Microsoft collabora con l'unità 8200, facilitando sorveglianza e attacchi a Gaza
e Cisgiordania
Nel tardo 2021, il CEO di Microsoft, Satya Nadella, ha incontrato Yossi Sariel,
comandante dell’unità di intelligence israeliana Unit 8200, presso la sede
dell’azienda vicino a Seattle. Oggetto del colloquio: trasferire una quantità
enorme di materiale segreto nei server cloud di Microsoft.
L’accordo – rivelato da Guardian – prevedeva la creazione di un’area riservata
all’interno della piattaforma Azure, dove Unit 8200 ha iniziato a costruire un
nuovo sistema di sorveglianza di massa. Questo strumento raccoglie e archivia
quotidianamente milioni di telefonate di palestinesi nella Striscia di Gaza e in
Cisgiordania, consentendo l’accesso retroattivo ai contenuti delle
conversazioni.
Rivelato per la prima volta da un’indagine congiunta del Guardian, del magazine
+972 e del sito Local Call, il sistema è operativo dal 2022. Microsoft sostiene
che Nadella non fosse a conoscenza della natura dei dati che Unit 8200 intendeva
archiviare. Tuttavia, documenti interni e testimonianze di 11 fonti tra
Microsoft e ambienti militari israeliani indicano che Azure è stato utilizzato
per conservare un vasto archivio di comunicazioni quotidiane palestinesi.
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Durante la scorsa edizione di Hackmeeting è stato presentato un piccolo e
prezioso opuscolo sull'uso delle mail dal titolo "Aprite quella posta".
L’email è uno degli strumenti di telecomunicazione più vecchi che ancora
utilizziamo. Non è un sistema perfetto: molte delle sue caratteristiche sono dei
rimasugli tecnici, in un mondo che ormai si è trasformato. Eppure continua a
tornarci utile.
Anzitutto, si tratta di uno strumento longevo: l’email non è ancora morta, e non
morirà per un bel po’, nonostante il suo uso si stia trasformando.
L’email è una sorta di lingua franca: forse nessuno si sentirebbe di definirlo
il proprio strumento preferito, ma praticamente chiunque ne ha una e spesso
risulta di fatto il metodo più efficace per stabilire una comunicazione.
L’email è un sistema non nominativo: questo la distingue da Whatsapp, Telegram,
Signal, Facebook, Instagram, i quali per funzionare richiedono un’identità
(spesso in forma di numero telefonico). Come email puoi scegliere un nome
totalmente immaginario, puoi averne quante ne vuoi e associare a ciascuna un
contesto e un’identità diversa, non necessariamente collegabile alla tua
anagrafica.
L’email è un sistema federato: non è nelle mani di una singola entità, ma è il
risultato della collaborazione tra server eterogenei per natura e dimensione.
Ma soprattutto, è un sistema flessibile
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Indice
* Introduzione
* Glossario
* Creare una casella email
* Scrivere
* Trovare
* Buttare
* Mailing list
* Newsletter
* Email collettive
* Software
* Per chi gestisce server di posta
Il caso di Jason Lemkin, dirigente d’impresa e investitore, che si è lasciato
ammaliare dalle promesse dell’azienda di IA Replit, rischiando di perdere
l’intero database di produzione: il cuore pulsante della sua attività
professionale.
A partire dal 12 luglio, il co-fondatore di Adobe EchoSign e SaaStr ha
documentato via blog la sua esperienza personale con il vibe coding. Il primo
approccio è stato idilliaco: adoperando un linguaggio naturale, il manager è
riuscito “in una manciata di ore a costruire un prototipo che era molto, molto
fico”. Un inizio estremamente promettente, soprattutto considerando che Replit
si propone alle aziende come una soluzione accessibile anche a chi ha “zero
competenze nella programmazione”, promettendo di far risparmiare alle aziende
centinaia di migliaia di dollari. Leggendo tra le righe, la promessa implicita è
chiara: sostituire i tecnici formati con personale più economico, supportato
dall’IA.
