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“Non uccidere alcun essere vivente. Astenersi dal mentire”
Nato a Strasburgo nel luglio del 1856, Léon Wieger avrebbe dovuto percorrere la stessa carriera del padre, insigne professore di medicina all’università. I genitori lo avevano adornato di un paio di altri nomi – Georges e Frédéric –; il ragazzo, per devozione, si iscrisse a medicina. Resistette per un biennio: folgorato da Cristo, entrò come novizio nei ranghi della Compagnia di Gesù a ventiquattro anni. Compì l’addestramento a Drongen – Tronchiennes in francese –, nelle Fiandre, presso l’antica abbazia benedettina passata da poco, dopo alterni disastri, ai Gesuiti. Ordinato sacerdote nel 1887, Wieger volle impiantare il suo estro ‘scientifico’ nel cuore dell’ordine; ad ogni modo, preferiva avventarsi: quello stesso anno, partì per la Cina, presso la diocesi di Xianxian, nella provincia di Hebei, non lontano da Pechino. Non fece più ritorno in Europa. La diocesi era stata eretta da papa Pio IX una trentina di anni prima, affidandola ai missionari gesuiti. Lì Léon Wieger espresse il suo genio: imparò il cinese, andò a caccia di testi perduti, tradusse in francese i libri della tradizione taoista e buddista. Morì, dopo una vita di studi più che di apostolato, nel marzo del 1933, in Cina.  “I suoi lavori, destinati ai missionarî, sono guide talvolta indispensabili, per gli studiosi europei, per lo studio della scrittura, della lingua, della storia, delle credenze religiose e delle opinioni filosofiche della Cina”. Così scriveva Giovanni Vacca (1872-1953), che con Wieger condivideva la passione per la scienza – era stato assistente di Giuseppe Peano – e per la sinologia – occupò la cattedra di Storia dell’Asia a Firenze poi a Roma. A Wieger dobbiamo studi su Les pères du système taoïste (Laozi, Liezi, Zhuangzi), stampato nel 1913, e sul Folklore chinois moderne (1909); compilò uno studio sulla Histoire politique de la Chine (1929). A dire – come diceva Ezra Pound – della necessità di studiare la Cina; a dimostrazione che l’uomo ‘occidentale’ – brutto & cattivo che sia –, nella sua essenza, più che piegare, comprende, più che piagare, studia. Non si tratta di ‘illuminati’, per altro: era il buon senso ‘pratico’ a fare di Léon Wieger un formidabile scopritore di testi perduti. I suoi libri vengono ancora ciclicamente ristampati in Francia.  Erano anni, tra l’altro, in cui tutto un mondo era attratto verso Est, verso quell’attraversamento, alla ricerca di una sapienza remota, definitiva. Penso alla traduzione dell’I-Ching a cura del missionario tedesco Richard Wilhelm (1929), agli studi sul Tao Te Ching di Arthur Waley (1934; ma la prima traduzione inglese è del 1868, del missionario scozzese John Chalmers), alle esplorazioni di Giuseppe Tucci in Tibet, negli anni Trenta, agli studi dell’orientalista statunitense Ernest Fenollosa (morto a Londra nel 1908) ereditati da Pound. Ma anche, ai ‘tentativi’ verso la Cina di Lev Tolstoj, studioso di buddismo e taoismo. Un intero mondo intellettuale, per oltre un secolo, si è mosso e ha studiato nell’estremo Oriente. La Chinoiserie si riversò nel pensiero occidentale, conferendogli ‘leggerezza’: Mario Novaro, il poeta ligure che si era specializzato sull’opera di Giordano Bruno, realizzò nel 1922, per Carabba, una folgorante traduzione di Zhuāngzǐ con Acque d’autunno.  In particolare, qui, m’importano i volumi che Wieger ha dedicato al Bouddhisme chinois (1910; 1913; poi pubblicati da Les Belles Lettres nella serie “Textes de la Chine”), cioè sulle “Vie cinesi del Budda”.  > “Il Buddhismo primitivo, quello professato dal Buddha, non fu un sistema > originale. Emerse, per reazione e per adattamento, da sistemi religiosi > precedenti. Il Buddha fu il primo a proporre la liberazione a ‘uomini e donne > dediti al bene’, a tutti gli uomini di buona volontà, fossero analfabeti, > diseredati o gente comune. Questo rese il Buddhismo tanto celebre. La > religione vedica, il Sạ̄mkhya, lo Yoga erano rivolti a una ristretta élite. La > folla si precipitò entro la porta spalancata della nuova legge. Pur incerto > nella dottrina, il Buddhismo fu accolto, il primo luogo, grazie all’influenza > del suo fondatore, un uomo nobile e buono, dal fascino singolare. Si diffuse, > poi, perché offriva ai declassati, agli emarginati, ai paria, tramite uno > stile di vita semplice e immediato, una speranza di salvezza. In mancanza di > meglio, il Buddhismo soddisfò per secoli molte anime elette, stanche dei vani > sofismi della filosofia del tempo e innumerevoli uomini, desiderosi di pace e > giustizia”. > > Léon Wieger, Bouddhisme chinois, tome I : Vinaya, Monachisme et Discipline. > Hinayana, Véhicule inférieur, 1910 In particolare, abbiamo qui tradotto due brevi testi che riguardano l’accoglienza di un adepto laico e di un novizio nella comunità monastica. Il rito pertiene a due scuole buddhiste in particolare: quella Sarvāstivāda e quella legata a Dharmagupta.  Al di là delle norme previste – comprensibili anche a un bimbo, da far risuonare, proprio oggi, sì, ora, da urlare, a credito di secoli che altrimenti non sono che sabbia e scolo, insieme alle parole del Nazareno redatte da Luca: “amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male… non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati” (6, 27-38) – è il linguaggio a persuadere. Parole che implicano una pratica, un patto – parole che esigono di essere esaudite. Cosa vuol dire? Che bisogna fare i conti con questi concetti: milizia, obbedienza, lotta. Parole che alimentano la guerra interiore, non quella esteriore, che implicano il perfezionamento personale – o quanto meno, l’equilibrio, la summa della propria inquieta quiete. Già: l’uomo, di per sé, si sa, è malvagio, è agito da un senso – più o meno violento – di sopraffazione. Questo scintillio d’ira, tuttavia, può volgersi al bene se condotto nei ranghi della pratica interiore. Le parole non domano l’uomo, lo rendono autenticamente indomabile – se ne svolgiamo il frutto. Come un seme, la parola deve spezzarsi – la parola va sguainata. Messa a pratica di scherma, senza schemi.   Eppure, prima di tutto, occorre votarsi. Invocare il voto. Non più vociferare ma: essere voce. Vocalizzare il voto. Governare il tempo e lo spazio (cioè: il corpo e la mente, io e mondo, mondo e immondo) per precisare il compito. Questo significa: parola vivente, parola sigillo, farsi ingaggiare dalla promessa.  Rileggo ancora – ancora – le parole di Scipione, il grande pittore & poeta: > “Bisogna cristallizzarsi, costringersi nel ritmo giusto… Vivo nel voto, più > leggero, sicuro, quasi sereno… Fare un voto in assenza è aspettare… Quando si > scioglierà il voto si scioglierà la mia commozione”. Era il marzo del 1932; raso al suolo dalla tubercolosi, Scipione morirà l’anno dopo, ad Arco, il paese di Giovanni Segantini. Enrico Falqui, raccogliendo i fogli di Scipione per Vallecchi, scrisse di “parole che echeggiano dentro di noi”, che “ce ne resta inibito ogni commento”.  