Meta AI è comparsa su WhatsApp senza preavviso, generando polemiche e
preoccupazioni sulla privacy. Inoltre, l’assistente virtuale introdotto
forzatamente dal gruppo Zuckerberg non può essere disattivato e fornisce
istruzioni fuorvianti per la rimozione.
Avete notato quel pulsantino bianco con un cerchio blu comparso di recente nella
schermata di Whatsapp sul vostro smartphone? Si tratta dell’icona di Meta AI,
l’intelligenza artificiale sviluppata dal gruppo di Mark Zuckerberg. Il sistema,
progettato per essere semplice e intuitivo, garantisce un accesso immediato alla
chatbot, la finestra di conversazione alimentata da Llama 3.2, la versione più
avanzata di AI di Meta, dotata di capacità multimodali.
Violazione della privacy?
Nulla di male, in apparenza. Il problema è che Meta AI è entrato a far parte
della nostra quotidianità, su milioni di schermi, senza alcuna notifica
preventiva, né esplicito consenso.
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Tag - GDPR
Edward Snowden, la gola profonda che nel 2013 ha svelato il programma di
sorveglianza di massa organizzato dall’agenzia di spionaggio civile degli Stati
Uniti, sosteneva che la macchina della tirannia automatizzata fosse già pronta e
che fossimo a un giro di chiave dal suo avviamento. Gli eventi recenti negli Usa
sembrano tristemente confermare questa profezia. E in Europa?
“Siate dunque decisi a non servire mai più e sarete liberi. Non voglio che
scacciate i tiranni e li buttiate giù dal loro trono; basta che non li
sosteniate più, e li vedrete crollare, […] come un colosso a cui sia stato tolto
il basamento”. Étienne de La Boétie, “Discorso sulla servitù volontaria”, 1576.
Giorgio vive a Roma ed è un militante a tempo pieno. Fa parte di un sindacato di
base della scuola, è segretario del circolo di uno dei tanti partiti della
diaspora della sinistra, è femminista, appassionato praticante dell’inclusione
dei suoi allievi con disabilità e non. La sua vita, a parte i rari momenti in
cui riposa o in cui si dedica ai suoi genitori molto anziani, è dedicata a
cercare di ricostruire quel “tessuto collettivo” in cui è cresciuto, negli anni
tra il sessantotto e il settantasette, e che lo ha visto prendere parte poi,
giovanissimo, al movimento ecologista e nonviolento dei primi anni 80.
Leggi l'articolo di Stefano Borroni Barale
La dipendenza europea dall’infrastruttura cloud americana solleva preoccupazioni
sulla sicurezza. Il Cloud Act permette agli USA di accedere ai dati globali,
mettendo a rischio la privacy e la sicurezza nazionale dell’Europa
Cinque settimane di Donald Trump e gli europei stanno scoprendo per la prima
volta quello che Vasco cantava 46 anni fa: non siamo mica gli americani. E non
solo non siamo gli americani, improvvisamente scopriamo che i loro interessi non
coincidono con i nostri. E non solo i loro interessi non coincidono con i
nostri, presto scopriremo che spesso sono opposti.
Indice degli argomenti
* La fine dell’alleanza transatlantica e le conseguenze per l’Europa
* L’incontro Trump-Zelensky e la vera natura della politica estera americana
* Terre rare: l’estorsione di Trump all’Ucraina e il destino dell’Europa
* Il problema dell’infrastruttura cloud e la dipendenza europea dagli Usa
* Il Gdpr e i fallimenti degli accordi per la protezione dei dati
* La soluzione per liberarsi dal cloud americano
* Il ritorno all’hosting come alternativa praticabile
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Dopo le rivelazioni di Snowden, sappiamo che gli Stati Uniti sono impegnati
nella sorveglianza di massa degli utenti dell'UE, raccogliendo dati personali
dalle Big Tech statunitensi. Il "Privacy and Civil Liberties Oversight Board"
(PCLOB) è la principale autorità di controllo statunitense per queste leggi. I
media statunitensi riportano orache i membri democratici del PCLOB sono stati
rimossi e i loro account di posta elettronica sono stati chiusi. Questo porta il
numero di membri nominati al di sotto della soglia necessaria per il
funzionamento del PCLOB. Il fatto che il Presidente degli Stati Uniti abbia
semplicemente rimosso delle persone da un'autorità (presumibilmente)
indipendente, mette in dubbio l'indipendenza di tutti gli altri organi di
ricorso esecutivo negli Stati Uniti.