La premessa, tuttavia, è stata presto messa alla prova. “Dopo tre giorni e mezzo
dall’inizio del mio nuovo progetto, ho controllato i costi su Replit: 607,70
dollari aggiuntivi oltre al piano d’abbonamento da 25 dollari al mese. Altri 200
dollari solo ieri”, ha rivelato Lemkin. “A questo ritmo, è probabile che
spenderò 8.000 dollari al mese. E sapete una cosa? Neanche mi dispiace”. Anche
perché, a detta del manager, sperimentare con il vibe coding è una “pura scarica
di dopamina”, e Replit è “l’app più assuefacente” che abbia mai usato.
Dopo poco, il manager si è reso conto che...
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Il colosso cinese dell’e-commerce JD.com ha annunciato l’acquisizione del gruppo
tedesco Ceconomy, la holding tedesca che controlla MediaMarkt e Saturn.
L’operazione regala al dragone rosso l’accesso a due marchi simbolo del retail
tecnologico tedesco e italiano: MediaWorld e Unieuro. Con il controllo di
Ceconomy, JD.com ottiene, infatti, un accesso indiretto anche a Unieuro, in
quanto, la holding tedesca detiene il 23,4 % della francese Fnac Darty, che nel
2024 ha acquistato la catena italiana.
Si tratta di un affare da 2,2 miliardi di euro, con un’offerta pubblica
d’acquisto al prezzo di 4,60 euro per azione. Una mossa studiata nei minimi
dettagli: JD.com acquisisce così una rete distributiva imponente con 48.000
dipendenti, oltre 22 miliardi di euro di fatturato (dati 2023/2024) e una
presenza in 11 Paesi. In Italia, dove MediaWorld è il secondo mercato per volumi
dopo la Germania, la rete conta 144 negozi e 5.000 lavoratori. Il completamento
dell’operazione è previsto per la prima metà del 2026, dopo il monitoraggio e il
via libera delle autorità antitrust europee. La mossa non è solo economica, ma
geopolitica e in Italia dovrebbe accendere più di un campanello d’allarme.
JD.com – terzo player cinese dell’e-commerce dopo Alibaba e Pinduoduo – non è
nuovo ai colpi di scena. Già attivo in Francia, Regno Unito e Paesi Bassi con la
sua piattaforma Ochama, ora entra dalla porta principale nel Vecchio Continente
con l’acquisizione di Ceconomy. Fondata nel 1998 da Richard Liu con il nome
360Buy, JD.com è diventata negli anni una delle realtà più avanzate
dell’e-commerce globale, distinguendosi per una strategia radicalmente diversa
dai competitor cinesi come Alibaba e Temu. Mentre questi ultimi si affidano a
modelli marketplace aperti a venditori terzi, JD.com controlla direttamente
l’intera filiera, dalla logistica alla consegna, fino alla piattaforma
tecnologica. In Cina può contare su oltre 820 magazzini, più di 37.600 veicoli
per le consegne e una forza lavoro logistica di oltre 323 mila persone.
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LA DENUNCIA DELLE ASSOCIAZIONI PER I DIRITTI DIGITALI «Vengono utilizzati per
facilitare gli omicidi indiscriminati» nella Striscia
Sì, anche i dati. Fornisce soldi e armi per il genocidio, aiuta nella ricerca di
nuovi strumenti per lo sterminio. Ma questo lo sanno tutti, lo conferma la «non
sospensione» dell’accordo di associazione di poche settimane fa. Pochi, però,
sanno che l’Europa fa di più: fornisce, “regala” ad Israele anche i dati dei
suoi cittadini. Che in qualche modo aiutano quel genocidio, sono un “pezzo” del
genocidio.
BENINTESO, la notizia non è nuova. Perché in Europa funziona così: c’è il Gdpr –
la più avanzata delle leggi in materia di privacy e che, non a caso,
infastidisce il comitato di big tech che governa gli Usa – che regola e vieta
nel vecchio continente l’estrazione delle informazioni sugli utenti digitali.
Nel resto del mondo però non ci sono le stesse norme. Così l’Europa – quando i
diritti contavano, all’epoca di Rodotà per capirci – decise che i dati personali
potevano essere trattati da paesi extra europei solo se garantivano gli stessi
standard, la stessa protezione.
Un tema delicatissimo – lo si intuisce – perché i server dei colossi digitali
più usati hanno tutti sede negli States, dove le leggi in materia semplicemente
non esistono. E questo ha dato vita a molti contenziosi, per ora tutti vinti dai
difensori dei diritti, l’ultimo dei quali deve ancora concludere il suo iter.
