Il 28 giugno 2025 è entrata in vigore la direttiva UE sull'accessibilità. Chi
non sarà conforme agli obblighi normativi sarà sanzionato. INCLUSIVE DESIGN –
obblighi normativi ed opportunità espressive, è un libro di Enrico Bisenzi per
imparare quante sono le persone con disabilità in Italia e come comunicarci
efficacemente attraverso gli strumenti della comunicazione digitale a partire
dalle norme contenute nella direttiva UE sull’accessibilità.
Inclusive Design è una riflessione scritta a più mani su come interpretare gli
obblighi normativi imminenti con un occhio di riguardo alle opportunità
espressive ed artistiche che possiamo inventarci per essere accessibili ed
inclusivi. Autori e autrici del libro (Enrico Bisenzi) e delle appendici
(Veronica Bonatesta, Alessandro Carducci, Ivan Legnaioli, Chiara Protani) sono
ben felici di poterlo presentare, in presenza o a distanza. Nell’occasione
confrontarsi, anche tecnicamente, sulle opportunità creative offerte dai
linguaggi di editing del web, lingue dei segni, tecniche di narrazione
audio-video ma anche testuali, validatori e strumenti di check, per produrre o
trasformare siti web, app, videogame, libri ed ebook, meta-versi, animazioni e
audio-video in ‘senso accessibile’. A favore delle persone cieche ed ipovedenti,
daltoniche, epilettiche, neuro-divergenti, sorde e da quant’altra umanità possa
beneficiare di un approccio di tipo design for all. Il formato epub è adatto per
un’esperienza utente ottimizzata su e-reader e dispositivi mobili così come il
formato PDF sfogliabile online è predisposto per stampa su carta con
caratteristiche di alta leggibilità.
Leggi la recensione e scarica il libro
Sabato 19 luglio dalle 17.00 laboratorio: "Pedagogia Hacker: social media e
social network... comunitari?" nell'ambito del Tamala Fest presso l'Ex Caserma
Occupata di Livorno.
Dal 17 al 19 luglio Tamala Fest sbarca a Livorno per la sua seconda
installazione e CIRCE contribuisce con un laboratorio di Pedagogia Hacker.
Pedagogia Hacker: social media e social network... comunitari?
Molti videogiochi catturano la nostra attenzione al punto da creare forme di
abitudine e assuefazione costruite magistralmente sulle vulnerabilità comuni a
tutti gli umani. In maniera analoga siamo chiamati a partecipare e a contribuire
instancabilmente alle “comunità” digitali, costruite seguendo tecniche di
gamificazione.
Su Instagram, TikTok, Facebook, ogni esperienza di interazione sociale si
trasforma in una complicata gara, con un sacco di punti e classifiche, livelli e
campioni. Conosciamo per esperienza diretta le regole di questi “giochi”: se ci
comportiamo bene, otteniamo molti “like”, strike, notifiche, cioè caramelle
sintetiche per i nostri cervelli (sotto forma di dopamina); se siamo scarsi
rimaniamo a bocca asciutta. Di certo, “vincere” non è mai abbastanza: dobbiamo
sempre lavorare di più, perché il “gioco” non finisce mai…
Durante questo laboratorio analizzeremo le interfacce dei social media per
osservare come ci fanno sentire, ragioneremo sulla differenza tra social media e
social network. Metteremo le mani in pasta per scoprire strumenti FLOSS
progettati per fare rete a partire dai desideri di comunità reali
Tutte le informazioni sul sito di C.I.R.C.E.
Il 6 febbraio 2025 il presidente USA Donald Trump ha imposto una serie di
sanzioni alla Corte penale internazionale per le indagini su personale
statunitense e su alcuni alleati, incluso Israele. Le sanzioni sono state
applicate non con una legge, ma con un executive order — una sorta di “potere
speciale” che il presidente USA può utilizzare in casi di estrema gravità senza
dover passare prima dal Parlamento.
