L’Europa dipende dalle big tech americane, rischiando la sicurezza nazionale.
Servono alternative europee integrate a tutti i livelli dell’infrastruttura
digitale. La collaborazione pubblico-privato e l’open source sono fondamentali
per costruire l’EuroStack e garantire l’indipendenza tecnologica europea
La dipendenza dell’Europa dalle tecnologie digitali americane e cinesi
rappresenta una minaccia significativa per la sua sovranità, sicurezza e
competitività economica. Per affrontare questa sfida, è essenziale sviluppare un
“EuroStack“, un ecosistema digitale integrato che copra tutti i livelli, dai
chip alle applicazioni, garantendo così l’autonomia tecnologica del continente.
L’Eurostack è un’iniziativa proposta dall’Ucl all’Unione Europea per creare un
ecosistema tecnologico indipendente e sovrano, con l’obiettivo di ridurre la
dipendenza da colossi tecnologici stranieri come Alphabet, Amazon, Apple,
Microsoft e altri.
Questo progetto mira a sviluppare infrastrutture digitali completamente europee,
tra cui piattaforme cloud, intelligenza artificiale (AI), reti di
telecomunicazione e software, in linea con i valori europei di protezione dei
dati personali, sovranità digitale e supporto alle imprese locali.
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Tag - GAFAM
Unità Navigante per la Diminuzione dell'Onnipotenza della Silicon valley - Team
Rapido Eliminazione Social
Probabilmente avete già visto questa foto.
Qualunque cosa pensiate del passato di queste persone, delle aziende che hanno
dietro, dei prodotti che creano e dei loro allineamenti politici pensiamo che
sul presente non ci sia tanto da discutere: sono un gruppo di miliardari della
destra ultraliberista che usa i prodotti che controlla per promuovere la propria
agenda politica.
Questo, purtroppo, ci riguarda direttamente: le persone che decidono di usare i
social media commerciali per mettersi in contatto con le realtà di movimento
vengono esposte alla disinformazione e alla violenza fascista; le nostre
mobilitazioni in solidarietà con la Palestina sono catturate all'interno di un
sistema che collabora attivamente con il genocidio in corso. Questo è spesso
visto come il contraltare di una "grande capacità di comunicazione". Peccato che
non sia vero: il meccanismo dei social, tra le altre cose, non permette di
raggiungere persone che non siano già nella tua cerchia di relazioni.
Leggi la proposta del Team Rapido Eliminazione Social sul sito di AvANa
Primo di una serie di articoli di CIRCE sulla rivista Gli Asini.
Il secondo mandato presidenziale di Donald Trump è un nuovo capitolo della saga
“Tecnologie e politica”. Un uomo anziano, miliardario, bianco, plurindagato e
pluricondannato, un autocrate violento e vendicativo, si circonda di suoi simili
per governare gli Stati Uniti d’America, un paese che appare sempre più lacerato
e sempre meno affidabile anche per i suoi alleati storici in Europa. Fra gli
alleati di Trump, spiccano alcuni fra i più ricchi e potenti manager e
investitori delle cosiddette nuove tecnologie. Il più in vista è il padrone di
Tesla, di SpaceX e di X (ex Twitter), il controverso Elon Musk. Molti altri si
contendono il fronte del palco trumpiano: si pensi al vicepresidente J.D. Vance,
ma anche al padrone di Amazon nonché proprietario del Washington Post, Jeff
Bezos, che ha interferito con la decisione del consiglio di redazione del
giornale di sostenere la candidata democratica Kamala Harris, provocando le
dimissioni indignate di alcuni giornalisti e la cancellazione di decine di
migliaia di abbonamenti.
L’argomento è vasto e complesso. Anche al nostro interno abbiamo opinioni
diverse, che non trovano una sintesi unitaria. Ci limiteremo quindi a presentare
alcuni elementi della nostra discussione, tuttora in corso.
Il punto d’avvio, che ritorna in tanti dibattiti, può essere sintetizzato così:
qual è la relazione fra governi eletti e multinazionali della tecnologia
digitale? Sono queste ultime a essere strumenti dei primi, o viceversa? Come
stanno cambiando forma, influenzandosi reciprocamente? Qualcosa è cambiato?
Studiamo da decenni l’impatto delle tecnologie su individui e società (in
particolare delle tecnologie digitali) ma i social media sono un caso a parte.
Non è la prima volta che rileviamo uno stretto rapporto fra chi si presenta come
innovatore a livello tecnologico, bisognoso di avere le mani libere rispetto a
una legislazione percepita come ostacolo all’innovazione, e programmi politici
che si raccontano come stravolgimenti dello status quo e rottamatori
dell’inefficienza burocratico-statale.
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«Solo gli imprenditori sanno cosa c’è nella salsiccia: come funzionano sistemi
tecnici complessi. Per questo gli industriali sono i più adatti a fissare le
regole per la tecnologia». Così il 20 dicembre a Mar-a-Lago Tarek Waked, capo di
Type One Ventures, sintetizzò il senso dell’incontro tra imprenditori, tecnologi
e funzionari del futuro governo Trump intitolato dal promotore, il nuovo zar
dell’intelligenza artificiale, David Sacks, «America First: il futuro di
tecnologia, AI e spazio».
I capi di big tech che ieri hanno reso omaggio a Donald Trump alla cerimonia del
giuramento vengono descritti come genuflessi davanti al nuovo potere politico.
In realtà, però, loro — o, meglio, alcuni di loro — «sono» il nuovo potere
politico.
