Palantir è probabilmente una delle aziende più controverse dell’America
contemporanea. Cofondata dal miliardario tech libertario Peter Thiel, il lavoro
della società di software con l’Immigration and Customs Enforcement (ICE), il
Dipartimento della Difesa statunitense e l’esercito israeliano ha scatenato
numerose proteste in più Paesi.
Una recente inchiesta di Wired prova a spiegare cosa fa, grazie a interviste a
ex dipendenti.
“È davvero difficile spiegare su cosa lavori Palantir o cosa faccia”, dice Linda
Xia, ingegnere in Palantir dal 2022 al 2024. “Anche per chi ci ha lavorato, è
difficile capire come dare una spiegazione coerente.” Xia è una dei 13 ex membri
dello staff che a maggio hanno firmato una lettera aperta sostenendo che
l’azienda rischia di essere complice dell’autoritarismo continuando a
collaborare con l’amministrazione Trump.
Lei e altri ex dipendenti intervistati da WIRED per questo articolo sostengono
che, per affrontare il tema Palantir e il suo ruolo nel mondo — e, ancor più,
per chiedere conto delle sue azioni — bisogna prima capire cosa sia davvero. Non
è che gli ex dipendenti non sappiano letteralmente cosa Palantir venda.
Ciò che in definitiva vende non è solo software, ma l’idea di una soluzione
senza attriti, quasi magica, a problemi complessi. Per farlo, Palantir usa
spesso il linguaggio e l’estetica della guerra, presentandosi come un potente
partner di intelligence quasi militare.
Al di là del gergo e del marketing, Palantir vende strumenti che clienti come
aziende, ONG e agenzie governative usano per analizzare i dati. Ciò che la
distingue è la scala e l’ampiezza delle sue soluzioni. L’offerta è di sostituire
una dozzina di programmi e dashboard con un solo sistema.
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Il colosso cinese dell’e-commerce JD.com ha annunciato l’acquisizione del gruppo
tedesco Ceconomy, la holding tedesca che controlla MediaMarkt e Saturn.
L’operazione regala al dragone rosso l’accesso a due marchi simbolo del retail
tecnologico tedesco e italiano: MediaWorld e Unieuro. Con il controllo di
Ceconomy, JD.com ottiene, infatti, un accesso indiretto anche a Unieuro, in
quanto, la holding tedesca detiene il 23,4 % della francese Fnac Darty, che nel
2024 ha acquistato la catena italiana.
Si tratta di un affare da 2,2 miliardi di euro, con un’offerta pubblica
d’acquisto al prezzo di 4,60 euro per azione. Una mossa studiata nei minimi
dettagli: JD.com acquisisce così una rete distributiva imponente con 48.000
dipendenti, oltre 22 miliardi di euro di fatturato (dati 2023/2024) e una
presenza in 11 Paesi. In Italia, dove MediaWorld è il secondo mercato per volumi
dopo la Germania, la rete conta 144 negozi e 5.000 lavoratori. Il completamento
dell’operazione è previsto per la prima metà del 2026, dopo il monitoraggio e il
via libera delle autorità antitrust europee. La mossa non è solo economica, ma
geopolitica e in Italia dovrebbe accendere più di un campanello d’allarme.
JD.com – terzo player cinese dell’e-commerce dopo Alibaba e Pinduoduo – non è
nuovo ai colpi di scena. Già attivo in Francia, Regno Unito e Paesi Bassi con la
sua piattaforma Ochama, ora entra dalla porta principale nel Vecchio Continente
con l’acquisizione di Ceconomy. Fondata nel 1998 da Richard Liu con il nome
360Buy, JD.com è diventata negli anni una delle realtà più avanzate
dell’e-commerce globale, distinguendosi per una strategia radicalmente diversa
dai competitor cinesi come Alibaba e Temu. Mentre questi ultimi si affidano a
modelli marketplace aperti a venditori terzi, JD.com controlla direttamente
l’intera filiera, dalla logistica alla consegna, fino alla piattaforma
tecnologica. In Cina può contare su oltre 820 magazzini, più di 37.600 veicoli
per le consegne e una forza lavoro logistica di oltre 323 mila persone.
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LA DENUNCIA DELLE ASSOCIAZIONI PER I DIRITTI DIGITALI «Vengono utilizzati per
facilitare gli omicidi indiscriminati» nella Striscia
Sì, anche i dati. Fornisce soldi e armi per il genocidio, aiuta nella ricerca di
nuovi strumenti per lo sterminio. Ma questo lo sanno tutti, lo conferma la «non
sospensione» dell’accordo di associazione di poche settimane fa. Pochi, però,
sanno che l’Europa fa di più: fornisce, “regala” ad Israele anche i dati dei
suoi cittadini. Che in qualche modo aiutano quel genocidio, sono un “pezzo” del
genocidio.