È proprio questo, alienando confini geografici e cronologici: ambire all’inibizione, non più commentare ma incamminarsi, e far grano di questo echeggiante dire – fino all’annunciazione dei corvi: assai azzurri benché li si continui a dire neri.  *** Accoglienza di un adepto laico a vita I cinque precetti  [Testo tratto da un rituale di scuola Sarvāstivāda] Quando un laico si presenta in monastero chiedendo di fare la professione di fede e di abbracciare i Cinque precetti, viene prima indottrinato riguardo alla vita del Buddha, alla sua Legge, al suo Ordine. Gli viene poi insegnato a flettere le ginocchia, a congiungere le mani e a pentirsi di tutti gli eccessi commessi in pensieri parole azioni. Quindi, davanti al capitolo riunito, il maestro di cerimonia gli fa pronunciare la professione di fede: “Da questo giorno in poi, io, X., mi affido al Buddha, alla sua Legge, al suo Ordine”.  Il candidato ripete questa formula per tre volte. Quindi, dopo che il rito ha prodotto il suo effetto, continua: “Io, X., mi affido al Buddha, alla sua Legge, al suo Ordine. Chiedo con gioia di abbracciare i Cinque precetti dei laici, secondo la dottrina di Buddha Sākyamuni. Lo dico perché tutti lo sappiano”.  Il candidato ripete questa formula per tre volte, finché il maestro di cerimonia non dice: “Ascolta attentamente! Questo capitolo di adepti del Virtuoso, il Buddha Sākyamuni, il Tathagata, colui che è venuto, ti annuncia, per mio tramite, i Cinque precetti che i seguaci sono tenuti a osservare per tutta la vita. Ecco i Cinque precetti: 1 Non uccidere alcun essere vivente. Questo comprende molte conseguenze. Sarai in grado di sopportarle? (Il candidato risponde: Posso) 2 Non appropriarsi di nulla che non ti sia donato. Questo comprende molte conseguenze. Sarai in grado di sopportarle? (Il candidato risponde: Posso) 3 Vietarsi ogni immoralità. Questo comprende molte conseguenze. Sarai in grado di sopportarle? (Il candidato risponde: Posso) 4 Astenersi dal mentire. Questo comprende molte conseguenze. Sarai in grado di sopportarle? (Il candidato risponde: Posso) 5 Non bere liquori fermentati. Tutti i liquori rientrano in questo divieto, che siano estratti dal grano, dalla canna da zucchero o dall’uva, poco importa. Ciò che inebria è proibito. Riuscirai a osservare questo divieto? (Il candidato risponde: Posso) * Accoglienza di un novizio I Dieci precetti  [Testo tratto da un rituale di scuola Dharmagupta] Rivolgendosi al capitolo, il maestro di cerimonia presenta il candidato e dice: “Venerabile capitolo, vi chiedo di poter radere il capo alla persona che vi presento. Se il capitolo lo ritiene opportuno, che i capelli del candidato vengano tagliati”. Dopo aver rasato la testa al candidato, il maestro di cerimonia continua: “Venerabile capitolo, la persona che vi presento chiede di lasciare la sua casa e la sua famiglia e di unirsi al monaco scelto come padrino. Se il capitolo lo ritiene opportuno, conceda al candidato la possibilità di lasciare la sua famiglia”.  Dopo il consenso del capitolo, il maestro designato a istruire il novizio gli fa scoprire la spalla e il braccio destro, gli chiede di togliersi le scarpe, di piegare il ginocchio destro e di alzare le mani giunte. In questa posizione il candidato pronuncia questa formula per tre volte: “Mi affido al Buddha, alla sua Legge, al suo Ordine. A imitazione del Buddha, lascio la mia famiglia. Riconosco X. Come mio maestro. Il Tathagata, Colui che è venuto, il Veritiero, e tutti gli Illuminati sono oggetto della mia venerazione”. Ritenendo che questa formula abbia prodotto il suo effetto, il postulante, ancora in ginocchio e con le mani giunte, dice per tre volte: “Mi affido al Buddha, alla sua Legge, al suo Ordine. A imitazione del Buddha, lascio la mia famiglia. X. Sarà mio maestro. Il Tathagata, Colui che è venuto, il Veritiero, e tutti gli Illuminati sono oggetto della mia venerazione”. Il maestro recita dunque al novizio, articolo per articolo, i Dieci precetti. 1 Non uccidere, mai. Questo è il primo precetto. Ti senti abbastanza forte da osservarlo? [Il postulante risponde: Lo osserverò] 2 Non rubare, mai. Questo è il secondo precetto. Ti senti abbastanza forte da osservarlo? [Il postulante risponde: Lo osserverò] 3 Non fornicare, mai. Questo è il terzo precetto. Ti senti abbastanza forte da osservarlo? [Il postulante risponde: Lo osserverò] 4 Non mentire, mai. Questo è il quarto precetto. Ti senti abbastanza forte da osservarlo? [Il postulante risponde: Lo osserverò] 5 Non bere vino, mai. Questo è il quinto precetto. Ti senti abbastanza forte da osservarlo? [Il postulante risponde: Lo osserverò] 6 Non adornarsi il capo di fiori, non ungere il corpo di profumi. Questo è il sesto precetto. Ti senti abbastanza forte da osservarlo? [Il postulante risponde: Lo osserverò] 7 Non cantare né ballare, mai, come fanno attori e cortigiane. Non assistere mai a spettacoli simili, non ascoltare canzoni simili. Questo è il settimo precetto. Ti senti abbastanza forte da osservarlo? [Il postulante risponde: Lo osserverò] 8 Non sedersi mai su un seggio elevato, su un divano spazioso. Questo è l’ottavo precetto. Ti senti abbastanza forte da osservarlo? [Il postulante risponde: Lo osserverò] 9 Non mangiare mai oltre l’orario consentito, dall’alba al tramonto. Questo è il nono precetto. Ti senti abbastanza forte da osservarlo? [Il postulante risponde: Lo osserverò] 10 Non toccare oro o argento, mai, né gioielli preziosi. Questo è il decimo precetto. Ti senti abbastanza forte da osservarlo? [Il postulante risponde: Lo osserverò] Questi sono i Dieci precetti dei novizi che non dovrete violare fino alla morte corporale. Puoi osservarli? Li osserverò.  Così si conclude la regola: “Poiché ti sei sottomesso ai Dieci precetti, osservali con rispetto, non violarli mai. Onora il Buddha, la Legge il suo Ordine. Rispetta il tuo maestro e tutti coloro che ti daranno degli insegnamenti secondo la regola. Non mancare mai alla dovuta sottomissione. Rispetta i monaci, tutti, con tutto il cuore, sforzati di imparare da loro, per il tuo bene, a meditare, a recitare, a studiare. Ti aiuteranno a raggiungere la felicità, a evitare la via dell’espiazione (l’inferno, la vita famelica, la reincarnazione animale). Ti apriranno le porte del nirvana. Se pratichi le regole dei novizi poi quelle dei monaci, otterrai i quattro frutti del tuo stato, i quattro gradi della liberazione (il quarto dei quali, quello di arhan, assicura il nirvana dopo la morte)”.  L'articolo “Non uccidere alcun essere vivente. Astenersi dal mentire” proviene da Pangea.
