L’Europa dipende dalle big tech americane, rischiando la sicurezza nazionale.
Servono alternative europee integrate a tutti i livelli dell’infrastruttura
digitale. La collaborazione pubblico-privato e l’open source sono fondamentali
per costruire l’EuroStack e garantire l’indipendenza tecnologica europea
La dipendenza dell’Europa dalle tecnologie digitali americane e cinesi
rappresenta una minaccia significativa per la sua sovranità, sicurezza e
competitività economica. Per affrontare questa sfida, è essenziale sviluppare un
“EuroStack“, un ecosistema digitale integrato che copra tutti i livelli, dai
chip alle applicazioni, garantendo così l’autonomia tecnologica del continente.
L’Eurostack è un’iniziativa proposta dall’Ucl all’Unione Europea per creare un
ecosistema tecnologico indipendente e sovrano, con l’obiettivo di ridurre la
dipendenza da colossi tecnologici stranieri come Alphabet, Amazon, Apple,
Microsoft e altri.
Questo progetto mira a sviluppare infrastrutture digitali completamente europee,
tra cui piattaforme cloud, intelligenza artificiale (AI), reti di
telecomunicazione e software, in linea con i valori europei di protezione dei
dati personali, sovranità digitale e supporto alle imprese locali.
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Tag - sovranità digitale
Le mani sulle reti L’eccezionalismo muskiano sembra una categoria analitica
fallace (come anche «tecnodestra» ma sarebbe un altro discorso) che dietro la
cortina di fumo creata intorno al personaggio rischia di ostacolare la
comprensione di fenomeni strutturali ben più importanti.
Nel dibattito pubblico italiano ed europeo si sta affermando una sorta di
eccezionalismo muskiano. Molti commentatori e politici, infatti, descrivono Elon
Musk come fosse un fenomeno nuovo e totalmente a sé stante nel panorama del
digitale (o, più in generale, dei grandi detentori di capitali). Alcune
questioni di fondo vanno chiarite per evitare di trovarsi spiazzati quando un
altro miliardario tecnocrate, come è adesso il caso di Zuckerberg, compie mosse
che vanno incontro al nuovo potere trumpiano. Dove sarebbe allora questo
eccezionalismo di Musk? Quello che fa veramente la differenza non sono tanto le
sue parole.
Quello che mi sembra di gran lunga più importante è il processo che ha portato
tutti i principali Paesi europei, con l’Italia in prima fila, a consegnare a una
manciata di imprese statunitensi il controllo di tre infrastrutture essenziali,
ovvero, le infrastrutture di comunicazione, archiviazione ed elaborazione delle
informazioni. Stati che non controllino, anche fisicamente, queste
infrastrutture sono, per dirla in maniera delicata, a sovranità limitata.
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Urso, 'avanti con la sovranità digitale' Non si capisce se lo dice con ironia o
è convinto, forse non sa cosa sia Amazon Web Services?
l Consiglio dei ministri ha approvato, oggi, la delibera che dichiara
l'interesse strategico nazionale del programma di investimento iniziale da 1,2
miliardi di euro presentato da Amazon Web Services (AWS), per stabilire ed
espandere l'infrastruttura e i servizi cloud in Italia.
Lo si apprende da una nota derl Mimit.
Il Ministro commenta: "L'investimento di Amazon Web Service consolida il ruolo
dell'Italia come hub europeo d'innovazione. Oggi facciamo un ulteriore passo
verso la sovranità digitale,
Si rimane basiti nel leggere tali dichiarazioni. Si tratta di un provvedimento
che mette la parola fine alla possibilità che i provider italiani ed europei si
sviluppino. Si consegna il cloud ad Amazon e, con altri provvedimenti, ad altri
provider d'oltre oceano. E dichiarano che sono provvedimenti che fanno avanzare
l'Italia verso la sovranità digitale. MA E' UN MEME?
Oltre tutto senza tenere conto della regolamento europeo per la protezione dei
dati (GDPR) che è considerta da molti, compresa la corte europea di giustizia in
conflitto con la normativa USA che regola il cloud.