In sintesi, dunque, a prescindere dalla possibilità di un controllo da parte
delle corti USA e non di quelle dei Paesi UE, il dato di fatto —e di diritto— è
che l’esecutivo può decidere di bloccare la funzionalità dei servizi erogati da
Big Tech e ha il diritto, o meglio, il potere, di prendere i dati localizzati
nell’Unione.
Al netto delle sottigliezze del linguaggio diplomatico, infatti, in nessuno di
questi accordi è previsto che la UE possa avere voce in capitolo nelle scelte di
homeland security e di politica internazionale degli USA. Dunque, non si capisce
quale sia l’utilità di avere incluso nel regolamento sulla protezione dei dati
personali delle norme da applicare direttamente in altri Paesi quando questi,
come da ultimo dimostra il caso DeepSeek, possono tranquillamente ignorarle in
nome del principio dell’autonomia delle giurisdizioni.
I fatti e la storia hanno dimostrato come free software e open source
rappresentano un modello alternativo ed efficace per la gestione della sovranità
su dati, informazioni e programmi.
Utilizzare questo approccio alla proprietà intellettuale consente di avere il
controllo pieno sul modo in cui funzionano le infrastrutture e di alimentare la
creazione di un mercato dei servizi alle istituzioni pubbliche e private che non
dipende necessariamente da soggetti stranieri, e lascia le risorse investite nel
territorio della UE.
Articolo completo qui
Microsoft interromperà il supporto a Windows 10 dal 14 ottobre 2025, spingendo
milioni di utenti europei a cercare alternative. Una di queste è Linux, che ha
visto crescere la propria quota di mercato desktop dal 2,84% al 5,21% in poco
più di un anno (+83%).
Un’ascesa senza precedenti: +83% per Linux in Europa
I dati condivisi da Statcounter fotografano un incremento dell’83,5% in poco più
di un anno: un risultato storico per un sistema operativo che, per quanto
riguarda le distribuzioni desktop, per anni è rimasto sotto il 3%, nonostante
brevi impennate durante la pandemia.
Questa crescita non è solo statistica, ma sintomatica di un cambiamento
culturale e tecnologico. Per la prima volta, Linux non è solo un’alternativa per
esperti o sviluppatori, ma una scelta concreta per milioni di utenti
“mainstream”, spinti da esigenze pratiche e da una crescente diffidenza nei
confronti dei modelli di business proprietari.
Leggi l'articolo
Quando a fine anni ’80 Deng Xiaoping affermò che “il Medio Oriente ha il
petrolio, la Cina le terre rare”, in pochi diedero il giusto peso alla
dichiarazione dell’allora leader della Repubblica Popolare cinese.
Come invece sempre più spesso accade, il Dragone asiatico dimostrò di avere la
capacità di immaginare e mettere in atto strategie di lungo termine: le terre
rare, infatti, rappresentano oggi uno dei maggiori motivi di frizione
geopolitica nel mondo, a causa dell’elevata richiesta e del loro complesso
approvvigionamento, di cui la Cina detiene il monopolio.
Praticamente nessun settore industriale ad alta tecnologia può farne a meno, da
quello militare – per missili guidati, droni, radar e sottomarini – a quello
medico, in cui sono impiegate per risonanze magnetiche, laser chirurgici,
protesi intelligenti e molto altro ancora.
Non fa eccezione il settore tecnologico e in particolare quello legato allo
sviluppo e all’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Come spiega Marta Abbà,
fisica e giornalista esperta di temi ambientali, le terre rare possiedono
qualità magnetiche uniche e sono eccellenti nel condurre elettricità e resistere
al calore, e anche per questo risultano essenziali per la fabbricazione di
semiconduttori, che forniscono la potenza computazionale che alimenta l’AI, per
le unità di elaborazione grafica (GPU), per i circuiti integrati specifici per
applicazioni (ASIC) e per i dispositivi logici programmabili (FPGA, un
particolare tipo di chip che può essere programmato dopo la produzione per
svolgere funzioni diverse).
Sono inoltre cruciali per la produzione di energia sostenibile: disprosio,
neodimio, praseodimio e terbio, per esempio, sono essenziali per la produzione
dei magneti utilizzati nelle turbine eoliche.