September 20, 2025 / Pangea
La Cina compra MediaWorld e Unieuro: test del golden power per il governo Meloni
Il colosso cinese dell’e-commerce JD.com ha annunciato l’acquisizione del gruppo tedesco Ceconomy, la holding tedesca che controlla MediaMarkt e Saturn. L’operazione regala al dragone rosso l’accesso a due marchi simbolo del retail tecnologico tedesco e italiano: MediaWorld e Unieuro. Con il controllo di Ceconomy, JD.com ottiene, infatti, un accesso indiretto anche a Unieuro, in quanto, la holding tedesca detiene il 23,4 % della francese Fnac Darty, che nel 2024 ha acquistato la catena italiana. Si tratta di un affare da 2,2 miliardi di euro, con un’offerta pubblica d’acquisto al prezzo di 4,60 euro per azione. Una mossa studiata nei minimi dettagli: JD.com acquisisce così una rete distributiva imponente con 48.000 dipendenti, oltre 22 miliardi di euro di fatturato (dati 2023/2024) e una presenza in 11 Paesi. In Italia, dove MediaWorld è il secondo mercato per volumi dopo la Germania, la rete conta 144 negozi e 5.000 lavoratori. Il completamento dell’operazione è previsto per la prima metà del 2026, dopo il monitoraggio e il via libera delle autorità antitrust europee. La mossa non è solo economica, ma geopolitica e in Italia dovrebbe accendere più di un campanello d’allarme. JD.com – terzo player cinese dell’e-commerce dopo Alibaba e Pinduoduo – non è nuovo ai colpi di scena. Già attivo in Francia, Regno Unito e Paesi Bassi con la sua piattaforma Ochama, ora entra dalla porta principale nel Vecchio Continente con l’acquisizione di Ceconomy. Fondata nel 1998 da Richard Liu con il nome 360Buy, JD.com è diventata negli anni una delle realtà più avanzate dell’e-commerce globale, distinguendosi per una strategia radicalmente diversa dai competitor cinesi come Alibaba e Temu. Mentre questi ultimi si affidano a modelli marketplace aperti a venditori terzi, JD.com controlla direttamente l’intera filiera, dalla logistica alla consegna, fino alla piattaforma tecnologica. In Cina può contare su oltre 820 magazzini, più di 37.600 veicoli per le consegne e una forza lavoro logistica di oltre 323 mila persone. leggi l'articolo
August 4, 2025 / Pillole di Graffio
Chi controlla le terre rare controlla il mondo
Quando a fine anni ’80 Deng Xiaoping affermò che “il Medio Oriente ha il petrolio, la Cina le terre rare”, in pochi diedero il giusto peso alla dichiarazione dell’allora leader della Repubblica Popolare cinese. Come invece sempre più spesso accade, il Dragone asiatico dimostrò di avere la capacità di immaginare e mettere in atto strategie di lungo termine: le terre rare, infatti, rappresentano oggi uno dei maggiori motivi di frizione geopolitica nel mondo, a causa dell’elevata richiesta e del loro complesso approvvigionamento, di cui la Cina detiene il monopolio. Praticamente nessun settore industriale ad alta tecnologia può farne a meno, da quello militare – per missili guidati, droni, radar e sottomarini – a quello medico, in cui sono impiegate per risonanze magnetiche, laser chirurgici, protesi intelligenti e molto altro ancora. Non fa eccezione il settore tecnologico e in particolare quello legato allo sviluppo e all’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Come spiega Marta Abbà, fisica e giornalista esperta di temi ambientali, le terre rare possiedono qualità magnetiche uniche e sono eccellenti nel condurre elettricità e resistere al calore, e anche per questo risultano essenziali per la fabbricazione di semiconduttori, che forniscono la potenza computazionale che alimenta l’AI, per le unità di elaborazione grafica (GPU), per i circuiti integrati specifici per applicazioni (ASIC) e per i dispositivi logici programmabili (FPGA, un particolare tipo di chip che può essere programmato dopo la produzione per svolgere funzioni diverse). Sono inoltre cruciali per la produzione di energia sostenibile: disprosio, neodimio, praseodimio e terbio, per esempio, sono essenziali per la produzione dei magneti utilizzati nelle turbine eoliche. Senza terre rare, quindi, si bloccherebbe non solo lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, ma anche quella transizione energetica che, almeno in teoria, dovrebbe accompagnarne la diffusione rendendola più sostenibile. Insomma, tutte le grandi potenze vogliono le terre rare e tutte ne hanno bisogno, ma pochi le posseggono. Leggi l'approfondito articolo di Del Monte
July 10, 2025 / Pillole di Graffio
“Come un sogno, come un sogno!”. Piccola antologia della poesia cinese classica
Tutto si può dire del vuoto, fuorché che lo si possa fare. * Li riempio soltanto o vivo appieno ogni giorno? Giorni come gabbie, solo fra soli. La vita è piena di rischi e c’è un male che è vero e un bene che è falso – soltanto sperare mi fa cambiare in meglio. Mi torna in mente, allora, quel detto di Samuel Johnson, in Rasselas, principe d’Abissinia (citato una volta da Simon Leys):  > “non lasciare che la vita ristagni… riaffidati al flusso del mondo”.  Annoto queste parole di Papa Leone XIV, dette al suo primo incontro con i giornalisti: “Viviamo tempi difficili da percorrere e da raccontare, che rappresentano una sfida per tutti noi e che non dobbiamo fuggire. Al contrario, essi chiedono a ciascuno, nei nostri diversi ruoli e servizi, di non cedere mai alla mediocrità. […] Come ci ricorda Sant’Agostino, che diceva: ‘Viviamo bene e i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi’”. Se me lo chiedessero, in effetti, non saprei dire perché mi metta a scrivere: il mio cuore ha ancora tanti nodi che forse non potrò mai sciogliere – o che, simile a un fine elastico per capelli, lo storceranno per sempre. * Alla ricerca di uomini grandi, di chi ti conferma cose di te stesso che soltanto sospettavi – o comunque, che fanno un po’ di “chiarezza”. In una vecchia intervista, Giampiero Neri, descrivendo il suo rapporto con uno dei personaggi di un recente libro, Piazza Libia, diceva di passaggio:  > “Devo dire, non è stato neanche facile entrare in rapporto con questo Signor > Giovanni [disoccupato da anni]… perché la società naturalmente vive di > rapporti di lavoro, sicché, non lavorare, trovarsi ai margini, imbarbarisce un > po’ i nostri comportamenti. Quindi, il signor Giovanni, non era disponibile > sempre…”  Banale, ma io che un “lavoro” vero e proprio non l’ho mai avuto, né mi ci sono mai identificato, per essere semplicemente quel che sono, temo di non aver mai fatto che lottare in – contro – questo tipo di società. * Domenica in bicicletta per delle colline a ovest di Pechino. Fino a un tempio buddista, dai cortili a diversi livelli, alti pini – una coppia è chiamata “drago che sposa la fenice”, uno piegato abbraccia una pagoda che sorge oltre una terrazza. Ce n’è uno di mille e passa anni, un gushu 古树 (“albero antico”): dal