L'Unione europea si è basata su queste commissioni e tribunali statunitensi per
ritenere che gli Stati Uniti offrano una protezione "adeguata" dei dati
personali. Basandosi sul PCLOB e su altri meccanismi, la Commissione europea
permette ai dati personali europei di fluire liberamente verso gli Stati Uniti
nel cosiddetto "Quadro transatlantico sulla privacy dei dati" (TADPF). Il PCLOB
è l'unico elemento di "supervisione" rilevante dell'accordo. Gli altri elementi
fungono solo da organi di ricorso. Migliaia di aziende, agenzie governative o
scuole dell'UE fanno affidamento su queste disposizioni. Senza il TADPF,
dovrebbero smettere immediatamente di utilizzare i fornitori di cloud
statunitensi come Apple, Google, Microsoft o Amazon.
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La Commissione irlandese per la protezione dei dati (Dpc) ha emesso una sanzione
di 251 milioni di euro nei confronti di Meta, la società madre di Facebook, per
aver trasgredito le normative europee sulla privacy dei dati (Gdpr).
La multa, annunciata martedì 17 dicembre, è il risultato di un’indagine su una
violazione di sicurezza risalente a luglio 2017, che ha compromesso oltre tre
milioni di account nel territorio dell’Unione Europea.
“Gli individui sono stati esposti a rischi significativi per i loro diritti
fondamentali a causa della mancata integrazione dei requisiti di protezione dei
dati”, ha affermato Graham Doyle, vice commissario del Dpc irlandese.
La falla è stata causata da un errore di progettazione nella piattaforma
Facebook, che ha consentito a soggetti non autorizzati di accedere a profili
utente non altrimenti visibili.
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Sta circolando un’accusa pesante che riguarda il popolarissimo software Word di
Microsoft: userebbe i testi scritti dagli utenti per addestrare l’intelligenza
artificiale dell’azienda. Se l’accusa fosse confermata, le implicazioni in
termini di privacy, confidenzialità e diritto d’autore sarebbero estremamente
serie.
Questa è la storia di quest’accusa, dei dati che fin qui la avvalorano, e di
come eventualmente rimediare. Benvenuti alla puntata del 25 novembre 2024 del
Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie
e alle storie strane dell’informatica.
Le intelligenze artificiali hanno bisogno di dati sui quali addestrarsi. Tanti,
tanti dati: più ne hanno, più diventano capaci di fornire risposte utili.
Un’intelligenza artificiale che elabora testi, per esempio, deve acquisire non
miliardi, ma migliaia di miliardi di parole per funzionare decentemente.
Procurarsi così tanto testo non è facile, e quindi le aziende che sviluppano
intelligenze artificiali pescano dove possono: non solo libri digitalizzati ma
anche pagine Web, articoli di Wikipedia, post sui social network. E ancora non
basta. Secondo le indagini del New York Times, OpenAI, l’azienda che sviluppa
ChatGPT, aveva già esaurito nel 2021 ogni fonte di testo in inglese
pubblicamente disponibile su Internet.
Per sfamare l’appetito incontenibile della sua intelligenza artificiale, OpenAI
ha creato uno strumento di riconoscimento vocale, chiamato Whisper, che
trascriveva il parlato dei video di YouTube e quindi produceva nuovi testi sui
quali continuare ad addestrare ChatGPT. Whisper ha trascritto oltre un milione
di ore di video di YouTube, e dall’addestramento basato su quei testi è nato
ChatGPT 4.
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Nel suo rapporto Draghi dice che non possiamo avere una forte tutela dei diritti
fondamentali e allo stesso tempo aspettarci di promuovere l’innovazione. La
critica è rivolta in particolare al GDPR, che protegge i nostri dati personali.