Senza terre rare, quindi, si bloccherebbe non solo lo sviluppo dell’intelligenza
artificiale, ma anche quella transizione energetica che, almeno in teoria,
dovrebbe accompagnarne la diffusione rendendola più sostenibile. Insomma, tutte
le grandi potenze vogliono le terre rare e tutte ne hanno bisogno, ma pochi le
posseggono.
Leggi l'approfondito articolo di Del Monte
La piattaforma antipirateria varata da Agcom non è conforme alla direttiva
europea DSA.
La Commissione Europea ha recentemente inviato una comunicazione formale
all'Italia, esprimendo preoccupazioni sulla piattaforma Piracy Shield, il
sistema nazionale anti-pirateria gestito dall'Autorità per le Garanzie nelle
Comunicazioni (Agcom). L'Unione Europea ritiene che la piattaforma, così come
strutturata, non sia pienamente conforme al Digital Services Act (DSA), il
regolamento europeo che disciplina i servizi digitali. Le critiche si
concentrano su squilibri tra la lotta ai contenuti illegali e la tutela dei
diritti fondamentali, come la libertà di espressione e informazione, oltre che
sulla mancanza di meccanismi adeguati per prevenire blocchi errati e garantire
trasparenza.
Piracy Shield, operativo dal 31 gennaio 2024, è stato introdotto per contrastare
la diffusione illegale di contenuti protetti da diritto d'autore, come partite
di calcio, film e serie TV, attraverso il blocco rapido di indirizzi IP e domini
segnalati da titolari dei diritti, come Sky e DAZN. La piattaforma consente ai
"segnalatori" autorizzati di richiedere il blocco di contenuti entro 30 minuti:
un processo quasi interamente automatizzato che non prevede controlli umani
preliminari da parte dell'Autorità. Questo meccanismo, pensato per garantire
rapidità, ha però generato numerosi problemi, tra cui il blocco di siti e
servizi legali: è accaduto lo scorso ottobre, quando una Content Delivery
Network (CDN) di Google è stata oscurata per sei ore, rendendo inaccessibili
servizi come Google Drive e YouTube per molti utenti italiani.
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Sabato 19 luglio dalle 17.00 laboratorio: "Pedagogia Hacker: social media e
social network... comunitari?" nell'ambito del Tamala Fest presso l'Ex Caserma
Occupata di Livorno.
Dal 17 al 19 luglio Tamala Fest sbarca a Livorno per la sua seconda
installazione e CIRCE contribuisce con un laboratorio di Pedagogia Hacker.
PEDAGOGIA HACKER: SOCIAL MEDIA E SOCIAL NETWORK... COMUNITARI?
Molti videogiochi catturano la nostra attenzione al punto da creare forme di
abitudine e assuefazione costruite magistralmente sulle vulnerabilità comuni a
tutti gli umani. In maniera analoga siamo chiamati a partecipare e a contribuire
instancabilmente alle “comunità” digitali, costruite seguendo tecniche di
gamificazione.
Su Instagram, TikTok, Facebook, ogni esperienza di interazione sociale si
trasforma in una complicata gara, con un sacco di punti e classifiche, livelli e
campioni. Conosciamo per esperienza diretta le regole di questi “giochi”: se ci
comportiamo bene, otteniamo molti “like”, strike, notifiche, cioè caramelle
sintetiche per i nostri cervelli (sotto forma di dopamina); se siamo scarsi
rimaniamo a bocca asciutta. Di certo, “vincere” non è mai abbastanza: dobbiamo
sempre lavorare di più, perché il “gioco” non finisce mai…
Durante questo laboratorio analizzeremo le interfacce dei social media per
osservare come ci fanno sentire, ragioneremo sulla differenza tra social media e
social network. Metteremo le mani in pasta per scoprire strumenti FLOSS
progettati per fare rete a partire dai desideri di comunità reali
TAMALA FEST
Sopravviveremo al solleone nucleare di questa apocalittica estate
chiacchierando, codando e assemblando. Ci saranno talk, musica, cinema, workshop
e installazioni. Perché ogni bit, ogni suono, ogni immagine che sfugge al
profitto è un atto di memoria e insubordinazione.