tronco larghissimo, che si dirama in una decina d’altri, ha la corteccia sottile, pare un platano non fosse per i suoi aghi verdi scuri. Mi attardo a decifrare alcuni caratteri intorno alla porta di una sala in cima: > “le nuvole si aprono sul mondo del loto, sull’altare si sparge come pioggia la > suprema saggezza > > le onde si alzano, la foresta manda aromi, il padiglione nella nebbia si > affaccia sulla sala dell’Arhat” Al tempio, mangiamo degli spaghetti in brodo, dando le spalle a quelli dietro, faccia a faccia con chi è dall’altra parte della stanza; alle pareti ci sono due cartelli con scritto: “non parlare”, “restare in quiete”. Nelle altre pareti, su carta color cachi, passaggi dai sutra e due grandi caratteri: “Saggezza” (hui 慧), “Prosperità” (fu 福). In due stanze laterali dell’ultimo cortile, siedono centinaia di statue di bronzo rappresentanti diversi monaci e santi: c’è chi suona un flauto, chi porta una ciotola di riso, chi è in meditazione, chi ride. Ci cammino di fianco, posando le mani sulla superficie fresca, come fanno gli altri visitatori. Due fedeli percorrono il corridoio a mani giunte.  * Per strada, con le mani fra le ruote dentate e la catena intoppata, mi viene in mente mio nonno materno, un omone alto e robusto, con una pancia durissima, sempre abbronzato e in canottiera, a piedi nudi. Di mestiere riparava macchinari pesanti: nel garage della vecchia casa in campagna c’era un’officina ordinatissima, con ogni strumento possibile.  Dopo la pensione, si costruì quella casa in campagna, comprò dei campi per coltivare viti – vinse dei premi per il suo Erbaluce – e kiwi. In cima a una collina, dove ora è un vigneto, mise file di noccioli: ci salivo spesso a vedere il panorama: la pianura nella foschia e i funghi della centrale nucleare dismessa di Trino. Poi attraverso un sentiero nel bosco – che lui teneva pulito, anche per poter andarci a funghi – si arriva a un santuario dedicato alla Madonna. Più oltre si scollina in un paese dove ho degli amici. Me lo ricordo nel fragore di un trattorino, manovrare davanti alla strada di casa. Da un lato, la strada scendeva e dava sui garage, di fronte a qualche filare di kiwi. Qualche anno fa, quando ormai la casa era disabitata, d’estate, andavo ad aprire regolarmente l’acqua per annaffiare il prato del giardino nel retro, con altissimi pini, alberi di diversa specie (come una larga magnolia) e qualche pianta esotica. Un sentiero di mattonelle portava all’orto, dove su un muro crescevano le zucche, a fianco di una tettoia per accatastare la legna, un pollaio in disuso. Sotto i garage, in un freddo scantinato, i macchinari per fare il vino. I serramenti erano in ottone. Sul balcone al primo piano una panchina a dondolo. Sopra una piccola mansarda, dove i miei vissero prima che nascessi. Davanti alla casa c’era un grande prato incolto, e a lato una stradina, che si fa sterrata e sale sempre più ripida e stretta, immergendosi nel bosco, verso il santuario, segnata dalle nicchie della Via Crucis – aprendosi qui e là su dei prati, qualche isolato vigneto, o sulla pianura sotto, fra gli alberi… la Dora, Vestigné, Ivrea, la maestà delle Alpi sullo sfondo. Da bambino andavo a fare ripetizioni d’inglese da una signora venuta a ritirarsi in una villa appena dietro. Aveva studiato ad Oxford, indossava le Clarks, andava a fare tiro con l’arco per i boschi, e mi offriva delle caramelle di viola. Si faceva pagare profumatamente.  Pensavo in effetti che ho avuto un’adolescenza piuttosto selvaggia. Alle superiori passavo la settimana a Torino, dove vivevo in un convitto con il figlio di un albergatore di certe valli piemontesi, riccioluto, sempre in tuta, un secchione, e nel weekend o nelle vacanze tornavo nel mio paese di provincia. Passavo con i miei amici d’infanzia pomeriggi a fare nulla su delle panchine, in qualche angolo di strada, nei pressi di una chiesetta fra i campi, o in giro per i boschi. Ci si accampava da qualche parte e ci si inventava qualche cosa da fare: spedizioni in fabbriche abbandonate, furti di trattori, infastidire il vicinato. Avevo diversi volti: quello a scuola, più composto, e quello con i miei vecchi amici – comunque sempre contrassegnato da un certo distacco, insieme ad una ricerca di continua approvazione, mi sembra ora.  Forse soffrivo questi continui addii, una vita sempre scissa?   * Forse, volevo parlare del fratello minore di mio nonno, che era invece un filosofo, – nelle foto a casa dei nonni – magro, capelluto e con una folta barba nera. Sempre elegante, volto da santone, o da Marx redivivo. Scriveva e teneva corrispondenze colte, era intelligentissimo: lo presero a lavorare per una grande azienda di gomme, ai massimi vertici, ma ci durò poco.  Aveva una folta biblioteca, di cui una parte finì tra gli scaffali di casa nostra: ci ho passato non poche estati, fra quei libri: aveva di tutto, dai classici di ogni tempo, romanzi moderni e contemporanei, a saggi di ogni argomento, libri per fare l’orto e di cucina, sulle religioni e la magia – immagino, tracce di diversi periodi della sua vita, come le sgualcite cartoline e fogli di appunti al loro interno. Per lo più tascabili, comprati e – immagino – letti compulsivamente. Ricordo la sua fitta e precisa grafia di ragazzo, negli appunti ai margini di un manuale ingiallito di storia di letteratura italiana.  Da quel che ne so, il prozio finì per sposarsi con una specie di maga, prima delle sue rovine. Un giorno, a cavallo dei quarant’anni – io non ero ancora nato –, parcheggiò la macchina sulla soglia di un bosco, vi si inoltrò e si lasciò morire fra gli alberi.  Mia mamma, che si commuove sempre quando ne parla, dice che i miei bisnonni – dei “marghé”, produttori di burro, gente semplice ma che aveva potuto arricchirsi dopo la guerra – l’avevano viziato troppo, forse non sapendo come affrontare la situazione. Lei lo ammirava: da lui aveva imparato per esempio ad apprezzare la musica classica: a casa abbiamo una ricca collezione di vinili dei compositori più importanti della storia, raccolti da mia madre.  Chissà a quante famiglie è capitato lo stesso – e che la sua anima ancora sofferente – riposi in pace – non abbia continuato a tormentare noi, o me, nascosta fra le pagine di quei libri.  * Questo libro, una raccolta di traduzioni inglesi di 101 liriche cinesi, l’ho trovato tempo fa in una bancarella, passeggiando per un’università a Pechino. Con l’aiuto di queste versioni di Chu Dagao, ne rendo alcune in italiano pensando a qualche amico, e questa poesia di Su Shi: Dopo aver bevuto Questa notte ho bevuto al Versante Orientale – di continuo tra il sobrio e l’ebbro. Al mio ritorno, sembrava fosse la terza ora. Romba già il fiato del servo, nessuno risponde alla porta appoggiato al bastone ascolto il suono del fiume. Spesso odio il fatto che questo corpo non mi appartenga: quando potrò finalmente obliare gli affari terreni? A notte fonda la brezza, onde fini come la seta. Che passi di qua una piccola barca  per fiumi e mari per il resto della mia vita! * 101 Chinese Lyrics (New World Press), ristampato nel 1987, compie una raccolta di 50 liriche pubblicata dall’Università di Cambridge nel 1937. Il traduttore, Chu Dagao 初大告 (1898-1987), originario dello Shandong (contea di Laiyang), fu professore all’Istituto di lingue straniere di Pechino (ora Università di lingue straniere di Pechino).  Laureatosi nel 1925 presso l’Università normale di Pechino, tra il 1934 e il 1937 studiò appunto a Cambridge, per poi insegnare in diversi istituti in Cina – lo dicono “uno straordinario traduttore, educatore e poeta. Con la sua profonda comprensione della letteratura cinese, specialmente della poesia lirica, ha contribuito grandemente all’introduzione dei versi e dei classici filosofici cinesi nel mondo anglofono” (dal risvolto di copertina). Sua è anche, infatti, una traduzione del classico del taoismo, il Tao Tê Ching. Nel 1919, Chu partecipò alle dimostrazioni studentesche del Quattro Maggio, venendo arrestato – e liberato grazie al “supporto della popolazione”. Con la nuova Cina, contribuì a fondare la Società Jiusan (“Nove-tre”, in riferimento alla vittoria nella seconda guerra sino-giapponese, avvenuta il 3 settembre 1945), uno degli otto “partiti democratici” minori consentiti tutt’ora, animato dagli intellettuali. Andrea Corsi * Da 101 liriche cinesi (a cura di Chu Dagao)  Zhang Zhihe  Canzone del pescatore Volano bianchi aironi davanti alla collina Xisai fiori di pesco scorrono sul fiume, il persico è grasso. Con un cappello azzurro di bambù e un verde mantello, nel vento obliquo e la pioggia fine non c’è fretta che torni.  Zhang Zhihe (732-774) fu un poeta della dinastia Tang (618-907) ed un buon calligrafo e pittore. * Liu Yuxi  Onde sulla spiaggia All’ottavo mese odo il suono delle onde che mugghiano sulla terra, le creste alte una decina di metri si rompono sulla parete rocciosa, e si ritirano. All’improvviso si ritraggono alla porta del mare alzando cumuli di sabbia che sembrano di neve. Liu Yuxi (772-842), anche conosciuto come Liu Mengde, fu un letterato e filosofo. Fu ufficiale durante il regno dell’imperatore De Zong della dinastia Tang e un amico intimo di Bai Juyi, uno dei più grandi poeti di tutti i tempi. * Wen Tingyun L’isolotto di bianco trifoglio Pulito e vestito, solo, mi sporgo dalla Torre sul fiume. Vedo mille vele, tranne quella che vorrei passasse. Che incanto i raggi del sole al tramonto sull’acqua lontana il mio cuore spezzato è volto a quell’isolotto di bianco trifoglio. Wen Tingyun (812-866) fu un famoso poeta lirico della dinastia Tang. Sono sopravvissute Intorno a 60 sue poesie, tutte scritte in uno stile fiorito. * Wei Zhuang Le terre del Sud I Tutti lodano le terre del Sud il viaggiatore vi prende dimora fino alla vecchiaia. In primavera, le acque dei fiumi sono più blu del cielo, si cade nel sonno ascoltando la pioggia su barche dipinte. Le locandiere per strada splendono come lune,  i polsi dietro alle maniche sembrano di neve. Resta finché non sei vecchio se non vuoi spezzarti il cuore non tornare a casa. II Ricordo ancora le gioie del Sud, quando ero giovane e indossavo vesti leggere. A cavallo sostavo sui ponti, dai balconi rosse maniche mi mandavano saluti. Nel paravento si nascondeva l’oro della giada ebbro mi inoltravo in stanze gemmanti. Se dovessi vedere ancora quei rami fioriti, vi resterei fino a che i miei capelli non si facessero bianchi. * Passeggiata in primavera È primavera, camminando mi soffiano sulla testa fiori di albicocco. Per strada, chi è quel giovane dall’aria nobile? Mi farei sua serva e mi offrirei a lui in sposa, fino alla fine dei miei giorni. Non ne proverei vergogna, anche se senza amore dovesse un giorno abbandonarmi. * Fiori di magnolia Solo salgo sul piccolo padiglione, la primavera volge alla fine triste guardo la strada verdeggiante verso il valico di frontiera. Non giungono notizie, né viaggiatori. Aggrotto le sottili sopracciglia, me ne torno al salotto. Sedersi a guardare i fiori che cadono è cosa vana lacrime rosse rigano le mie maniche di seta. Non mi sono mai inoltrato tra montagne e fiumi, prima d’ora, potrà il mio spirito trovare in sogno un degno compagno? Wei Zhuang (c.836-910) fu un poeta delle Cinque Dinastie (907-960) conosciuto per la grazia dell’implicita bellezza della sua poesia lirica.  * Li Xun Una nuvola sul monte Wu Il tempio antico si affaccia su una verde scogliera, la residenza dell’imperatore poggia su un fiume di giada. Il boudoir è immerso nei suoni del fiume e nei colori della montagna. Interminabili, i pensieri giungono dal passato. Nuvole e pioggia si danno il cambio dalla mattina alla sera tra foschie e fiori, passano le primavere e gli autunni. È inutile che il pianto delle scimmie segua la barca solitaria il viaggiatore ha già per sé non pochi turbamenti. Li Xun (c.855-c.930), discendente di un persiano, fu un poeta lirico delle Cinque Dinastie. Gran parte dei suoi poemi descrivono i costumi e panorami del sud della Cina. * Lü Yan Aspettando un amico Obliqui i raggi di luna, freddo il vento autunnale. Questa sera, verrà il mio vecchio amico? Ho aspettato fino all’ultima ombra dell’albero dei parasoli.  Lü Yan, poeta della dinastia Tang. Le date della sua nascita e morte non sono conosciute. Sappiamo solo che fu attivo intorno all’857. * Li Cunxu Come un sogno Un tempo festeggiammo nella caverna della Fonte del Fiore di Pesco, intonavamo musiche pure e ballavamo come fenici. Ricordo ancora quando ci separammo con le lacrime ti accompagnai alla porta. Come un sogno, come un sogno! Sono rimasto con la luna calante, i fiori cadevano nella foschia.  Li Cunxu (885-926), fondatore della dinastia Tang posteriore (923-936), divenne imperatore nel 923 e restò ucciso in un ammutinamento nel 926. * Su Shi  In memoria Per dieci anni, un abisso ha separato i vivi dai morti. Anche se non ti penso, mi è impossibile dimenticare. La tomba spoglia è lontana mille li non c’è luogo dove possa dire la mia tristezza. Se ci incontrassimo non mi riconosceresti, sembra che il mio volto sia coperto dalla polvere e alle tempie i capelli sono brina. Ieri notte ho sognato di tornare all’improvviso a casa. Eri davanti alla finestra della camera, alla toeletta.  Ci siamo guardati le lacrime hanno preso il posto delle parole. Ricordo anno dopo anno, quel luogo che mi ha spezzato il cuore notte di chiara luna, i pini bassi sul poggio. Su Shi (1037-1101), anche conosciuto come Su Dongpo, nacque nella contea di Meishan, provincia dello Sichuan. Poeta maggiore della dinastia dei Song settentrionali, fu anche un celebre calligrafo e pittore. Si distinse come uomo di stato e coprì diverse cariche ufficiali, ma fu spesso mandato in esilio. Allargò l’ambito della poesia ci introducendo argomenti più seri, rendendolo dunque un genere più consistente. La sua poesia è fresca, audace e vivida nello stile.  * Xiang Gao Solitudine Chi siede in compagnia sotto la finestra illuminata? Siamo in due, io e la mia ombra. Ma quando la lampada si esaurisce, e sarà ora di ritirarmi anche la mia ombra sarà presa dal buio.  Non so che fare!  Quanto sono misero e disperato! Xiang Gao nacque intorno al 1100. * Yue Fei Devozione non ricambiata Ieri sera i grilli d’autunno non hanno smesso di cantare mi hanno suscitato in sogno luoghi a migliaia di li. Era già la terza ora. Mi sono alzato, mi sono messo a passeggiare sulla soglia di casa. Tutto era nel silenzio, dietro la tenda la luna illuminava appena. Tutta la mia vita l’ho spesa al servizio dello stato. A quelle vecchie montagne dove le foreste stanno invecchiando il ritorno mi è impedito. Vorrei affidare le preoccupazioni del mio cuore a un liuto di diaspro: ma chi potrebbe comprenderne la melodia spezzata se non i miei amici lontani? Yue Fei (1103-1142), eroe nazionale della dinastia dei Song meridionali che combatté contro l’invasione dei Nüchen. Solo alcune sue opere sono state tramandare, tutte permeate da forte patriottismo. * Nota sullo sviluppo della poesia in stile “ci” La poesia lirica cinese Ci affonda le sue radici più antiche nel classico Libro delle odi (Shijing), il quale pose le basi dei suoi schemi ritmici, i motivi tonali, le differenti misure dei versi e la loro applicazione alla musica. Con la dinastia Han, la poesia prese forme regolari e l’accento venne messo sulla creazione musicale, con odi e inni per le occasioni cerimoniali. Durante le dinastie Sui, Tang e in particolar modo Song, attraverso le accademie di musica, si assisté ad un divorzio completo tra quest’ultima e la poesia.  In seguito ai frequenti contatti con le regioni occidentali e l’Asia centrale, furono introdotti motivi musicali senza parole o con mere traduzioni illetterate. I poeti che volevano scrivere una canzone per una musica, dovevano “riempire la melodia con le parole”, adattando i motivi tonali della lirica e la lunghezza dei versi (alternanza di “versi lunghi e brevi”). Da cui, poi, la poesia ci 词. Questo tipo di lavoro, tuttavia, non teneva molto conto della libertà dei poeti. I quali cominciarono a non rispettare le regole, o a mantenerne soltanto alcune. Molti poeti scrissero allora delle poesie per melodie senza attenersi al loro tema originale. Se una gran parte delle melodie o canzoni originali trattavano il tema dell’amore, i poeti scrivevano sulla guerra o eventi storici. Così che le melodie vennero tramandate soltanto nella loro forma, senza relazione effettiva con il significato delle poesie.  Ad ogni modo, basti dire che la formazione della categoria di versi ci, non solo ha abbellita ma anche arricchito la poesia cinese in generale. Nella presente traduzione i nomi delle melodie sono stati lasciati soltanto nella versione originale cinese, tra parentesi.   L'articolo “Come un sogno, come un sogno!”. Piccola antologia della poesia cinese classica proviene da Pangea.
May 24, 2025 / Pangea
Dati Ue in Cina: TikTok multata 530 mln euro
La Commissione irlandese per la protezione dei dati (Dpc) annuncia una multa di 530 milioni di euro a TikTok, accusata di aver inviato illegalmente i dati degli utenti europei in Cina. L’accusa dell’autorità è di aver trasferito illecitamente i dati degli utenti europei in Cina, aumentando per altro le tensioni e lo scetticismo (soprattutto dei legislatori occidentali) nei confronti di Bytedance, l’azienda di Pechino proprietaria del social network. L’importo della multa è superiore alle indiscrezioni che erano trapelate a inizio mese ed è la terza sanzione più alta di sempre, dopo quelle ad Amazon (746 milioni) e Meta-Facebook (1,2 miliardi). Fonte RaiNews.it
May 3, 2025 / Pillole di Graffio
“Torno da un sogno”. Li Quingzhao: vita & versi della poetessa millenaria
Quasi che tra cenere e sogno nessuna differenza sussista, se non quel sussulto, quello scarto tra il grigio e il ghigno del sopravvissuto.  Intrisa nel sogno, di bava d’ambra, onirica all’onestà, è l’opera di Li Quingzaho, perché è lì, nell’inconsolabile consistenza dell’inconsistente, che accade tutto: il lutto e l’amplesso, la gioia, a gorghi, e la rassegnazione, il primevo amore, il primato della razzia, i volti – tanti, ambiti, ambigui – come i fiori del pruno. Leggo che i fiori del pruno sono il simbolo della speranza, dell’eternità – in Li Quingzhao è la quieta disperazione ad avvincerci, piuttosto, l’incendio di nevi, la fuga tra corpi illusori, il senso, acuto, del transitorio. La nobiltà di questa poetessa recidiva nel recidere è in una sorta di infallibile debolezza. Così, quando scrive al Signore di Hu – una lettera intrisa di lacrime rattenute nel sangue –, alto funzionario imperiale, quella donna ai margini, tra i laterizi dell’esilio, non esita a insistere perché l’Imperatore ricordi che non è tempo di sotterfugi e negoziazioni quando decenni di caos hanno falciato i suoi sudditi, i suoi figli. Ma ancora una volta: la Storia non è che un sogno, la pietra levita in neve, la parola è cenere. Che incenerisca l’opera, allora, perché con quel nulla d’argento altri rifondino i toni, i tuoni. Se ne lordino il volto. Nacque nello Shandong, nel 1084, Li Quingzhao, in una famiglia di intellettuali: il padre era un insigne accademico, seguace dei circoli letterari più noti dell’epoca; la madre, nel cui lignaggio alligna un ministro del regno, scriveva poesie. In quell’aura libresca, Li Quingzhao si librò con eccezionale libertà: di precocissimo ingegno, già più che smaliziato, eccelse nel ci, poesia di irregolare lunghezza, modellate su toni e modelli definiti, cantabili. Si sposò nel 1101, diciottenne, con Zhao Mingcheng; fu un’unione al limite dell’idilliaco: entrambi poeti, praticavano la calligrafia e la scrittura, si inoltrarono nell’arte delle iscrizioni su pietra e su bronzo. Collezionavano libri – dialogavano in versi, durante le lunghe assenze di Zhao, impegnato nelle estenuanti prove per diventare burocrate del regno (la pratica lirica era una delle eccellenze essenziali per ‘fare carriera’ in quei ranghi).  Al tempo dell’unione, seguì quello della distruzione. Li Quingzhao e il marito vissero l’abisso della guerra che impegnò la dinastia Song contro i Jin – costretti alla macchia, subirono la razzia della casa. Non erano ricchi – i loro manoscritti furono bruciati, insieme ai libri. Nel fuoco, Li intravide lo stigma di una conversione.  