Ma questo è un altro discorso. Qui si parla di Israele. Otto mesi dopo l’avvio
delle stragi a Gaza, 50 associazioni si rivolsero alla commissione di Bruxelles
perché era già evidente che non esistessero più le condizioni – se mai ci
fossero state – per definire «adeguata» la protezione dei dati europei in
Israele. Di più: le organizzazioni rammentavano che la reciprocità nell’uso dei
dati può avvenire solo – è scritto testualmente – con paesi e governi che
assicurino il «rispetto dei diritti umani».
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Long story short: l'8 marzo 2024 la Commissione Europea, con il supporto
dell'EDPB, il Garante Europeo, ha riscontrato una serie di criticità e
violazioni, 180 pagine per descrivere minuziosamente le ragioni per le quali
office356 fa talmente schifo da non poter essere utilizzato dagli enti,
istituzioni e organi dell'Unione Europea.
Dopo varie interlocuzioni e modifiche, l'11 luglio l'EDPB ha chiuso l'indagine
confermando la risoluzione delle problematiche precedentemente riscontrate.
Oggi, 28 luglio, la Commissione Europea ha emanato un comunicato dichiarando la
conformità di Microsoft 365 alla normativa in materia di protezione dei dati
applicabile (che non è il GDPR ma quasi... qui si applica il regolamento UE
2018/1725)
L'EDPS (che non è l'EDPB ma quasi) ha eslamato giubilante:
"Grazie alla nostra indagine approfondita e al seguito dato dalla Commissione,
abbiamo contribuito congiuntamente a un significativo miglioramento della
conformità alla protezione dei dati nell'uso di Microsoft 365 da parte della
Commissione. La Corte riconosce e apprezza inoltre gli sforzi compiuti da
Microsoft per allinearsi ai requisiti della Commissione derivanti dalla
decisione del GEPD del marzo 2024. Si tratta di un successo significativo e
condiviso e di un segnale forte di ciò che può essere conseguito attraverso una
cooperazione costruttiva e una vigilanza efficace."
Cosa è successo? Cosa potrà mai essere accaduto, nel frattempo, per consentire a
Microsoft Office365 di entrare trionfante nel valhalla, accompagnato dalla
immortale musica di Wagner?
Perché non mi sento affatto tranquillo? Beh, forse io non faccio testo...
Leggi l'articolo di Christian Bernieri
Il direttore degli affari pubblici e giuridici di Microsoft Francia ha
dichiarato, di fronte a una commissione del Senato francese, che l'azienda non
può garantire che i dati dei cittadini francesi custoditi sui server in Europa
non verranno trasmessi al governo statunitense. Si tratta di una dichiarazione
estremamente importante, in particolare nell'ambito del dibattito attuale legato
alla sovranità digitale europea.
Era il 10 giugno scorso quando Anton Carniaux, direttore degli affari pubblici e
giuridici per Microsoft Francia, ha testimoniato di fronte al Senato francese
per parlare degli ordini che l'azienda riceve tramite l'Union des groupements
d'achats publics (UGAP), ovvero un ente che si occupa di centralizzare
l'acquisto di beni e servizi per scuole e comuni.
Carniaux ha affermato, durante la sua testimonianza, che Microsoft non può
garantire che i dati dei cittadini francesi non vengano trasferiti verso gli USA
a seguito di una richiesta del governo statunitense, ma altresì che una tale
richiesta di trasferimento non è mai avvenuta. Il CLOUD Act, diventato legge nel
2018, fa infatti sì che il governo statunitense possa richiedere accesso ai dati
contenuti nei data center delle aziende americane, anche quando tali dati sono
fisicamente localizzati in altri Paesi.
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Per conformarsi a un ordine esecutivo del presidente americano Donald Trump, nei
mesi scorsi Microsoft ha sospeso l’account email di Karim Khan, procuratore
della Corte penale internazionale che stava investigando su Israele per crimini
di guerra. Per anni, scrive il New York Times, Microsoft ha fornito servizi
email al tribunale con sede a L’Aja, riconosciuto da 125 paesi tra cui l’Italia
(ma non da Stati Uniti, Israele, Cina, Russia e altri).