La tecnica non è neutra. Va liberata.
Quindi, cyberpunkersz: spegniamo i riflessi falsi dai nostri schermi. Prendiamo
quella dannata pillola rossa. E che la nostra memoria e la nostra mente si
riaccendano, tra i pixel, i bit e il vento salmastro del mare.
Convenzionalmente, quando si parla di dipendenza da Internet (Internet Addiction
Disorder), scrivono Maria Pontillo e Stefano Vicari nel volume La paura di
essere disconnessi (il Mulino, 2025), ci si riferisce ad «una condizione
caratterizzata da un uso compulsivo e problematico della rete, accompagnato da
pensieri ossessivi sulla possibilità di connettersi, che compromettono
significativamente la vita quotidiana di chi ne è affetto» (p. 12).
Evidenze scientifiche hanno mostrato analogie tra la dipendenza da sostanze a
quella da Internet, tanto che alcuni studi hanno recentemente scoperto che il
cervello si attiva in maniera analoga in tutti questi tipi di dipendenza. Ad
accomunare le diverse esperienze di dipendenza sono, ad esempio: la centralità
che assume il comportamento da cui si è dipendenti sul resto della vita; le
alterazioni umorali che si provano ad ogni inizio dell’esperienza; la necessità
di incrementare la frequenza e la quantità dell’esperienza per ottenere i
medesimi effetti; i sintomi d’astinenza in caso di interruzione prolungata; la
conflittualità con gli altri e con sé stessi determinata dal comportamento
disfunzionale; la tendenza alla ricorrenza del comportamento nel tempo.
A differenza di altre tipologie di dipendenza da sostanze o da comportamenti,
nel caso della dipendenza da Internet, sottolineano gli autori, non è possibile,
né sarebbe sensato, mirare alla cancellazione totale del rapporto con l’oggetto
di dipendenza. Essendo che con l’universo online si è tenuti ad avere a che fare
nella quotidianità, scopo della terapia cognitivo-comportamentale non può che
essere quello di aiutare l’adolescente a ridurre e gestire consapevolmente il
tempo che vive in Internet senza farsi risucchiare da esso abbandonando il mondo
fuori dallo schermo.
Recensione completa qui
Nel suo nuovo libro Superbloom. Le tecnologie di connessione ci separano?,
passando in rassegna la storia dei principali mezzi di comunicazione, Nicholas
Carr ne mette in luce la funzione politica, il loro agire sulla società e sugli
individui incentrando la sua analisi su come, superato un certo livello, la
comunicazione attuata attraverso di essi tenda ad alimentare conflittualità
piuttosto che dispensare armonia.
Agli occhi delle nuove generazioni cresciute comunicando con un linguaggio
stringato, la posta elettronica appare non solo un sistema obsoleto ma persino
ansiogeno perché presuppone un momentaneo distacco dal flusso comunicativo in
cui gli individui si sentono immersi e da cui faticano a sottrarsi. La sintassi,
la ricercatezza lessicale e gli stili specifici necessari alla corrispondenza
scritta hanno lasciato il posto ad una comunicazione a flusso costante, non
meditata né filtrata in quanto l’efficacia comunicativa sembra ormai misurarsi
esclusivamente in termini di tempo.
I contenuti hanno subito un collasso gravitazionale, scrive Carr, «ogni cosa si
è appiattita sul comune denominatore dello smartphone, anche il discrimine tra
comunicazione privata e comunicazione pubblica ha finito per cancellarsi. Lo
stile compatto, informale, spesso anche crudo dei messaggini è diventato il
paradigma di riferimento del discorso che circola sui social. […] Lo spirito dei
messaggini ha permeato la sfera pubblica» (p. 131).
Tra i dirigenti e gli architetti dei grandi social network che hanno manifestato
pentimenti (tardivi e comunque non di rado a conto in banca sistemato) circa il
loro operato, c’è chi ha ammesso esplicitamente che l’unico scopo delle
piattaforme è quello «di consumare tutto il tempo e tutta l’attenzione
consapevole che si potevano estrarre dall’utente» (p. 188).
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