E non si tratta solo di Elon Musk, ormai presenza fissa al fianco del nuovo
presidente con la missione di ridisegnare uno Stato più «magro» ed efficiente:
mentre i capi di Amazon, Apple, Microsoft, OpenAI, Google, saltano sul carro del
vincitore per non essere lasciati indietro (o rischiare punizioni), e Mark
Zuckerberg (Meta-Facebook) compie acrobazie ancor più spregiudicate alla ricerca
di un posto al tavolo della rivoluzione tecnologica da portare nel cuore dello
Stato e del sistema politico, l’occupazione dei centri nervosi del governo e
delle agenzie federali è già iniziata.
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Puntata di domenica 8 dicembre. La prima parte della puntata è dedicata alle
variegate malefatte dei soliti noti: Google e Meta.
Prima parliamo della situazione di Google con l'antitrust, che vede avvicinarsi
il verdetto anche per quanto riguarda il settore pubblicità. Avevamo già parlato
della questione del motore di ricerca, ma questa è un'altra storia.
Passiamo poi ai legami tra grandi aziende e militarismo:
* Google continua a negare i suoi rapporti con l'apparato militare israeliano,
ma i dati sono sempre più chiari
* Meta si lancia apertamente nelle applicazioni militari dell'intelligenza
artificiale generativa
* Hannah Byrne ha lavorato per anni nel gruppo "antiterrorismo e organizzazioni
pericolose", si è licenziata nel 2023, e racconta alcuni dei motivi per cui
crede che la selezione dei contenuti fatta da Meta sia sbagliata fin dalla
radice
Chiudiamo infine rimandando un audio andato in onda recentemente su Data Center,
consumo di energia e di acqua.
Ascolta l'audio sul sito di Radio Onda Rossa
Google vuole primeggiare nell’AI e aumenta consumi ed emissioni
Ci hanno raccontato che buona parte dei consumi energetici delle grandi aziende
tecnologiche sono ormai soddisfatti da fonti energetiche rinnovabili e che
comunque, per compensare l’impego sempre massiccio dei combustibili fossili,
stanno aumentando anche l’utilizzo di tecnologie green per ridurre l’impatto
ambientale e rimuovere CO2.
È sicuramente un fatto, qualcosa sta accadendo, il problema è che la crescita
esponenziale del traffico di dati internet globale e l’accelerazione dello
sviluppo di sempre nuovi modelli di intelligenza artificiale (AI) spostano
sempre in avanti l’asticella dei consumi energetici.
In sostanza, le rinnovabili non riescono a stare dietro alla domanda di energia
di questi giganti. Secondo un articolo di qz.com, infatti, la stessa Google nel
suo “Environmental Report 2024” ha ammesso che le sue emissioni di carbonio sono
aumentate del 50% rispetto al 2019 e questo nonostante gli investimenti in fonti
pulite.
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Sintetizzando, sono ormai parecchi anni che le piattaforme digitali sono
moderate, con buona pace delle utopie libertarie della rete: la gran parte di
quello che vediamo oggi su internet é gestita, direttamente dalla piattaforme di
riferimento oppure da aziende terze, perché si tratta di ambienti di tipo
commerciale, istituzionale, in definitiva spazi non liberi.
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Approfondimento Dal Digital services act all'AI act
"La moderazione mediata dalle macchine è la regola, con i deludenti risultati
che conosciamo: opere d'arte censurate perché considerate nudi imbarazzanti,
post eliminati e ricorsi che si perdono nei meandri delle big tech."
"Per effetto del Dsa Bruxelles ha bloccato il lancio di TikTok Lite in Europa,
giudicano pericoloso il suo sistema di ricompense per stare sul social perché
genererebbe dipendenza. Anche per Temu e Shein sono scattate le prime richieste
di informazioni su come gestiscono la sorveglianza di prodotti illegali, che se
insoddisfacenti potrebbe costare un'indagine a carico."
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Dopo aver raggiunto il successo le grandi aziende tecnologiche finiscono sempre
con lo sfruttare gli utenti, gli inserzionisti e i lavoratori. È ora di
invertire la rotta, per creare una rete davvero libera
L’anno scorso ho coniato il termine enshittification, merdificazione, per
descrivere il declino delle piattaforme digitali. Questa parolina oscena ha
avuto molto successo: evidentemente riflette lo spirito del tempo. L’American
dialect society l’ha scelta come parola dell’anno del 2023 (per questo, temo,
sulla mia tomba ci sarà inevitabilmente l’emoji della cacca).
Ma cos’è la merdificazione, e perché se n’è parlato tanto? È una mia teoria che
spiega in che modo internet è stata colonizzata dalle piattaforme digitali;
perché si stanno tutte degradando rapidamente e completamente; perché è un fatto
rilevante e cosa possiamo fare per rimediare. Siamo nel pieno di una grande
merdificazione, in cui i servizi su cui facciamo più affidamento si stanno
trasformando in mucchi di merda. È frustrante, demoralizzante, perfino
terrificante.
Cory Doctorow è un giornalista e scrittore canadese. Si occupa di diritti
digitali e sicurezza informatica. È consulente dell’Electronic frontier
foundation, un’organizzazione non profit che difende i diritti digitali e la
libertà d’espressione su internet. Questo articolo è l’adattamento di un
discorso tenuto a gennaio per la Marshall McLuhan lecture all’ambasciata del
Canada di Berlino, in Germania.
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