenza artificiale» come ChatGPT non possano influenzare gli elettori:
certo che li influenzano, anche se in genere in maniera meno diretta di quanto
pensino alcuni (che peraltro in genere tendono a sminuire il ruolo, ancora molto
importante, dei media tradizionali).
Leggi l'articolo di Juan Carlos De Martin
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I raccapriccianti atti di terrorismo avvenuti nei giorni scorsi in Libano
attraverso cercapersone e ricetrasmittenti sono una eclatante manifestazione di
uno degli aspetti meno compresi della rivoluzione digitale.
Relativamente poche persone, infatti, hanno messo a fuoco il fatto il mondo si
sta computerizzando, processo che sta causando, oltre al resto, alterazioni
profonde nei rapporti con l’ambiente in cui viviamo, oggetti inclusi.
La prima fase della computerizzazione del mondo è stata palese perché è stata
semplicemente la fase della diffusione dei computer tradizionali, dai cosiddetti
mainframe agli attuali desktop e notebook. Negli ultimi 20-30 anni, però, la
miniaturizzazione dei componenti e il drastico calo dei costi (anche della
connessione a Internet) ha avviato una seconda fase, meno visibile e soprattutto
meno compresa, che sta portando a computerizzare un numero crescente di esseri
umani, di spazi e di cose.
leggi l'articolo di Juan Carlos De Martin
E' un testo conciso e pungente, Contro lo smartphone. Per una tecnologia più
democratica (Add editore, 2023, pp. 200), il nuovo libro di Juan Carlos De
Martin, professore ordinario al Politecnico di Torino e co-fondatore del Nexa
Center for Internet & Society. Onnipresente, lo smartphone si è imposto prima
come gadget alla moda, poi come «oggetto simbolo della nostra era», argomenta De
Martin. In poco più di centocinquanta pagine, bibliografia esclusa, l’autore
riesce a condurre il lettore in un vero giro del mondo lungo le catene di
produzione di questi «piccoli parallelepipedi» di plastica e silicio che hanno
penetrato le scuole, l’intimità casalinga o i mezzi di trasporto.
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