All’improvviso, il colosso di Redmond ha staccato la spina al magistrato per via
dell’ordine esecutivo firmato da Trump che impedisce alle aziende americane di
fornirgli servizi: secondo il successore di Biden, le azioni della Corte contro
Netanyahu “costituiscono una inusuale e straordinaria minaccia alla sicurezza
nazionale e alla politica estera degli Stati Uniti”. Così, di punto in bianco,
il procuratore non ha più potuto comunicare con i colleghi.
[...]
Le conseguenze non si sono fatte attendere. Tre dipendenti con contezza della
situazione hanno rivelato al quotidiano newyorchese che alcuni membri dello
staff della Corte si sarebbero rivolti all’azienda svizzera Protonmail per poter
continuare a lavorare in sicurezza. Il giornale non chiarisce il perché della
decisione, né se tra essi vi sia lo stesso Khan. Una conferma al riguardo arriva
dall’agenzia Associated Press. Protonmail, contattata da Guerre di Rete, non ha
commentato, spiegando di non rivelare informazioni personali sui clienti per
questioni di privacy e di sicurezza.
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Riporto un testo di Alberto Messina apparso su Linkedin.
E' da tempo che rimescolo nella testa un’analogia un po’ strana, ma che continua
a sembrarmi feconda - oggi voglio condividerla per divertirmi con voi in qualche
discussione:
Il testo generato da un LLM sta al linguaggio umano come i numeri razionali
stanno ai numeri reali.
A prima vista può sembrare poetica o azzardata, a seconda vista una
supercazzola, ma esprime un punto per me importante. I numeri razionali sono
densi: tra due numeri reali qualsiasi, ce n’è sempre uno razionale. Computabili,
regolari, enumerabili, possiamo generarli con regole fisse. I numeri reali,
invece, includono gli irrazionali: incomprimibili, non numerabili, e molti di
essi non possono essere calcolati da alcun algoritmo in maniera compiuta in un
tempo finito.
Ora pensiamo ai LLM.
Essi generano testo prevedendo statisticamente il prossimo token, sulla base di
grandi quantità di dati. Il risultato è fluente e denso nello spazio delle frasi
plausibili. Ma, come i razionali, questa fluidità è vincolata: nasce da
operazioni computabili, all’interno di un set finito di token. Non possono
autonomamente inventare nuovi token, né deviare radicalmente dal sistema che li
genera. Il linguaggio umano, invece, è un continuo creativo e aperto. Esso è
situato in corpi, culture, storie, è affettivo, ambiguo, non deterministico. E'
espandibile: possiamo coniare parole, sovvertire grammatiche, rompere
aspettative. E' onomatopeico e sonoro: possiamo dire “zot!”, “sgnac”, “brummm”,
“fiuuu”, senza regole o significati condivisi, ma certi che qualcuno capirà.
Infine, è spesso non computabile non perché sia casuale, ma perché è immerso in
una realtà vissuta e storicamente aperta.
Una differenza profonda emerge anche dall'analogia con un principio dell’analisi
matematica: l’assioma degli intervalli incapsulati: in ℝ una sequenza di
intervalli "sempre più stretti" converge a un punto esatto (si perdoni la
sintesi).
Nel linguaggio umano, possiamo raffinare indefinitamente ciò che vogliamo dire,
e arriviamo proprio al significato, a quel concetto vissuto e condiviso con gli
altri.
In un LLM, al contrario, anche con prompt sempre più precisi, si resta sempre
intorno, in una serie di approssimazioni che non contengono mai davvero il
punto. A me capita spesso di interagire son un chatbot per qualche minuto e poi
di uscire dall'interazione per completare, per dare la pennellata essenziale al
concetto.
Come le approssimazioni razionali di π, il testo di un LLM può avvicinarsi molto
a quello umano. Ma c’è sempre un residuo, qualcosa che manca: la trama stessa
del significato, dell’intenzione, della possibilità inventiva, del puro gioco
fonico.
Questo non è un rifiuto dei LLM le loro capacità sono straordinarie. E' un
promemoria: la fluidità sintattica non equivale alla profondità semantica. E
l’approssimazione statistica non è comunicazione vissuta.
Non scambiamo uno spazio denso per un continuum reale.
Restiamo curiosi su ciò che questi modelli possono fare ma anche lucidi su ciò
che non possono.
Il testo originale è su Linkedin