Zhao morì durante i giorni della fuga, nel 1129 – Li passò mesi di vagabondaggio, di pieve in pieve, incenerita dal dolore. Finì i suoi anni a Hangzhou, dove i Song avevano stabilito la nuova capitale – ma tutto era già capitolato. Dicono di uno stuolo di pretendenti, malignano di un nuovo matrimonio, con un artista più giovane di lei, terminato in disastro; pare si sia data al buddhismo, piuttosto; le poesie misero il lutto: dai toni lievi, primaverili degli anni nell’oro, Li passò a quelli del rimorso, della malinconia, del grido in gola. Sono le poesie più belle, quelle in cui la neve si mescola al sogno, l’airone al pruno, vaghe figure della fugacità. Soltanto il vino offre un futile riparo al dolore: da ciò che si legge, Li sapeva precipitare nell’ebbrezza. Morì a 71 anni, pare – l’incerto consacra questa donna tra le semprevive leggende –, intorno al 1155 – del suo canzoniere, tra i più rinomati e noti del canone cinese, restano un centinaio di poesie, briciole per lo più di un’esistenza votata alla letteratura.  Li Qingzhao piaceva a Cristina Campo, che la voleva nel suo libro delle Ottanta poetesse (riprodotto da Magog, con l’aiuto di Giorgio Anelli, 2023); Farrar, Straus and Giroux ha da poco pubblicato i “Complete Poems of Li Qingzhao” con un titolo suggestivo, The Magpie at Night: i versi “della più grande poetessa cinese della storia” sono tradotti, con garbo minimalista, da Wendy Chen. Al di là dei tributi all’oggi, di quell’irreggimentare all’ovvio – si parla del “lavoro invisibile e irrequieto… di una donna che ha creato all’ombra dell’esilio, della guerra, di un ambiente letterario poco accogliente” – pare che facciano di Li una Emily Dickinson di Cina, rapita da una poesia fitta di intrepide ironie, da reclusa. In verità, Li era singolarmente nota ai tempi, e la poesia – pur apodittica, secondo i modi ideogrammatici d’Oriente – non artiglia l’intelligenza: dilata il cuore in lago.  Si sente, semmai, in sottofondo, un lento sciabordio: i versi inseguono la stesura del fiume, sono come cartigli, come foglie, lasciati alla livrea del rio. Prendili, a piena bocca: l’al di là del sogno è ricchezza in neve – non puoi lasciare tracce – né eseguirle.  *** Li Qingzhao In sogno Ricordo il giorno  passato sullo strame del rio: guardavi il tramonto che artigliava il padiglione. Così ubriachi da perdere la via del ritorno. Era tardi – fu troppo tardi. Voltammo la barca incagliandoci in un gorgo di radici di loto.  Remavi remavo –  splendevano, a riva, gli aironi.  * Mentre scorre il fiume L’equinozio si spezza primavera arriva. Legna nell’incensiere: da froge  di giada sfugge il fumo.  Torno da un sogno.  Cerco le forcine per i capelli sotto il cuscino. Le rondini di mare sono ancora lontane.  La gente gioca con l’erba, i fiori del pruno riempiono il fiume. Il salice germoglia una bava di seta. Compieta: l’altalena è bagnata dalla pioggia.  * Ubriaca alla festa del nono giorno  Nebbia sottile, nuvola esangue. Il giorno è il destriero del desiderio. Tronchi di canfora bruciano nella bocca di bestie dorate.  Festa del nono giorno. Cuscino di giada, tonaca zanzariera. Il gelo di mezzanotte azzanna il mondo. Crepuscolo. Mi ubriaca il chiostro che costringe Oriente e le mie maniche sono fragranti. Non dire che mi è indifferente amare. Quando il vento dell’ovest fa sbattere la tenda, sono più fragile di un fiore giallo.  Mi bruci la mano ma il tuo cuore è freddo.  * Sul tema “Come un sogno” Notte: vento violento lavacro di pioggia. Dagli abissi del sogno inebetita dal vino chiamo l’ufficiale delle tende che mi risponde: “i fiori di ciliegio e quelli di melo sono gli stessi” “Oh, ancora non lo sai? Il rosso si assottiglia il verde è diventato enorme”.  * Sul tema “Rosse le labbra” Nella più remota stanza: infiniti dolori infieriscono  su ogni lato del mio essere.  La primavera è passata troppo presto: piogge, come frecce, disperdono gli amici. Mi sporgo dal balcone: sono stanca.  Dov’è lui, il mio amato? La prateria non ha orizzonte avvizzisce: la strada del ritorno è ormai invisibile.  * Moribonda primavera – non ho voglia di sistemarmi i capelli.   Il pruno perde i fiori  che vagano tra le rive  del vento serale. Luna pallida, nubi in estro.  L’incenso non brucia più nella conca di giada, ha la forma di un’anatra –  la tenda ha ancora quell’antico pudore.  Basta il suono di un corno a spaventare il freddo?  * Lamento  Notte fonda: ebbra mi levo le vesti un fiore di pruno tra i capelli appassisce.  Tutto scema ma l’odore del vino sbriciola i sogni prima che l’anima  riconosca la via di casa.  Silenzio.  La luna indugia: accarezzo il fiore appassito accarezzo i petali profumati voglio il mio tempo perduto.  * Il sole si disfa come oro fuso le nuvole, a sera,  sono un disco di giada. La nebbia avvolge i salici e un flauto suona “Fiori di pruno”.  Quanti giorni ancora durerà primavera? La festa delle lanterne dovrebbe rendermi felice ma sono inerme al candore del tempo – quando torneranno il vento e la pioggia? * Ogni anno è nella neve che raccolgo i fiori del pruno: la loro bellezza mi inebria. Avida, li accarezzo: bagno la veste di lacrime ed è così che consumo il mio viso.  Quest’anno ho vagato fino  al limite della foce, fino al punto che inficia l’orizzonte – ormai  grige le tempie.  Il vento della sera è forte: non riuscirò più a godere del languore di quei fiori.  * Al Signore di Hu Non chiediamo della preziosa perla del Duca di Dui né dell’inestimabile disco di giada di Ho, sommo maestro. Chiediamo notizie della nostra patria. Il Palazzo dell’Illuminazione è ancora lì, in rovina? In che stato sono le pietre inabissate nell’erba quelle tigri messe a guardia della tomba imperiale? Dopo la razzia, pur al giogo, la nostra gente continua a piantare alberi di gelso.  Dicono che i mercenari pattugliano  le mura della città: è davvero così? Il nonno e il padre della vedova che vi scrive sono nati nello Shantung: benché non abbiano mai ricoperto alti incarichi, la loro fama veleggiava ovunque.  Ricordo quando discutevano alle porte  della capitale insieme ad altri studiosi: gente a ventate, sudore pari a pioggia.  I loro figli hanno attraversato il fiume molti anni fa per nutrirsi del sud: alla deriva, tra le rapide, tra i rifugiati. Invio lacrime torchiate nel sangue alle montagne della mia patria; spargo una tazza di terra sulla Rupe Orientale. Immagino il vostro arrivo, degno agnello di Sua Maestà: passerete per le capitali tra stole di genti – tutti faranno a gara per offrirvi il tè, per ostentare un torbido benvenuto… Il cuore dell’Imperatore soffre insieme a chi soffre:  siamo i suoi figli. Ditegli che la volontà celeste  ha memoria di ogni creatura. La fede con cui ci ricompensa brilla come il sole, è vero, ma non è tempo di negoziare per troppi anni siamo stati il cibo del caos.  L'articolo “Torno da un sogno”. Li Quingzhao: vita & versi della poetessa millenaria proviene da Pangea.