BENINTESO, la notizia non è nuova. Perché in Europa funziona così: c’è il Gdpr –
la più avanzata delle leggi in materia di privacy e che, non a caso,
infastidisce il comitato di big tech che governa gli Usa – che regola e vieta
nel vecchio continente l’estrazione delle informazioni sugli utenti digitali.
Nel resto del mondo però non ci sono le stesse norme. Così l’Europa – quando i
diritti contavano, all’epoca di Rodotà per capirci – decise che i dati personali
potevano essere trattati da paesi extra europei solo se garantivano gli stessi
standard, la stessa protezione.
Un tema delicatissimo – lo si intuisce – perché i server dei colossi digitali
più usati hanno tutti sede negli States, dove le leggi in materia semplicemente
non esistono. E questo ha dato vita a molti contenziosi, per ora tutti vinti dai
difensori dei diritti, l’ultimo dei quali deve ancora concludere il suo iter.
Ma questo è un altro discorso. Qui si parla di Israele. Otto mesi dopo l’avvio
delle stragi a Gaza, 50 associazioni si rivolsero alla commissione di Bruxelles
perché era già evidente che non esistessero più le condizioni – se mai ci
fossero state – per definire «adeguata» la protezione dei dati europei in
Israele. Di più: le organizzazioni rammentavano che la reciprocità nell’uso dei
dati può avvenire solo – è scritto testualmente – con paesi e governi che
assicurino il «rispetto dei diritti umani».
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Long story short: l'8 marzo 2024 la Commissione Europea, con il supporto
dell'EDPB, il Garante Europeo, ha riscontrato una serie di criticità e
violazioni, 180 pagine per descrivere minuziosamente le ragioni per le quali
office356 fa talmente schifo da non poter essere utilizzato dagli enti,
istituzioni e organi dell'Unione Europea.
Dopo varie interlocuzioni e modifiche, l'11 luglio l'EDPB ha chiuso l'indagine
confermando la risoluzione delle problematiche precedentemente riscontrate.
Oggi, 28 luglio, la Commissione Europea ha emanato un comunicato dichiarando la
conformità di Microsoft 365 alla normativa in materia di protezione dei dati
applicabile (che non è il GDPR ma quasi... qui si applica il regolamento UE
2018/1725)
L'EDPS (che non è l'EDPB ma quasi) ha eslamato giubilante:
"Grazie alla nostra indagine approfondita e al seguito dato dalla Commissione,
abbiamo contribuito congiuntamente a un significativo miglioramento della
conformità alla protezione dei dati nell'uso di Microsoft 365 da parte della
Commissione. La Corte riconosce e apprezza inoltre gli sforzi compiuti da
Microsoft per allinearsi ai requisiti della Commissione derivanti dalla
decisione del GEPD del marzo 2024. Si tratta di un successo significativo e
condiviso e di un segnale forte di ciò che può essere conseguito attraverso una
cooperazione costruttiva e una vigilanza efficace."
Cosa è successo? Cosa potrà mai essere accaduto, nel frattempo, per consentire a
Microsoft Office365 di entrare trionfante nel valhalla, accompagnato dalla
immortale musica di Wagner?
Perché non mi sento affatto tranquillo? Beh, forse io non faccio testo...
Leggi l'articolo di Christian Bernieri
Il 9 maggio 2025, il procuratore generale del Texas, Ken Paxton, ha annunciato
un accordo storico con Google, che pagherà un maxi risarcimento di 1,375
miliardi di dollari per chiudere due cause legali intentate nel 2022 e
riguardanti gravi violazioni della privacy dei consumatori.
Secondo le accuse, il colosso tecnologico di Mountain View avrebbe violato la
privacy degli utenti texani senza il loro consenso esplicito, e in particolare
avrebbe:
* raccolto dati biometrici, come impronte vocali e geometria facciale,
attraverso servizi come Google Photos e Google Assistant
* tracciato la posizione degli utenti anche quando la funzione di
geolocalizzazione era disattivata
* pubblicizzato in modo ingannevole le funzionalità della modalità “Incognito”
come strumento di navigazione privata, mentre in realtà continuava a
raccogliere dati sulle attività online degli utenti
L'articolo completo qui
La Commissione irlandese per la protezione dei dati (Dpc) annuncia una multa di
530 milioni di euro a TikTok, accusata di aver inviato illegalmente i dati degli
utenti europei in Cina.
L’accusa dell’autorità è di aver trasferito illecitamente i dati degli utenti
europei in Cina, aumentando per altro le tensioni e lo scetticismo (soprattutto
dei legislatori occidentali) nei confronti di Bytedance, l’azienda di Pechino
proprietaria del social network.
L’importo della multa è superiore alle indiscrezioni che erano trapelate a
inizio mese ed è la terza sanzione più alta di sempre, dopo quelle ad Amazon
(746 milioni) e Meta-Facebook (1,2 miliardi).