Sul sito di ANSA la notizia
Il governo ha dato l’ok alla cessione al fondo Usa, che (dicono i documenti
ufficiali) farà profitti stellari tagliando su lavoro e investimenti: il 50% dei
ricavi verrà dall’ex monopolista
La vendita della rete Tim è una vicenda assurda ma tutto avviene alla luce del
sole e forse per questo nessuno si ribella. I numeri mostrano che il governo
Meloni ha fatto un enorme regalo al fondo Usa Kkr. Metterli in fila illumina
anche il modo con cui si vendono a questi giganti pezzi di industria, un pessimo
segnale in vista delle privatizzazioni da 20 miliardi che il ministro Giancarlo
Giorgetti ha promesso ai mercati, cioè ai “fratelli” di Kkr.
Il primo luglio Tim e il gigante Usa da 400 miliardi di asset gestiti hanno
siglato il contratto di vendita dopo mesi di negoziati. Agli americani passa la
rete telefonica e di connessione in rame e fibra per un prezzo di 18,8 miliardi
tra esborso diretto e debito accollato. Lo Stato – tramite il Tesoro – entra
nella partita spendendo due miliardi per il 20% del capitale della nuova società
della rete: “Netco”. Nell’operazione entrano anche il fondo infrastrutturale
italiano F2i che avrà il 10%, mentre il fondo sovrano di Abu Dhabi Adia e il
Canada Pension Plan avranno quote rispettivamente del 20% e del 17,5%. Senza la
rete, alla vecchia Tim resterà la parte servizi, “SerVco”, il cui secondo
azionista (dietro i francesi di Vivendi) è sempre lo Stato, con Cassa depositi e
prestiti (9,8%), che in questa storia ci perde due volte: venendo escluso dalla
partita della rete e rimanendo azionista di una società che da inizio anno, cioè
da quando il governo ha autorizzato la vendita della rete, ha visto il suo
valore in Borsa calare del 24%.
Per i vertici di Tim l’operazione era una via obbligata per salvare la società,
abbattendo il debito da oltre 20 miliardi che zavorra il gruppo, eredità delle
mitiche scalate a debito dei privati (che peraltro sono storicamente il piatto
forte di Kkr). Il punto d’arrivo dell’oscena privatizzazione degli anni Novanta.
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Il primo luglio c'è stata la firma dal notaio per il passaggio della rete
primaria di Tim al fondo americano KKR. La rete e 20mila dipendenti passano così
in Fibercop, la società della rete secondaria di Tim.
L’operazione ha carattere epocale, perché Tim è l’unico grande operatore europeo
che si priva della rete, un asset fondamentale per qualunque operatore Tlc.
Nessun altro ex incumbent europeo, da Telefonica a BT (nonostante la separazione
della rete in Openreach), passando per DT e Orange, si era mai privato del suo
asset principale. Una scommessa, quella sulla Netco, che il mercato guarda con
curiosità ma non senza qualche timore.
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La localizzazione del dato sta diventando sempre di più un "false friend". il 24
giugno Microsoft ha ammesso agli organi di polizia scozzesi che non può
garantire che i dati sensibili delle forze dell'ordine rimangano nel Regno
Unito.
Può sembrare che processare i dati nei confini territoriali dello Stato sia una
garanzia assoluta di sovranità. Purtroppo non è così, intanto perchè banalmente
non sempre accade. Ed il caso inglese è emblematico. Ma comunque c’è sempre un
dato fattuale che non possiamo più far finta di non vedere. L’operatore cloud
extraeuropeo spesso si processa i dati in casa: la sua.
Nella migliore delle ipotesi, tiene fermi i dati degli utenti inattivi, ma gli
altri li porta fuori e sono proprio quelli in elaborazione.
[...]
Di quale sovranità stiamo parlando quando reclamiamo la localizzazione dei dati
nei confini UE? Lo capiamo facilmente seguendo il filo conduttore che ha portato
al rinnovo dell’accordo di data flow UE/US.
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