March 11, 2025 / Pangea
Rottura e interdipendenza: la partita tecnologica tra Usa e Cina
Radio Blackout ha intervistato Silvano Cacciari, ricercatore presso il NAFF dell’Università di Firenze e il CheerLab dell’Università di Prato La competizione strategica tra Cina e Stati Uniti è più complessa e meno lineare di come viene solitamente rappresentata dai media generalisti. Conta, in prima luogo l’interdipendenza economica tra i due giganti che da qualche decennio struttura quel fenomeno che abbiamo conosciuto come “globalizzazione”, basato sui due macro-fenomeni: una corposa delocalizzazione delle produzione verso il polo asiatico (centro cinese); una sempre maggiore finanziarizzazione dell’economia euro-atlantica (polo statunitense). Questa interdipendenza è ancora più evidente se si osserva il livello degli scambi delle merci ad alto contenuto di tecnologia incorporata, dove l’uno e il maggiore cliente dell’altro, e viceversa. Si tratta però di un equilibrio perennemente instabile e a-simmetrico, che in questo momento storico viene rimesso in discussione da una Cina sempre meno disponibile a restare confinata negli scalini più bassi della scala del valore. L’uscita politicamente ben orchestrata delle nuova intelligenza artificiale Made in China DeepSeek ha causato profondi tonfi nelle borse statunitensi ma, a differenza del passato (vedi crisi dei subprime, 2008) questa volta l’innesco è stato estern, cinese appunto, e non interno alle dinamiche della finanziarizzazione americano-centrica. Dopo qualche decennio di osservazione sui meccanismi predatori della finanza a stelle e strisce , i cinesi hanno imparato a condurre, pro domo loro, la guerra finanziaria e ne hanno fornito un primo assaggio ai competitor strategici. Tra le realtà più colpite, oltre alla ben nota Chat GPT c’è anche la più nascosta, e meno conosciuta dai non addetti ai lavori, Palantir, specializzata nel servizio di controllo e fornitura dati, all’interno di quello che potremmo chiamare paradigma del “capitalismo della sorveglianza” e della “guerra ibrida”. Il CEO di questa azienda, Peter Thiel, già fondatore di PayPal autore di diversi manifesti politici tecno-reazionari, si è preso il compito nell’ultimo lustro di dare una strigliata ideologica (e politica) alla Silicon Valley libertaria e rizomatica degli anni ’90 per intrupparla in un nuovo corso dove devono essere chiare le gerarchie e le finalità (nemesi) politiche. Ascolta l'audio sul sito di Radio Blackout
February 28, 2025 / Pillole di Graffio
DeepSeek! (E Made in China 2025)
Impazza DeepSeek, nuova AI cinese: per gli Usa un nuovo "momento Sputnik. Made in China 2025: per il progetto voluto da Xi è tempo di bilanci. E buon anno del serpente :) Allora: la nuova versione è uscita poco dopo Natale, pare sia all’altezza di OpenAI e affini, è realizzata con solo una parte dei chip (ad esempio quelli Nvidia) bloccati dagli Usa verso la Cina. E fa parlare di sé come la prima forma di AI che riporta in qualche modo all’AGI (Artificial General Intelligence) specie la release R1. Insomma in ogni caso un po’ tutti hanno detto la stessa cosa: DeepSeek ha colmato un divario. E per gli Usa è arrivato un altro “momento Sputnik”, quello nel quale ci si rende conto che un competitor è più avanti (come capitò nel caso dello Sputnik sovietico, appunto, o come capitò alla Cina dopo la vittoria delle AI di Google contro il campione del mondo di go, allora si parlò di momento Sputnik, ma per la Cina) Ora, ci sono molti tecnicismi al riguardo ma non solo perché DeepSeek ha segnato l’inizio di una nuova era nell’AI cinese, quella del risparmio: “DeepSeek è stato rapidamente soprannominato il "Pinduoduo dell'IA" e altri grandi giganti della tecnologia come ByteDance, Tencent, Baidu e Alibaba non hanno potuto trattenersi, tagliando i prezzi uno dopo l'altro. Una guerra dei prezzi per i modelli di grandi dimensioni in Cina era imminente”. E a differenze di aziende di stato “che bruciano soldi, in sussidi, DeepSeek è redditizia”. Vediamo intanto di cosa stiamo parlando. DeepSeek è un'azienda cinese di intelligenza artificiale che sviluppa modelli linguistici di grandi dimensioni open-source. L'azienda è finanziata esclusivamente dal fondo speculativo cinese High-Flyer. Sia DeepSeek che High-Flyer hanno sede a Hangzhou, Zhejiang. DeepSeek è stata fondata nel maggio 2023 da Liang Wenfeng, un ex studente dell'Università di Zhejiang che ha iniziato a fare trading durante la crisi finanziaria del 2007-2008. Leggi tutto
January 27, 2025 / Pillole di Graffio
Le Dita Nella Presa - Chip e buoi dei paesi tuoi
Puntata del 10 nevembre 2024. Da domani, 11 Novembre, TSMC smetterà di vendere a Pechino chip con tecnologia sotto i 7nanometri (inclusi). A che tecnologia sono arrivate le industrie della repubblica popolare cinese? Quanto divario le separa ancora da quelle occidentali? Vedremo tutto questo, legandolo alla condizione geopolitica Taiwanese. Alcuni cambi di licenze continuano a mettere in crisi la nostra coscienza: il software libero è sempre la scelta migliore? Anche quando Amazon dice di sì? Sempre più progetti si stanno muovendo verso licenze non compatibile con la tradizionale definizione di software libero; i motivi ci sembrano quantomeno comprensibili. Chiudiamo con alcune notiziole riguardo ai temi del copyright, dei sistemi di trasporto pubblico su ferro ma, soprattutto, di tecnologie digitali obsolete. Ascolta l'audio sul sito di Radio Onda Rossa
November 11, 2024 / Pillole di Graffio