Fonte RaiNews.it
Dopo lo stop dello scorso anno, Meta inzierà presto ad addestrare i suoi modelli
di intelligenza artificiale in Europa sulla base dei post e dei commenti
pubblici degli utenti maggiorenni. L'obiettivo è insegnare all'IA a "comprendere
e riflettere meglio culture, lingue e storie" per "consentire di supportare
meglio milioni di persone e aziende in Europa", sottolinea la società di Mark
Zuckerberg.
Si può scegliere di opporsi compilando un modulo. Con tale modulo non si
disattiverà Meta AI (in molti in queste ore vorrebbero eliminarlo da WhatsApp o
dalle chat di Instagram e Facebook, ma non sembra possibile). Semplicemente
aderendo, i propri dati non dovrebbero più confluire tra quelli usati
dall’algoritmo per apprendere e migliorarsi.
C’è però un discrimine importante, come avverte Facebook: “Potremmo comunque
trattare le informazioni che ti riguardano per sviluppare e migliorare l’IA su
Meta, anche se ti opponi o non usi i nostri Prodotti. Ad esempio, questo
potrebbe accadere se tu o le tue informazioni: apparite in un’immagine condivisa
con tutti sui nostri Prodotti da qualcuno che li usa; siete menzionati nei post
o nelle didascalie che qualcun altro condivide sui nostri Prodotti”. Una deroga
che potrebbe aprire un nuovo fronte tra Meta e le autorità europee.
Approfondimenti qui e qui
Meta inizierà ad addestrare la sua IA generativa usando contenuti pubblici
condivisi da utenti adulti in Europa. Gli utenti riceveranno notifiche non solo
per essere informati sulla novità, ma anche per esercitare il diritto di
opposizione.
Dopo lo stop dello scorso anno, Meta ha annunciato che anche in Europa inizierà
ad addestrare i suoi modelli linguistici sfruttando i contenuti pubblici
condivisi dagli utenti adulti sui social, insieme alle interazioni con Meta AI.
Una svolta che punta a rendere l'IA più vicina alle specificità culturali,
linguistiche e storiche del Vecchio Continente, ma che riaccende anche il
dibattito sulla privacy.
A partire da questa settimana, gli utenti maggiorenni dell'Unione Europea che
utilizzano piattaforme come Facebook, Instagram e WhatsApp inizieranno a
ricevere notifiche - via app ed email - per informarli su quali dati verranno
utilizzati e con quale scopo. Ogni notifica conterrà anche un link diretto a un
modulo per esercitare il diritto di opposizione: chi non desidera che i propri
dati vengano utilizzati per addestrare l'IA potrà negare il consenso.
Articolo completo qui
Il suo ’Dipartimento’ ora appare come un’iniziativa che unisce la retorica
dell’efficienza ad un approccio ingegneristico al “problema” del governo
federale. E scompaiono migliaia di ’dataset’ dai siti federali, relativi a
genere, sanità, sessualità, inquinamento, disuguaglianza sociale e cambio
climatico: i dati di un’agenda progressista
Uno degli aspetti che più colpiscono di questo primo mese di amministrazione
Trump è stata la velocità con cui si è mosso il minuscolo esercito guidato da
Elon Musk sotto le insegne del dipartimento per l’efficienza governativa (DOGE).
Da qualche settimana, questi ventenni – tra loro molti ingegneri informatici –
stanno scorrazzando nei corridoi del potere di Washington, richiedendo accesso a
informazioni riservate, e spedendo email di massa a migliaia di dipendenti – con
effetti che vanno dall’incredulità al caos amministrativo. Vari osservatori
hanno paragonato il loro entusiasmo zelante a quello di squadristi e camice
brune e Musk, a cui non dispiace indulgere nell’immaginario della destra
radicale, li ha definiti i suoi “spartani”.
In realtà il modello per l’azione di questi novelli agenti del caos è molto più
vicino: è Silicon Valley. Il motto move fast and break things si adatta
perfettamente a quello che stanno facendo, come pure il verbo preferito dal
mondo tech: to disrupt, che potrebbe essere tradotto letteralmente come produrre
caos.
Leggi l'articolo su Il Manifesto
L’authority italiana chiede alle società cinesi una risposta entro 20 giorni.
Il Garante per la protezione dei dati personali ha inviato una richiesta di
informazioni a Hangzhou DeepSeek Artificial Intelligence e a Beijing DeepSeek
Artificial Intelligence, le società che forniscono il servizio di chatbot
DeepSeek, sia su piattaforma web che su App. E’ quanto si legge in una nota
dell’autorità che ha valutato «l’eventuale alto rischio per i dati di milioni di
persone in Italia».
Il Garante «ha chiesto alle due società e alle loro affiliate di confermare
quali siano i dati personali raccolti, da quali fonti, per quali finalità, quale
sia la base giuridica del trattamento, e se siano conservati su server collocati
in Cina».
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