Ma è una critica senza fondamento.
Tra le cause della scarsa competitività delle imprese europee nei settori
avanzati dell’informatica, oggi chiamata “intelligenza artificiale”, il rapporto
Draghi individua la regolamentazione dell’Unione Europea sull’uso dei dati1.
Considerata troppo complessa e onerosa rispetto ai sistemi in vigore nei
principali paesi leader, come USA e Cina, tale regolamentazione penalizzerebbe i
ricercatori e gli innovatori europei impegnati nella competizione globale.
[...]
Il senso è chiaro: non possiamo avere una forte tutela dei diritti fondamentali
e allo stesso tempo aspettarci di promuovere l’innovazione. Il trade-off è
inevitabile, e prepariamoci ad affrontarlo.
Ma quali sarebbero gli ostacoli che questa “strong ex ante regulatory safeguard”
pone all’innovazione e alla competitività delle imprese europee? Il rapporto
Draghi ne individua tre: i) il GDPR impone oneri alle imprese europee impegnate
nei settori di punta dell’intelligenza artificiale che le penalizzano rispetto
ai concorrenti USA e cinesi; ii) l’applicazione frammentaria e incoerente del
GDPR crea incertezza sull’uso legittimo dei dati e iii) questa incertezza
impedisce, in modo particolare, l’uso efficiente dei dati sanitari per lo
sviluppo di strumenti di intelligenza artificiale nel settore medico e
farmaceutico.
Verifichiamo se gli argomenti a sostegno di queste tesi possono reggere a
un’analisi un po’ approfondita.
Leggi l'articolo di Maurizio Borghi
L'Alta Corte dell'Unione Europea ha emesso una sentenza che limita l'uso dei
dati personali degli utenti da parte di Meta e altre piattaforme social per
scopi pubblicitari. La decisione, in linea con un parere precedente di un
consulente della corte, impone restrizioni sulla durata della conservazione
delle informazioni personali per il targeting degli annunci.
La sentenza fa riferimento al Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati
(GDPR) dell'UE, istituito nel 2018. In particolare, si basa sul Recital 65 del
GDPR, che stabilisce il "diritto all'oblio" e il diritto alla rettifica e
cancellazione dei dati personali. La mancata conformità al GDPR potrebbe
comportare sanzioni fino al 4% del fatturato annuo globale, cifra che per
colossi come Meta potrebbe ammontare a miliardi di euro.
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La Data Protection Commission (DPC), l’autorità irlandese che si occupa di
privacy e che agisce in materia per conto dell’Unione Europea, ha multato Meta
per 91 milioni di euro per non aver tutelato in maniera adeguata le password dei
suoi utenti.
Meta è la società statunitense che controlla Facebook, Instagram e WhatsApp e la
sanzione è stata stabilita in seguito a indagini cominciate nell’aprile del
2019, quando Meta aveva avvisato l’ente irlandese di aver inavvertitamente
conservato le password nei suoi sistemi interni senza che fossero criptate: è
una violazione del Regolamento generale dell’Unione Europea sulla protezione dei
dati (GDPR), la legge europea in vigore dal maggio del 2018 e pensata per
rafforzare la protezione dei dati personali dei cittadini e dei residenti
dell’Unione Europea.
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Vinted, la nota piattaforma online di abbigliamento di seconda mano con oltre
100 milioni di utenti in tutto il mondo avrebbe violato il Gdpr, e per questo è
stata condannata a pagare una multa di € 2.385.276.
Le autorità avevano denunciato delle “difficoltà incontrate da parte degli
interessati nell’esercizio del loro diritto alla cancellazione dei dati", a cui
Vinted avrebbe omesso di dare seguito senza fornire specifiche motivazioni, e
senza chiarire perché in certi ambiti il trattamento dei dati degli utenti
sarebbe proseguito anche dopo la loro richiesta di cancellazione.
In Italia Vinted era stata già sanzionata nel 2022 dall’Antitrust con una multa
di 1,5 milioni di euro per aver dato informazioni “ingannevoli e scorrette” agli
utenti.
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